Di tutte le critiche che si potevano fare a I Medici, la nuova fiction di Rai prodotta dalla cattolicissima Lux Vide, l’unica che è riuscita a conquistare le prime pagine dei giornali è stata quella sulla (in)fedeltà storica. E pensare, invece, che è uno degli aspetti da apprezzare maggiormente, perché dimostra l’intenzione di regista e autori di (provare a) fare qualcosa di diverso, che sia prima di tutto intrattenimento e poi ricostruzione storiografica. Del resto, questa non è una lezione universitaria; è un prodotto di finzione (da qui, appunto, “fiction”). E se i Medici interpretati da Richard Madden, Dustin Hoffman e Alessandro Sperduti non sono così veri, o verosimili, non è un problema, ma una liberazione.
Finalmente. Finalmente siamo andati oltre quella patetica voglia di redarguire, informare e canonizzare lo spettatore; finalmente ci sono nudi, c’è sesso, c’è (un minimo di) critica al Vaticano. E tutto in prima serata, su Rai1. I problemi de I Medici semmai sono altri. Sono le promesse non mantenute, una struttura che ancora fatica a dirsi seriale (c’è qualcosa, ma non basta); una fotografia imbarazzante, interpretazioni sciatte, una regia che non si impone, e un doppiaggio inutile, pasticcione, che più che migliorare la situazione la peggiora. (Un consiglio: se proprio dovete guardarla, guardatela in originale; è possibile: seguite le indicazioni durante i titoli di testa).
Poteva essere la grande occasione della Rai, e invece è stato un successo a metà (non si può fare finta di niente e dimenticare gli 8 milioni di spettatori per il primo episodio e i 7 per il secondo). Non è la migliore serie italiana e nemmeno ci si avvicina. È una fiction discreta, che più o meno riesce a intrattenere e a farsi piacere, che non aggiunge nulla di nuovo, e che non può minimamente rivaleggiare con i colossi del piccolo schermo. Fa un passo avanti nella produzione della televisione pubblica, ma non può dirsi un prodotto riuscito. Pubblicizzata come “la serie più attesa dell’anno”, forte di un cast internazionale, I Medici fatica nelle basi, con un ritmo a volte trascinato, altre sincopato: dal presente al passato, e dal passato, di nuovo, al presente, con flashback che più che chiarire confondono.
No, il problema non è la fedeltà storica. Il problema è che ancora una volta ci siamo accontentati, che il pubblico ha accettato pigramente il compromesso della televisione pubblica (i tempi non sono abbastanza maturi per una “rivoluzione completa”? Davvero?), e così quella che poteva essere la rinascita della serialità in Rai, è stata solo un’altra, patetica fiction.