Bastano una manciata di note, qualche accenno delle loro batterie ruvide, per riconoscere immediatamente un suono diventato leggenda come quello dei Chemical Brothers. Tom Rowlands e Ed Simons non sono semplicemente il simbolo di un genere partito dai rave di Manchester o dalle serate Naked Under Leather nei pub di Londra fino a conquistare il mondo insieme allo tsunami big beat. Sono producer che hanno portato l’elettronica a un livello altro, in una sfera in cui a convivere sono sfumature sonore fra le più disparate, quasi fosse una sintesi ‘chimica’ in grado di creare una luce perfetta in un mondo solitamente oscuro come quello della club culture inglese nata nei primi anni 90.
Questo sabato tornano a Firenze, alla Visarno Arena, in occasione Decibel Open Air dove condivideranno il palco con nomi di punta della consolle come Alan Fitzpatrick, Ben Sims e Dubskull, e noi ne abbiamo approfittato per fare due chiacchiere con Ed Simons, che fra i due fratelli chimici viene alle volte etichettato come il lato ‘più cerebrale’ della band, anche se lui, con questa definizione, non sembra essere molto d’accordo…
Ciao Ed, con i Chemical Brothers ci eravamo ‘lasciati’ un anno fa, con il vostro show di Milano, fra poco tornerete con un dj set tutto nuovo a Firenze. Come la state vivendo?
Non vediamo l’ora di tornare in Italia: passare un ottimo weekend, mangiare bene e vedere un paio di amici… Cosa c’è di meglio? Amiamo suonare come dj e l’ultima volta che siamo venuti a Firenze, nel 2003, abbiamo trovato un pubblico fantastico e volevamo assolutamente tornare. L’Italia poi ha una grande tradizione musicale: la disco, la cosmic music… ed è per questo che il pubblico italiano è molto sofisticato, non vuole solamente la cassa dritta. Durante i nostri show vogliamo stupire chi viene ad ascoltarci e lasciarci a nostra volta stupire, ci piace conoscerci l’un l’altro attraverso la musica.
Personalmente credo che la grande differenza tra voi e le altre leggende dell’elettronica 90’s sia l’incredibile capacità di portare ballad e canzoni lente dentro un genere come il vostro, per poi trasformarle in capolavori come Dream On, Where Do I Begin o Close Your Eyes. Non credi che questo lato ‘romantico’ dei Chemical Brothers venga penalizzato in un formato come quello del dj set?
È un’ottima domanda. Certamente noi veniamo dalla scena rave, dalla scena psichedelica, e questo lato sarà sempre quello principale nei nostri set. Tuttavia, quando facciamo i dj cerchiamo sempre di dare una forte impronta emotiva ai nostri set, non vogliamo fare solo musica ‘aggressiva’ ma anche toccare tutte le corde dell’animo del nostro pubblico, mantenendo quello stesso atteggiamento che abbiamo nelle produzioni per portare dentro il set tutti i colori dei Chemical Brothers, da quelli più acid a quelli più romantici: ad esempio, il nostro ultimo album (Born In The Echoes, uscito nel 2015, nda) è un’ottima dimostrazione di come emozioni e rave possano convivere.
Le performance dei Chemical Brothers regalano sempre sorprese, sia che si parli di un dj set che di un vostro live, quando salite sul palco armati di un arsenale di synth analogici, campionatori e drum machine. Voi con che formula preferite esibirvi?
Non abbiamo una vera preferenza. Di solito quando facciamo per molto tempo un tipo di show poi ci viene voglia di suonare in maniera diversa, funziona così. Per fortuna siamo riusciti a bilanciare le due formule: ad esempio, quando facciamo i dj suoniamo moltissime canzoni dei Chemical Brothers, cercando di mixarle dal vivo sempre in maniera differente. Ora abbiamo tre o quattro nuove canzoni nuove su cui stiamo lavorando in studio, e concerto dopo concerto le studiamo, le ‘aggiustiamo’ per così dire, suonando versioni sempre diverse, con mix e arrangiamenti diversi. Certamente suonare live è fantastico: lavori con tantissime persone per mettere in piedi il concerto, lo spettacolo, il pre-show. È un impegno serio, c’è molta pressione. Ma amiamo suonare anche come dj perché è da dove siamo partiti quando eravamo studenti ed è come se si formasse una connessione a quando avevamo 18 anni a Manchester, quando ci mettevamo dietro una consolle a provare e riprovare per migliorare sempre di più.
Hai parlato di nuovi brani, puoi dirci qualcosa di più? Il vostro ultimo singolo, C-h-e-m-i-c-a-l, come già si può intuire dal nome, rappresenta una specie di manifesto del vostro sound, quasi fosse un viaggio nel tempo verso Exit Planet Dust o verso la scena rave di MaDchester. Quali sonorità dobbiamo aspettarci dalle nuove canzoni?
Il nuovo materiale è molto beat-heavy, ci sono molti ritmi nuovi, grandi linee di basso, ritornelli… un po’ tutte le sonorità e le caratteristiche che la gente ama dei Chemical Brothers. Noi facciamo musica per il puro gusto di farla, per esprimere la nostra creatività, e dentro ci mettiamo tutto noi stessi. Cerchiamo sempre di esprimere una certa varietà di emozioni con la musica, cercandone suoni inusuali, sulle voci soprattutto e in maniera sempre nuova, per ricreare le sensazioni e le atmosfere che la gente prova e vive con la nostra musica. Non mettiamo una direzione predefinita alla nostra creatività, e infatti per ora non abbiamo ancora deciso quale sarà il suono definitivo dell’album.
State lavorando a un nuovo album quindi? Siete ancora in fase di composizione o potete già anticiparci una data d’uscita?
Sì, stiamo lavorando su un nuovo disco ma siamo ancora lontanissimi dal finirlo. Abbiamo già tantissimi brani nuovi, per lo più sono schizzi, ma non vediamo l’ora di scoprire l’effetto che faranno sulla gente. Per i nostri album lavoriamo così, ormai è una nostra tradizione: suoniamo i pezzi nuovi durante i nostri set, sempre in maniera diversa, finché i brani non raggiungono la forma perfetta. Ora come ora penso che l’album sarà pronto presto ma non si può mai dire… A volte arriva quel brano, quel momento di pura creatività, che definisce tutto il resto del disco per cui, chi lo sa, magari potemmo anche finirlo a breve.
Mi ricordo che lessi una vostra intervista in cui il giornalista descriveva Tom come la parte ‘più musicale’ dei Chemical Brothers, mentre tu sei ‘il cervello’ della band, senza cui non avreste venduto milioni di copie, sei d’accordo? Come lavorano in studio due producer come voi?
Non sono per nulla d’accordo con quella definizione. Contribuiamo tutti e due in parti uguali, siamo entrambi musica e cervello dei Chemical. La nostra giornata inizia a colazione: parliamo di Brexit per un’ora circa. Poi iniziamo a suonare con i synth, con le chitarre – Tom parte sempre suonando le chitarre – tirando giù qualche accordo minore. Altre volte invece partiamo maneggiando i sequencer e le drum machine. Ogni giorno è diverso dal precedente, ma cerchiamo sempre di mantenere un’attitudine leggera, giocosa, non dobbiamo sentirci obbligati ad arrivare da nessuna parte. Lo studio per noi dev’essere sempre un luogo in cui divertirsi.
A proposito di Brexit, ho visto sul tuo account Twitter che sei molto attivo sull’argomento.
Noi nasciamo come progetto internazionale, abbiamo collaborato insieme ad artisti di tutto il mondo, e la Brexit significa totalmente l’opposto: essere chiusi, intolleranti, non curiosi, è l’esatto contrario di quello che sono sempre stati i Chemical, sia come musicisti che come esseri umani. Noi nasciamo come dj nei club e siamo sempre stati per l’inclusione, per l’amore, per il progresso.
Come vedi quello che sta succedendo in Inghilterra? Mentre a Berlino il Berghain è stato eletto luogo culturalmente rilevante a Londra i club chiudono o viene imposta dall’alto una politica proibizionista com’è successo al Fabric.
Sono morte delle persone dentro il Fabric, e questo è un grosso problema. Non voglio sembrare troppo conservatore ma i giovani devono essere protetti il più possibile. È forse troppo tardi per cambiare ma ci dovrebbero essere luoghi in cui la gente si possa divertire in maniera libera ma allo stesso tempo sicura. È triste che a Londra e a New York un sacco di club chiudano perché non offrono abbastanza sicurezza… Certamente devono essere difesi perché i club rappresentano l’anima di una città ma è troppo facile limitarsi a dire “poveri club che chiudono, non è giusto”. La gente prende roba pericolosa ed è il momento di fare qualcosa per tamponare il problema.
Quest’anno è il ventennale dell’album che vi consegnò la fama mondiale, Dig Your Own Hole. Pensate di fare qualcosa di speciale? Magari una ristampa celebrativa come hanno fatto i Radiohead con Ok Computer?
Siamo grandi estimatori dei Radiohead; ormai sono quasi dei profeti, i loro concerti sono dei sermoni e Thom sul palco diventa quasi un profeta ma non faremo lo stesso per Dig Your Own Hole. Credo che quel disco fosse già perfetto quando uscì (ride) per cui non vogliamo remixarlo o cambiarlo. Siamo molto orgogliosi di quell’album, forse un giorno andremo a ripescarne le b-side e le pubblicheremo ma ora non ne sentiamo la necessità perché per noi ogni nostro lavoro è uscito nella sua miglior versione possibile, senza bisogno di future modifiche. Certo l’abbiamo ristampato in vinile ma noi abbiamo sempre preferito concentrarci sulla nuova musica che ritornare a scavare passato, e credo che la stessa valga anche per i Radiohead. Ecco perché sabato a Firenze saremo concentratissimi sui nuovi brani e su come la gente reagirà.
Insomma, ci vediamo a Firenze
Vi assicuro che quando suoneremo le canzoni nuove ve ne accorgerete. Peace.