«No, Jake non ha ancora ascoltato niente». in una saletta iperaccessoriata dei best sound studios di milano, Luigi Florio, 40 anni il prossimo 15 maggio, sta mettendo a dura prova la sua bella poltrona in pelle basculante. deve fare un coming out artistico: l’alter ego don joe, deus ex machina di mezzo hip hop italiano, gli è sfuggito di mano e non vuole più fare il rapper. Sono qui per ascoltare le basi e alcune tracce premaster del suo nuovo disco solista, il seguito ideale di quella summa rap che fu Thori & Rocce (2011). Si intitola Ora o Mai Più e come il suo predecessore è una raccolta di featuring eccellenti. Sono arrivato prevenuto: «saranno i Club Dogo cantati dalla qualunque», pensavo. E invece no, quello che Don Joe mi fa assaggiare è un menu di tutt’altra pasta, degno di un mega produttore pop alla Danger Mouse. Proprio la cosa che mancava in Italia da un po’ (o forse da sempre). E pazienza per i Dogo. Se ne faranno una ragione.
Facciamo l’appello dei featuring.
Emma Marrone, Francesca Michielin, Giuliano Palma, Ax, Giuliano Sangiorgi, Emis Killa, Club Dogo. Sto aspettando Marracash, ma… qualcuno l’ha visto?
Non è un disco, è un’Expo…
Ero partito per condensare in 10 pezzi l’hip hop che mi piaceva. Poi mi sono detto: misuriamoci anche con il pop. Mi mancava l’anello mancante per chiudere la prima fase della mia carriera, perché a dirti la verità non so ancora cosa diventerò.
Ho un’impostazione anni ’90, quella dei campioni e di un certo uso della batteria
Qual è stata la tua formazione?
Ho un’impostazione anni ’90, quella dei campioni e di un certo uso della batteria.
È una scuola che esige gran cultura musicale.
Ma anche l’esperienza sulle macchine. I ragazzini oggi hanno Fruity Loops, che è usato anche nell’EDM. Lavorano molto sui pattern, creano delle sezioni di roba e poi le mettono insieme. La costruzione non è complicata come una volta. Se io devo fare una produzione ci metto una settimana, un ragazzino neanche un giorno.
Ho sempre pensato che il campionamento fosse una scorciatoia…
È una rivisitazione, un tributo. Non è sterile come tante produzioni che sento adesso.
Il campione serve come ossatura del pezzo?
Io ce lo incastro anche dopo. Faccio tutta una parte di batteria programmata, poi ci metto il basso, poi sulla chiave del pezzo cerco il campione giusto.
Parti sempre dalla batteria?
Dipende dal pezzo: se devo fare una roba a partire dai 90-100 bpm, che va veloce, parto dalla batteria. In generale, se non ho trovato il break giusto, non vado neanche avanti. Poi metto i synth e i campioni.
La melodia è l’ultima cosa che aggiungi?
Esatto, a meno che io non parta dalla topline di un cantato, da un ritornello…
Con la Michielin è andata così?
Anche il pezzo della Michielin è partito dal break di batteria. Alessandro Raina ha scritto il testo, io gli ho mandato la base: c’erano solo degli accordi di piano, il break e il basso. Poi lui ha buttato giù due strofe, e quando ci siamo visti abbiamo fatto un’apertura per il ritornello. E alla fine lei ha interpretato. Con Emma il processo è stato identico.
E con Sangiorgi?
Con Giuliano siamo partiti da un’idea di base diversa, doveva esserci una batteria dritta con la cassa in quattro, ma io non volevo fare un pezzo dance. Gli ho messo dei campioni e gliel’ho proposto. Sono uno che aggiunge e poi toglie, e poi aggiunge ancora… Io poi i pezzi, finché non li vomito, non sono contento. Se non mi stancano va bene, se mi stancano cambio tutto, metto campioni, tolgo synth, metto synth.
Sei uno metodico?
Sono un impiegato, comincio a lavorare alle dieci e finisco alle otto di sera. Abito a 100 metri da qui, è come stare a casa.
Quando hai iniziato a smanettare con la musica?
A 18 anni. Studiavo ragioneria, mio fratello maggiore ballava la break dance e comprava le cassette in edicola, c’erano i Beastie Boys, i Run DMC… Mi ha contagiato, e ho iniziato ad ascoltare solo quella roba lì. Poi lui è diventato tutt’altro. Adesso fa il cuoco in Australia.
I soliti fratelli maggiori che ti rovinano per sempre e poi escono di scena…
E tu rimani lì, invece… Anch’io all’inizio ballavo, poi ho cominciato a produrre in casa, a quei tempi c’era l’Akai 950, ci mettevi anche 10 giorni a tirar fuori un’idea bella.
E adesso? Quanto ci hai messo a fare Ora o mai più?
Sei mesi.
Com’è nata la lineup?
In realtà sono tutti amici. A parte la Michielin, che potrebbe essere mia figlia.
Nella tua tribuna dell’eccellenza spicca anche Giuliano Palma…
Volevo ricambiare: lui è sempre rimasto super fedele, è il più loyal di tutti.
Ci sono featuring mancati?
È saltato quello con Arisa. Non se lo sentiva, il brano…
La produzione di “Ora o Mai Più” è la più vicina alle cose che mi piace fare adesso
Don Joe apre la cartella delle tracce e mi fa ascoltare quella cantata da Emma, la title track Ora o mai più, un pezzo sfacciatamente dance.
Questa potevi intitolarla anche Tormentone Estivo 2015.
La sua produzione è la più vicina alle cose che mi piace fare adesso. Lei ora sta scrivendo il suo nuovo album, e un pezzo come questo non l’avrebbe mai fatto… È un po’ quello che è successo fra Diplo e Madonna.
Ti stai paragonando a Diplo?
Trovamelo uno, in Italia, in grado di mettere dei cantautori su questo tipo di produzione.
Un esempio di pop italiano che ti piace?
La produzione di Guerriero di Mengoni.
Come ti firmerai nelle tracce?
“Don Joe feat.” e nome dell’artista, sperando che la gente capisca che è il Don Joe dei Club Dogo. Guarda qua che giacca (mi sta mostrando le foto selezionate per il booklet), me l’ha regalata un amico di New York, le fa lui, ci sono stampati i più grandi dischi hip hop. L’unica cosa che non mi piace è che sono venuto serio come sempre.
A chi lo hai fatto sentire il disco?
Familiari e qualche amico.
Commenti?
Hanno detto tutti che non pensavano sarebbe stato così alto.
Che Don Joe è quello di Ora o mai più?
Sono sempre io, ma con qualcosa in più. Ad esempio Jason Rooney, con cui avevo prodotto Fragili: è un arrangiatore di musica dance, che mi piace, ma che non farei mai. Però miscelata con la mia roba funziona. Mi sono detto: io parto da qua. Lavorando con lui ho capito tante cose che rimanendo nell’ambito del rap non avrei capito.
Don Joe mi fa sentire il pezzo di Giuliano Sangiorgi, che ancora non ha un titolo. È sempre una hit dance, ma senza drop tamarri. Il suo “non decollare mai” le permette di rimanere una mezza ballad. Altra track killer.
Hai portato Sangiorgi in console.
Questo pezzo dovevamo farlo in inglese. Gli ho detto: «Giuliano, facciamolo in italiano, che spacchiamo tutto».
Ha avuto coraggio: la gente, ascoltandolo in maniera randomica, potrebbe scambiarlo per la svolta dance dei Negramaro…
Ma no, io ho sentito il loro nuovo album. Spacca, ma è un’altra cosa. Quando è venuto qua – eravamo ancora nella fase inglese – mi ha proposto di fare un progetto staccato. E io: “Giuliano, ma quando mai lo troviamo il tempo per fare un progetto nostro?”. Volevamo fare un super gruppo dove lui cantava in inglese e io e Andro lavoravamo alle basi…
Perché hai scelto il pezzo di Emma come titolo dell’album?
Perché tutto questo succede in un momento in cui ora o mai più veramente. Pensa a Thori & Rocce, un disco così, con 40 rapper e mille mal di testa, quando mai lo rifaremo? Voglio che la gente non si aspetti niente. Un amico produttore mi ha detto: “Ah cazzo, ma hai fatto davvero questa cosa per Emma? Le hai dato una ringiovanita di 10 anni! Dovrebbe essere lei, adesso, quella roba lì”…
Chi manca ancora all’appello?
Mancano Gemitaiz e MadMan. Spero ancora in Marra. Gli ho dato la base, mi ha detto che era bella, gli ho detto “hai due settimane”… Però è proprio questo lo spirito dell’album: non c’è niente di calcolato. Ax lo deve ancora fare, per ora ho una topline che ho scritto e cantato io. Dei Dogo ho solo la base, senti, non è perfetta per loro? (Parte con la base)
Ma è sprecata per i Dogo!
(Ride) Infatti vedrai che non parleranno di figa e di soldi.
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