Nel 2016, durante la campagna elettorale che ha portato Trump alla Casa Bianca, i media utilizzavano sempre la frase “Trump is raging against the machine”, e Tom Morello non era contento. All’inizio voleva sfogarsi su Twitter, ma si è subito reso conto che stare sul divano con lo smartphone non sarebbe stato abbastanza, che era il momento di fare qualcosa di concreto, qualcosa di gigantesco. Ha chiamato Tim Commerford e Brad Wilk, basso e batteria dei Rage Against the Machine, e insieme a Chuck D, Dj Lord e B-Real (di Public Enemy e Cypress Hill) ha fondato i Prophets of Rage.
La sua è una instant-band, nata a uso e consumo di quella che Morello chiama “nuova resistenza”, di cui vogliono essere la colonna sonora. Il nemico, però, non è solo Donald Trump, ma tutto quel mondo di «razzisti e populisti che vogliono dividerci per qualche voto in più», mi dice il chitarrista al telefono. Mi spiega che l’indignazione social non serve a nulla se non si trasforma in azione, se non si segue l’esempio di chi ha fatto delle sue convinzioni una battaglia quotidiana, come il suo eroe Muhammad Ali.
Chiariamoci, Morello non ha certo smesso di “scolarizzare” i troll di Trump sui social media – «Non serve avere una laurea in Scienze Politiche ad Harvard per capire la natura imumana e ben poco etica di questa amministrazione, ma si da il caso che io una laurea in scienze politiche ad Harvard ce l’ho e quindi ti posso confermare tutto», ha scritto una volta su Instagram – ma il suo vero discorso politico l’ha fatto sui palchi, con il Make America Rage Again Tour, una collezione di live trionfali che arriveranno anche in Italia. I Prophets of Rage si esibiranno al Milano Summer Festival l’8 luglio, e ne abbiamo approfittato per chiamare Morello e farci raccontare il progetto, lo stato della musica politica e anche il nuovo album dei Tool, che ha ascoltato in anteprima.
So che la band è nata nel giro di pochi giorni e qualche telefonata. Perché hai scelto proprio quei musicisti?
Tim e Brad sono con me nei Rage Against of the Machine, abbiamo una grande chimica musicale e una bella collezione di dischi registrati insieme. Gli altri sono i nostri due MC preferiti sul pianeta Terra, i Public Enemy e i Cypress Hill. La loro musica ci ha influenzato molto, e sono grandi amici. Era una scelta ovvia.
Il rock può ancora fare politica?
Noi pensiamo che si sia aperta una strada gigantesca, e non c’è nessun’altra band nel mondo che ha il nostro tipo di messaggio politico, o che suona davanti a un pubblico così grande. E diciamoci la verità: i presidenti peggiori generano grande musica. Nel mondo occidentale c’è paura e ansia del futuro, e l’unica risposta è arrivata da personaggi razzisti e populisti, di estrema destra. In Italia succede la stessa cosa, basta guardare alle ultime elezioni. È necessario fare resistenza alle ingiustizie e all’oppressione, avendo chiaro all’orizzonte un futuro economicamente equo, egualitario, rispettoso dell’ambiente.
Hai seguito davvero le elezioni italiane?
Sì. Non sono abbastanza informato da capire tutte le sfumature, ma sono consapevole del ritorno di Berlusconi e della sua coalizione.
Hai un consiglio per le band italiane che vogliono fare come voi?
Certo! Ma il mio consiglio non è solo per le band ma per tutti, non importa quale sia il loro lavoro. Vorrei che sapessero che c’è qualcuno nel mondo che si oppone a questa svolta razzista e di estrema destra. Non importa che tu sia un giornalista musicale, uno studente, un falegname, un pescatore… ci sono milioni di persone che rifiutano il razzismo, che rifiutano le proposte di questi partiti. Vogliono dividerci con l’unico scopo di ottenere più voti.
Jann Wenner ha detto che c’è un collegamento tra il 2017 e il 1967, e che Trump ha scatenato una nuova Summer of Love. Sei d’accordo?
Sicuramente c’è il potenziale per una rivoluzione politica come quella. Il mondo non cambierà da solo, dipende tutto da voi, e con voi intendo i lettori del sito o della rivista, non so dove uscirà quest’intervista. Non possiamo solo lamentarci sui social media e pretendere un risultato positivo. È il momento di trasformare le nostre convinzioni in azione, è il momento di prendere posizione nel nostro quartiere, nel nostro mondo.
Se Trump dovesse cadere scioglieresti i Prophets of Rage?
No. Noi siamo prima di tutto un formidabile gruppo musicale: siamo nati per un’emergenza politica, è vero, ma abbiamo una chimica incredibile e non vediamo l’ora di lavorare al prossimo album. Finché ci saranno ingiustizie ci sarà la resistenza, e questa resistenza avrà la nostra musica come colonna sonora.
Vi sentite soli nel panorama musicale americano?
Penso che ci siano molti altri artisti, di generi diversi, che stanno parlando di quello che sta succedendo nel mondo. Ma nessuno di loro ha la nostra stessa storia di impegno politico, o testi radicali come i nostri. Per noi è fondamentale non fare compromessi, da tutti i punti di vista.
Tornerete in Italia per un concerto la prossima estate. Cosa dobbiamo aspettarci?
È sempre un piacere tornare nella mia terra per fare un po’ di casino: la mia famiglia viene da Torino e quella di mia moglie da Bari.. Il nostro show sarà composto dalla musica dei Rage Against of the Machine, dalla Rageificazione di quella di Cypress Hill e Public Enemy, il tutto insieme alla giusta dose di musica originale. Questa non è una band che guarda al passato, noi guardiamo al presente e al futuro.
Quindi non siete un supergruppo?
Dipende dalla persona a cui lo chiedi! Chuck D è molto felice di far parte di un “supergruppo”, invece per me i Rage Against the Machine sono una squadra di club e i Prophets of Rage la nazionale. Siamo la nazionale americana del mondo radicale di sinistra. Anzi, siamo gli Avengers (Ride).
Mi racconti del tuo incontro con Muhammad Ali?
Ero su un aereo, avevo 15 anni e stavo tornando a Chicago dopo un viaggio in Jamaica. Mi ricordo questa voce che usciva dagli altoparlanti molto simile a quella di Ali. Diceva: “Salve, sono Muhammad Ali e sto guidando l’aereo. Ma non preoccupatevi, sono fantastico anche come pilota. So che tutti i passeggeri vogliono il mio autografo, quindi verrò ad accontentarvi”. E così ha fatto! Ho ancora il mio biglietto di Air Jamaica autografato. Lui ha ispirato persone in ogni parte del mondo, era un grande esempio: è riuscito a difendere le sue convinzioni anche nel lavoro di tutti i giorni. E il suo lavoro era restare il campione mondiale di boxe, e nonostante tutto non ha abbandonato la difesa dei poveri e degli oppressi. Ha combattuto contro la guerra, contro il razzismo, senza mai fare compromessi. È un esempio immortale.
Quindi c’è ancora da imparare dalla sua storia.
Assolutamente. Pensa ai giocatori dell’NFL agli atleti che si sono inginocchiati. Hanno rischiato il posto di lavoro e contratti milionari per dimostrare di essere contro il razzismo e la violenza della polizia. Ci sono studenti, tra cui i miei figli, che escono dalel scuole per protestare contro le armi. Rischiano l’espulsione, capisci? L’idea che le tue convinzioni debbano far parte della tua vita quotidiana, a prescindere dai rischi, è perfettamente rappresentata da Ali e dalla sua storia.
Un’ultima domanda: so che hai ascoltato il disco dei Tool. Ci fai uno spoiler? Non lo diciamo a nessuno.
Ho sentito la versione strumentale del disco, non facciamo confusione. Maynard non aveva ancora registrato nulla. Suona alla grande, posso dire che vale la pena aspettare così tanto. I Tool sono una band che presta grandissima attenzione alla composizione, curano tutto nei minimi dettagli. Ho ascoltato 7 o 8 canzoni: sono lunghe, eleganti, brutali… sono i Tool.
Quindi possiamo rassicurare i fan?
(Ride) Direi di sì, non so dire quando uscirà… ma posso dire che ho ascoltato molta musica eccezionale. Spero che Maynard non incasini tutto, ma sono sicuro che non sarà così.