Qualcuno tra noi, oggi, se la sente ancora di annunciare pubblicamente che tutti i dinosauri sono davvero estinti? Scomparsi proprio tutti dalla faccia della terra?
Soprattutto dopo che gli “ultimi” sette, magnifici, esemplari hanno messo a ferro e fuoco l’Arcimboldi di Milano con una doppietta live da urlo e sold out ampiamente anticipati? Di sicuro i punk non si immaginavano questo come il futuro di una volta, vale a dire il peggiore scenario possibile nella loro idea estetica di rivoluzione musicale. Al punto che band come i King Crimson fanno tuttora il vuoto in scia, riempiono teatri in tutto il mondo, suonano per quasi tre ore a data sconvolgendo così ogni pronostico, ogni improvvisazione disordinata, ogni semplice equazione da bar.
La creatura di Robert Fripp, concetto arcaico se si bada all’essenza vera e aperta di quello che da anni si è trasformato in un b(r)and a tutti gli effetti, si presenta in orario sul palco e compatta come non mai. Le tre batterie (avete capito bene) di Pat Mastelotto, Gavin Harrison e Jeremy Stacey, in prima fila sul palco, costituiscono l’avanguardia sonica cui seguono leggermente defilati il buon Fripp, Jakko Jakszyk, voce e seconda chitarra, Tony Levin ai bassi, e il formidabile Mel Collins ai fiati.
Più che un gruppo musicale i King Crimson danno l’idea di una falange spartana in pieno assetto da combattimento, dove alle armi si sostituiscono strumenti del tutto equivalenti nelle loro finalità: zittire gli astanti e raderne al suolo ogni resistenza fisica e psicologica. E così è! Grazie al carisma acquisito in cinque decadi di attività che trasforma ogni atto in un gioco da ragazzi: standing ovation a go go, gestione millimetrica degli spazi e dei tempi, esecuzione impeccabile e consueta, discutibile, rigidità nel pretendere la massima attenzione dagli spalti, vietando ogni tipo di interazione del pubblico con appendici elettroniche.
Nessuno fa una piega, ovvio, perché non ce n’è il tempo: loro suonano a rullo e noi godiamo di conseguenza, perché la tracklist della serata sfiora la perfezione dogmatica. Tastando tutti gli album o quasi. Un viaggio nel viaggio affrontato con la sicurezza sfacciata di chi si può permettere inni immortali e catartici come Epitaph, 21St Century Schizoid Man con l’assolo centrale di Gavin Harrison che vale l’intero prezzo del biglietto, per poi passare a Cirkus e Dawn Song dall’album Lizard quasi mai affrontato dal vivo, a Red, Pictures Of A City, Easy Money, Vroom, Starless per un totale di venticinque cavalcate emozionali.
Da qui la sensazione che i King Crimson più che dinosauri, seppur ben conservati, siano veri e propri alieni. Ieri come oggi. Ma domani sicuramente.