È tutto troppo facile e semplice per Steven Wilson. Compone, suona e registra la quasi totalità degli strumenti nei suoi dischi solisti, che sono tutti diversi fra loro.
Inutile dire che queste svolte artistiche repentine con i suoi vecchi Porcupine Tree non sarebbero mai potute succedere. Troppe persone con cui discutere, troppi inghippi burocratici e dinamiche interne per poter passare dal prog rock a un pop sognante come quello di To The Bone, il suo nuovo album uscito il 18 agosto scorso. Si trova in Italia per qualche giorno, luogo che sin dagli inizi della carriera gli ha sempre riservato un calore particolare.
Come spieghi questo affetto particolare dai fan italiani?
Non saprei, bisogna andare sicuramente molto indietro nel tempo. Uno dei primi posti dove ho suonato, se escludiamo il Regno Unito, è Roma. Questo perché c’era una radio locale, di nome Radio Rock, che suonava tantissimi nostri pezzi. Non ho mai avuto quella che si dice un’esposizione mainstream, eccetto in un paio di posti al mondo. Uno di questi due è sicuramente l’Italia.
Ne hai mai voluta una? Parlo di una vera esposizione mainstream della tua musica.
Quando ero un teenager, cioè quando stavo vagamente pensando di avere una carriera nell’industria discografica, i miei eroi erano gente tipo Prince e David Bowie. Una parte di me quindi ha sempre sognato di essere una popstar e credo che quella parte di me stia ancora fissa su quel sogno. Penso sia qualcosa di naturale. Se fai musica e se soprattutto credi nella tua musica vorresti che raggiungesse più persone possibile. Prendi i Radiohead. Loro non sono a un milione di distanza dal tipo di musica che faccio, eppure chiunque ascolti dischi su questo pianeta ha già avuto la possibilità di ascoltare i Radiohead e stabilire se gli piacciono o meno. Ma nel mio caso ci sono milioni e milioni di amanti della musica che non hanno sentito ciò che faccio. Se mai dovessi avere un qualche tipo di frustrazione, sarebbe legata a questo. Essere ignorati dal mainstream significa che ci sono tante persone che potrebbero essere tuoi fan ma che non hanno modo di conoscere la tua musica. Tutto lì.
Sì, e poi il tuo nuovo disco pare proprio di facile ascolto.
Già, è un disco molto accessibile. Davvero facile da ascoltare. C’è sempre quel tipo di frustrazione perché stare per anni nel prog rock mi ha tenuto, come dire, un po’ all’ombra del mainstream.
Sicuramente eliminare l’elemento metal ti può aiutare. Tornerai mai su quella strada?
È vero, gradualmente ho smesso di fare quella roba. Però mai dire mai. Diciamo solo che il metal fa sempre parte del mio vocabolario musicale per quanto riguarda la band, ma ora sono più concentrato sullo scrivere belle canzoni. Pop e rock nell’accezione più classica del termine.
Sei sempre tu a comporre e suonare gli sparititi?
In questo disco ho fatto molto di più di quanto avevo fatto nei precedenti. Sono tornato a suonare la maggior parte delle chitarre, bassi e tastiere. Non sono un batterista, quindi ho chiesto aiuto a un paio di professionisti. È stato il disco che più si avvicina alla definizione di “solista”.
Che poi, alla fine, è come se fossi tornato alle origini.
Sì, è vero. Nei primi tre o quattro album con i Porcupine Tree ero io a fare tutto. Ma credo di essere un musicista cento volte migliore di allora. La mia capacità di scrittura brani è più solida, così come suonare la chitarra o cantare. Man mano che gli anni passavano, sono diventato un cantante molto più convinto, più sicuro di me.
In più, facendo tutto da soli, non bisogna discutere con gli altri della band.
È tutto molto più semplice per me. Essendo stato in più band in passato, so bene che una delle più grandi frustrazioni deriva dal non essere in grado di evolversi e cambiare direzione con la rapidità che vorrei. Uno dei benefici più grandi dell’essere solista è che posso cambiare direzione per ogni album, cosa che ho fatto. All’inizio è stata una sfida per i miei fan, ma ora credo che se lo aspettino un po’. Sanno che per ogni album che esce è un po’ una sorpresa. Un diverso approccio, un diverso stile. A me ormai piace fare così.