Una campagna anonima, una famiglia che sembra un po’ strana, persino un emporio abbandonato. Dei mostri, tanti e parecchio brutti. A descriverlo così, A Quiet Place sembra un horror normale, anzi, uno stereotipo del genere. Ma dopo poco capisci che qualcosa non va: il film è (quasi) muto e capisci subito che vorrebbe essere pure sordo. Quegli esseri violentissimi e bestiali, infatti, percepiscono ogni rumore. E quando ne individuano l’origine non fanno prigionieri.
John Krasinski, ottimo caratterista da anni al cinema e in tv (The Office su tutti), dopo l’esordio acerbo con i racconti brevi di Foster Wallace portati sullo schermo e il bizzarro e interessante The Hollars, di cui è stato anche protagonista, ora vira su un genere totalmente diverso e accanto a sé, in scena, mette la moglie Emily Blunt, unica del cast ad avere esperienze orrorifiche nel curriculum, con Wind Chill e il pessimo remake di Johnston di Wolfman.
A tenere le fila in scrittura sono Scott Beck e Bryan Woods, mestieranti esperti che eccezionalmente lasciano la regia a un altro. E fanno bene. Perché Krasinski ha un tocco lieve ed epico e la naturale alchimia con la moglie porta credibilità e intensità emotiva alla famiglia in scena. Ci sono anche tre figli (e uno in arrivo) due dei quali bravissimi nel tenere alta la tensione con un silenzio disperato, violentemente imposto dalla paura e con amorevole fermezza dai genitori.
La forza del racconto è tutto nella normalità dell’eccezionalità, nello sforzo degli adulti di vivere una quotidianità impossibile, essere padre e madre, marito e moglie, di amarsi e amare i propri bambini, di ballare con una cuffia nell’orecchio dell’altro, nel cercare la vita anche quando la morte li invade. Il silenzio diventa così assordante che i sospiri di dolore di Emily ne fanno una perfetta scream queen muta, mentre Krasinski in versione hipster è ottimo come archetipo di capofamiglia ossessionato dal proteggere il suo branco, imparando a conoscere la natura e vagliando ogni briciola di tecnologia rimasta.
L’horror, in fondo, è questo: una ricetta semplice fatta di pochi ingredienti che devono amalgamarsi alla perfezione. Regia, attori, location, il lavoro sul suono – sì, sembra un paradosso, ma è magistrale –, il montaggio, la fotografia qui trovano tutti il proprio posto. Grazie al soggetto, semplice e geniale, come tutte le ottime idee.
E se tutti sono cascati nel bluff Get Out, con questo A Quiet Place si urlerà anche al capolavoro.