Di recente ho incontrato Tormento che, parlando del mondo del rap italiano, ha detto una grande verità. «Ogni cosa che facciamo, ogni cosa che riguarda la scena, viene sempre attaccata, c’è sempre qualcuno che dice “Eh ma…”, “Eh però…”». E non c’è cosa più vera. Numero Zero è stato apprezzato e applaudito da tanti, criticato e attaccato da altri. In realtà, ha solo un difetto. Essere un film che ha l’ambizione di raccontare in meno di un’ora e mezza una storia importantissima per la musica italiana e le vicende, in qualche modo, sociali della nazione.
Il lavoro di Enrico Bisi analizza un periodo preciso delle vicende dell’hip-hop italiano e lo trasforma in un racconto che si snoda tra mille interviste, testimonianze e aneddoti. Arriva a toccare quasi tutti i punti chiave dello sviluppo di questa cultura, che da underground diventa mainstream, arrivando fino agli anni Duemila, indicati dal documentario come il momento in cui il “giocattolo sembra si sia rotto”.
Di certo, Numero Zero scava a fondo la nascita del movimento, mette in evidenza i pionieri, i legami con l’hardcore, quelli con la politica, il ruolo di alcune realtà come i centri sociali prima e Radio Deejay poi. Dall’altra parte si ferma sull’orlo del precipizio, quando il “pop” si è appropriato di certi linguaggi e che, come si dice e si fa capire più di una volta, ha fatto diminuire la vena artistica.
Si vede l’evoluzione, si vedono nomi usciti da ogni radar, con la voce narrante di Ensi che accompagna in oltre dieci anni di storia. I passaggi sono chiari, e non era facile. Roma, poi Bologna, poi Milano, poi le altre province, accompagnati dai primi album, dai primi video che fanno sorridere. Si alza volentieri il volume quando c’è Coccinella, ci si emoziona quando si vedono i filmati di Esa. È rappresentata tutta la scena hip-hop? No. C’era un sottobosco di non emersi, di fallimenti, oppure di nomi conosciuti ma che non vengono evidenziati? Certo. Ma Numero Zero è una storia che va “alle origini del rap italiano”.
Quello di Bisi è un ottimo lavoro, un’ottima base di partenza che ha scelto un punto di vista ed è andato a fondo con l’analisi di quel punto di vista. Ne ha persi altri, certo, ma lo sa benissimo (e poi chissà se li ha persi lui o si sono autoeliminati). Ma ha spianato la strada e ha dimostrato che una storia così è non solo “raccontabile”, ma è doveroso raccontarla. Mettendo da parte interessi, pregiudizi e critiche. Per cercare di capire davvero da dove tutto arriva. E chissà, dove tutto sta anche andando.