Tutte le foto di Kimberley Ross
Virginia Raggi, la prima donna sindaco di Roma, è l’opposto esatto di come solitamente ci si immagina un ruggente tribuno a cinque stelle. Arringa i cittadini di Quarto Miglio, estrema periferia sud-est della capitale, con un megafono che pare uscito dritto dai lontani anni ’70. Però lo fa col tono di chi scambia quattro chiacchiere in salotto e se tra la folla scopre un viso amico non esita a mollare il megafono e scendere dal palco improvvisato per appioppargli due bacioni sulle guance.
Ci si chiede se abbia alzato la voce anche solo una volta nella vita, o se qualcuno la abbia mai vista concitata. Quando dal pubblico una voce imperiosa la interroga, «Che dici del tuo lavoro nello studio Previti?», non si scompone di una virgola, se possibile allarga ulteriormente il sorriso che campeggia fisso e replica laconica: «Rispondo che non è vero». A domandarle se sia consapevole di aver ingaggiato sulle Olimpiadi 2024 un duello mortale con poteri che a Roma contano appena un po’ meno del Pontefice rimane altrettanto serafica: «Ma nessuno in questa lunga campagna elettorale ha mai nominato le Olimpiadi tra le urgenze. Neppure una sola volta. I cittadini parlano di tutt’altri problemi». Quali? «I trasporti prima di tutto. Poi il dramma dell’assistenza agli anziani e ai disabili. Ma i trasporti sono sempre al primo posto. Penso che ci si debba occupare di questo, dell’ordinario non dello straordinario. Tutto qui».
In una metropoli che è grande circa un terzo più di New York City e dodici volte Parigi, servita da 1600 mezzi pubblici di cui un terzo fermo ogni giorno, dove quando va di lusso salta appena il 20% dei treni della metropolitana ma di solito va peggio, si può capire che la faccenda mobiliti più dei giochi olimpici, e anche più qualsiasi ideologia. Quarto Miglio fa parte del municipio VII, il più popoloso di tutti, l’unico con oltre 300mila abitanti: una città. È un municipio di sinistra, conquistato nel 2013 dalla Sel di Nichi Vendola, e un passato di simpatie a sinistra dichiarano quasi tutti i militanti che hanno organizzato l’incontro con la Raggi a supporto della candidata al municipio Monica Lozzi. Ma oggi tutti ripetono convinti che «Destra e sinistra sono categorie superate. Noi siamo pragmatici: ci interessano i problemi concreti come i trasporti. La gente lo ha capito e ci ha votato per questo». L’autobus, appunto…
Se diventerà prima cittadina della Capitale, Virginia Raggi lo resterà solo per quattro anni: «Noi abbiamo il limite dei due mandati. Il primo lo ho già fatto: il prossimo sarà quindi l’ultimo. Anche se eletta non mi potrò ricandidare. Però immagino che potrò sempre dare una mano in qualche modo. Così il futuro proprio non me lo immagino: spalanco le braccia e aspetto. Del resto nemmeno mi aspettavo di vincere le ‘comunarie’ ed essere candidata a sindaco».
Quando ci si chiede come abbiano fatto questi marziani ad arrivare a un passo dal conquistare Roma, una gatta da pelare grossa più di un leone di montagna ma anche il viatico per candidarsi poi alla guida del Paese, conviene chiedersi se c’azzecchi qualcosa anche l’ossessione a prima vista un po’ maniacale per le regole. In una campagna elettorale dove tutti promettono tutto, non è escluso che la rigidità dei 5S abbia contribuito a renderli un po’ più credibili dei rivali.
Proprio a quella fissazione col rispetto delle regole, Virginia Raggi deve la candidatura. Alla vigilia della campagna tutti pensavano che per Roma il Movimento fondato da Beppe Grillo avrebbe schierato uno dei suoi nomi celebri, una faccia televisiva già nota al grande pubblico. Questa avvocatessa trentottenne, da tre anni consigliera comunale a Roma ma sempre senza fragore, chi la conosceva?
Ma le regole sono le regole, e i golden boy a cinque stelle come Di Maio o Di Battista erano pertanto fuori gioco. Così in prima linea c’è finita lei. Le raffiche sono partite subito e si sono decuplicate quando lei ha candidamente annunciato l’intenzione di farsi affiancare da un gruppetto di deputati e senatori: «È inesperta. Sarà eterodiretta». Il sorriso della Raggi non fa una piega: «Ma figurarsi! L’etero direzione è una pratica del Pd, non nostra. Quando Marino è diventato sindaco ha fatto la squadra in mezza giornata: perché qualcuno gli aveva dettato i nomi. Il suo programma aveva molti punti di contatto con il nostro, poi però lo stesso Pd votava puntualmente contro il proprio stesso programma. Io so che guidare Roma senza un contatto continuo con le istituzioni nazionali, prima di tutto con il Parlamento, non è possibile. Per questo ho detto che manterrò un filo continuo con i parlamentari del Movimento. È l’interesse di Roma e dei romani».
Intorno a lei un centinaio di abitanti scalpita impaziente. Aspettano di chiacchierare un paio di minuti, di farsi l’immancabile foto ricordo. La candidata ha tempo per ognuno, si limita a chiedere un po’ di pazienza, poi si mette in posa con tutti, uno per uno, con la naturalezza di chi immortala una festa di famiglia. In fondo il segreto del successo dell’M5S e di Virginia Raggi a Roma è tutto qui, nel dire non solo con le parole ma con il corpo e con i gesti ai cittadini: «Noi siamo voi. Voi siete noi. Noi abbiamo bisogno di voi».
Ma i romani, si sa, non sono ingenui e non concedono deleghe in bianco. Se domenica 19 giugno eleggeranno Virginia Raggi, reclameranno poi la concretezza promessa. Un eventuale fallimento travolgerebbe non solo la prima donna insediata al Campidoglio ma l’intero Movimento. La candidata Raggi lo sa benissimo da sola. Quando dice ai cittadini, «Non ci sarà un’altra occasione» parla a loro, ma anche a se stessa.