Il bullismo è un fenomeno che non interessa soltanto i bambini e gli adolescenti. Siamo troppo abituati a pensarla così, forse ne siamo troppo convinti, ma tra gli adulti è tanto comune quanto ignorato sebbene ben radicato nel cyberspazio.
Non esiste soltanto l’aggressione fisica al fine di provocare dolore o ferite (calci, pugni, tirare i capelli), ma soprattutto quella verbale. L’uso di soprannomi dispregiativi, denigranti, utili a mettere in ridicolo di fronte al pubblico una persona è di fatto bullismo. L’avvento dei forum di discussione prima e dei social network poi hanno agevolato anche le persone più insospettabili a far uscire il Mr. Hyde che tenevano represso dentro di loro.
Il cyberbullismo può risultare più pericoloso del bullismo. Pur essendoci molti punti in comune, quello telematico permette al bullo di agire in forma anonima, usando anche diverse identità, rendendo il materiale denigratorio estremamente virale raggiungendo una platea più vasta di spettatori. L’abuso può essere replicato velocemente e all’infinito, le intimidazioni non hanno un arco di tempo limitato e l’atto può durare 24 ore al giorno.
Alfredo Mascheroni, un giovane barista di Collecchio, si svegliò una mattina scoprendo di essere diventato un mostro. Il suo profilo Facebook venne diffuso da anonimi, tramite applicazioni di messaggistica come Messenger e Whatsapp, accusandolo pesantemente di essere un pericoloso pedofilo da segnalare al social network. Come spesso accade nella condivisione compulsiva delle catene di Sant’Antonio, la fondatezza dell’accusa si basava sulla fiducia attribuita al mittente dei messaggi: “Me lo ha inviato una persona attendibile, non ho dubbi che sia vero”. Basta poco e un enorme platea di spettatori diventano inconsapevolmente complici del bullo, trasportando la loro rabbia dal cyberspazio alla realtà. Il bar di Alfredo venne preso di mira, così come la sua auto, non mancarono gli insulti e le minacce di morte da parte di persone convinte delle accuse mosse contro di lui. Una vita rovinata da un messaggio.
Il cyberbullo non opera da solo. Oltre ad una platea di spettatori che assistono al linciaggio, per poi eventualmente parteciparvi, ci sono i cosiddetti “gregari”. Si tratta di persone che seguono con ammirazione il bullo, con il quale condividono idee e passioni. Lo sostengono nell’attacco in varie forme, dal “mi piace” ai suoi interventi fino ad ulteriori attacchi diretti nei confronti della vittima. Quest’ultima, trovandosi di fronte un messaggio diffamatorio con numerosi “like” e commenti di approvazione rischia di trovarsi con le spalle al muro privo di difese.
Le armi a disposizione dei cyberbulli non si limitano ai “mi piace” e alle condivisioni dei contenuti diffamatori.
In settimane ho assistito alla vicenda di Daniele Cereda, un ragazzo autistico che nel corso degli ultimi anni lotta assiduamente contro la propaganda antivaccinista sull’autismo che imperversa su Facebook. L’ignoranza dilagante sul tema porta a credere a molti che una persona a cui è stata diagnosticata la Sindrome di Asperger sia per forza incapace di parlare e di fare ragionamenti logici. Gli Aspie, termine per indicare le persone soggette a questa forma di autismo, possono avere difficoltà relazionali, interessi ristretti e ripetitivi, ma non significa che abbiano un ritardo cognitivo. David Byrne, fondatore dei Talking Heads e vincitore del premio Oscar, del Golden Globe e del Grammy, è un Aspie, così come lo è la cantante scozzese Susan Boyle, l’attore Dan Aykroyd e il giovane prodigio del Jazz Matt Savage.
“Esatto, un cretino. Anch’io divento autistico se lo prendo sto fake idiot, da quante volte, ripetutamente, lo sbatto nel muro”.
Daniele è una spina nel fianco degli antivaccinisti, con i quali instaura molte discussioni via Facebook ritrovandosi di fronte un impenetrabile muro di gomma. Per lui contano le prove basate sul metodo scientifico in contrasto a chi si affida a ciarlatani e medici radiati come il britannico Andrew Wakefield. Contro di lui si sono scagliati non soltanto singoli utenti, persino il senatore della Repubblica Bartolomeo Pepe si rivolse a lui dicendo “Lei più che autistico mi sembra di un altra razza” (e molto altro ancora) per poi finire di fronte alle carte bollate. Un gruppo di utenti ha deciso di andarci pesante sfruttando le potenzialità fornite dal social network:
“In un gruppo chiuso ci siamo organizzati x farlo bannare definitivamente….. dicono ke a insistere lo faremo sloggiare cs la smette di fare il falso…. insulta i nostri piccoli ke a differenza sua non parlano cm uno normale xke autistici veri che si sono malati x il vaccino ok???????”.
Non è affatto una novità, esistono gruppi Facebook segreti e organizzati per bloccare pagine e utenti Facebook per diversi motivi. C’è chi lo fa per far rimuovere in automatico le pagine che diffondono odio, che sfruttano le foto dei minori malati per fare propaganda e profilazione degli utenti, che diffondono vere e proprie bufale incuranti del danno che compiono. C’è chi lo fa, invece, per contrastare chi le smentisce e le denuncia, ma in ogni caso l’obiettivo è lo stesso: prevalere e avere ragione utilizzando ogni mezzo possibile.
“Ho una buona notizia…da darvi….avete presente quello ke si spaccia x autistico e ke e fan di bubu e ke dava contro al senatore Pepe? e stato rimosso definitivamente fa Faceboook e quindi nn torna più…..”
Da oltre un mese i profili di Daniele vengono ripetutamente bloccati, ogni volta che scade il periodo di sospensione passano pochi giorni che questi utenti organizzati tornano alla carica riavviando la sospensione punitiva segnalando in massa contenuti con l’accusa di presenza di nudo, che tuttavia risulta assente. Ben contenti di queste operazioni, alcuni di loro si pavoneggiano pubblicamente:
“A me di voi non frega nulla… Ancora non l’avete capito… Quando le segnalazioni vanno a buon esito mi diverto….Il Cerada ha avuto il profilo bloccato per un po’”.
Non è l’unico caso recente e in vista delle elezioni chi vuole esprimere le proprie idee o vuole dimostrare un po’ di sana ironia rischia di intraprendere un sentiero pericoloso. La pagina Facebook “Il Superuovo” e il suo admin, Piermatteo Grieco, è stato preso di mira spesso da personaggi invidiosi di una pagina e una comunità online che vanta più di seicento mila utenti. Piermatteo è diventato particolarmente famoso per la foto scattata insieme a Matteo Salvini triste e a dir poco sconsolato: mentre si mettevano in posa gli aveva dichiarato che era candidato alla Camera per +Europa. Iniziarono ad arrivare le prime segnalazioni per poi ritrovarsi bloccato a causa di un post dove per paragonare il freddo di questi giorni riportò come evento storico l’invasione del Belgio da parte dei tedeschi, guidati all’epoca da Adolf Hitler. Aver nominato il Fuhrer e averne condiviso la foto è stato un invito a nozze per gli haters segnalatori.
Durante quest’ultima settimana prima delle elezioni una mamma adottiva di due bambine di origine africana, Gabriella Nobile, è diventata famosa per un post virale dove raccontava che la bambina più piccola era scoppiata in lacrime perché aveva sentito dire in giro che “c’è un politico che se vince le elezioni manda via tutti i neri”. Un post denuncia contro l’odio razziale e in difesa di tutti quei bambini che hanno il diritto di vivere in pace e serenità, ma scomodo per qualcuno. Sono bastati due giorni per ritrovarsi l’account bloccato senza possibilità alcuna di scrivere e comunicare con i suoi amici e parenti. Per fortuna, in questo caso, c’è stato un intervento umano da parte del team di Facebook che ha ripristinato l’account di Gabriella scusandosi per l’accaduto.
Risulta ovvio che questo atteggiamento non riguardi soltanto “una parte”. Capita spesso che le persone che accusano gli altri di bullismo si organizzino a loro volta per segnalare e ottenere il loro blocco sfruttando lo stesso strumento messo a disposizione da Facebook. Ognuno pensa di essere dalla parte del giusto, ma in qualche modo lo lasciamo decidere imbrogliando il cosiddetto “algoritmo”.
Risulta evidente che il social network più utilizzato al mondo abbia un problema se gli utenti riconoscono nella segnalazione di massa e organizzata la possibilità di bloccare contenuti scomodi o semplicemente contrari alle proprie idee. La mole di dati da controllare è sicuramente elevata ed è comprensibile che Facebook cerchi di risolvere o arginare i problemi a cui va incontro attraverso i famosi algoritmi, ma a volte ci vorrebbe uno sguardo più umano e meno matematico. Siamo ancora in tempo.