Quella rovente mattina di luglio Ahmed Naji si trovava nella gabbia di un tribunale del Cairo. L’autore 31enne era stato condannato sei mesi prima per aver “violato la moralità pubblica” con la sua ultima opera letteraria. Nel suo romanzo, Using Life (in Italia, Vita: istruzioni per l’uso), un irriverente ritratto della cultura giovanile attorno alla rivoluzione egiziana del 2011, il protagonista fa del cunnilingus, gira canne di hashish e si riempie lo stomaco di vodka. La censura aveva approvato il libro, talvolta tradotto anche con il titolo The Use of Life, ma quando alcuni estratti sono stati pubblicati nella literary review del Cairo, Akhbar Al-Adab, un’assurda serie di eventi hanno portato l’autore in prigione. Nonostante Naji sia stato rilasciato a dicembre grazie all’aiuto di un enorme team di avvocati egiziani e di varie campagne di solidarietà di tutto il mondo delle arti, l’autore adesso vive nella paura che le sue opere possano riportarlo nelle famose prigioni egiziane. Ha raccontato a Rolling Stone come l’autocensura sia entrata nei suoi pensieri quando si trova davanti alla tastiera. «Quando scrivi ti ritrovi a pensare… qualcuno leggerà questa cosa, questa cosa potrebbe influenzare il mio caso e così via», ha detto Naji. «Non è facile passare oltre e ricominciare a scrivere».
Il caso di Naji, una storia degna del miglior Kafka, getta luce sui rischi alla libertà d’espressione in uno stato autoritario. In Egitto, se un cittadino si sente insultato da un’opera letteraria o da un prodotto televisivo, questo può recarsi in tribunale e accusare la violazione della morale pubblica, un reato di tipo costituzionale ispirato dall’ordinamento francese. Sono ancora pochi i casi passati in giudicato, ma la pubblica accusa tende a utilizzare il reato per comportarsi da polizia morale. «L’accusato ha disseminato scritti che trasudano di lussuria sessuale e piaceri terreni, ha usato la sua penna e la sua mente per violare la santità della morale pubblica e del buoncostume», ha dichiarato l’accusa a un giornale locale. La storia di Naji ci mostra cosa è rimasto del potere della letteratura e dell’arte in uno stato che ha vissuto una rivoluzione solo sei anni fa.
Mentre la Primavera Araba esplodeva nel Medio Oriente a Gennaio 2011, la rivoluzione Egiziana ha rovesciato un despota al potere da moltissimo tempo, il presidente Hosni Mubarak. «Quando c’era Mubarak tutto era una palude, calma e silenziosa», ha detto Naji della stagnazione politica precedente al 2011. «Dopo la rivoluzione si è sviluppato un senso di resistenza – da entrambe le parti, sia quella dei giovani che quella degli anziani, del regime e del sistema. Il conflitto è ancora molto sentito». L’apparatčik della Fratellanza Musulmana, Mohammed Morsi, è salito al potere grazie alle prime elezioni democratiche della storia del Paese di Giugno 2012. Dopo un anno di governo, il generale Abdel Fattah el-Sisi ha organizzato un colpo di stato militare. Per consolidare il potere appena ottenuto, le autorità hanno utilizzato un metodo violento contro la Fratellanza e, con il passare del tempo, contro ogni tipo di attivista politico. Oggi le proteste pubbliche sono illegali, molti gruppi d’opposizione (sia secolarizzati che islamisti) sono stati dichiarati fuorilegge e lo spazio per la libertà d’espressione si è ridotto considerevolmente. I giovani che hanno partecipato alla rivoluzione del 2011 sono totalmente assenti dalla politica e dal governo. L’esplosione creativa nata tra la gente di piazza Tahrir, però, ha portato alla sperimentazione in altre direzioni – soprattutto in letteratura.
Oltre che per i suoi romanzi, Naji è famoso per essersi esposto criticamente, sul suo blog prima e su alcuni giornali poi, nei confronti degli attuali trend della cultura popolare. «Naji – la sua personalità, il suo stile di scrittura, gli argomenti che affronta – è molto iconoclasta. È una persona profondamente sovversiva», ha detto Khaled Fahmy, un visiting professor di Storia Moderna del Medio Oriente ad Harvard. «Questa è una cosa che lo Stato percepisce immediatamente come una vera e propria minaccia. La sua scrittura è politica proprio perchè non parla di politica». Fahmy ricorda un articolo dove Naji raccontava di rapper e produttori che avevano creato un tipo di hip-hop anti-establishment, il mahraganat, un genere nato e cresciuto nei quartieri più poveri del Cairo, la colonna sonora della protesta. Naji è il primo scrittore a esplorare quell’underground diventato famoso in Egitto e in Europa, e lo fa con sensibilità e grinta, passando ore in studi di registrazione disastrati, quasi tutti sottoterra. «Mi odierebbe se ascoltasse quello che sto per dire», ha detto Fahmy. «Davvero, Naji è la voce della rivoluzione».
Quando Naji è entrato in tribunale, la mattina del 16 Luglio, i suoi amici hanno potuto vederlo per la prima volta, sei mesi dopo la sua incarcerazione; solo i parenti più stretti sono autorizzati a visitare i detenuti della prigione di Tora, un inferno di massima sicurezza. Una piccola folla di 40 persone tra amici, colleghi e giornalisti si è presentata in tribunale durante quella mattina incandescente. Un fiume di parenti dei detenuti si è accalcato sulle panche di legno della sala delle udienze. Un commerciante di the si muoveva tra la folla portando un carrello di bibite, tazze di plastica e thermos d’acqua calda.
Un ufficiale in uniforme bianca ha accompagnato Naji nella gabbia degli accusati, una struttura con sbarre e un recinto così stretto da non far passare neanche un dito. Nonostante sopra l’entrata della sala fosse posto un cartello, “No Smoking, No Cellphones”, l’ambiente era già pieno di fumo e i cellulari erano accesi ovunque. Nella sua divisa da detenuto Naji sembrava in forma e di buonumore. Sorrideva gentile agli amici mentre si accendeva una sigaretta.
Dopo aver passato più di un’ora in attesa nella gabbia, Naji è stato chiamato ed è stato accompagnato nella sala del giudice, dove la difesa ha richiesto una sospensione della pena. L’articolo 178 del codice penale, quello che descrive il reato imputato a Naji, criminalizza i “pericoli alla moralità pubblica”. Se considerato nel contesto della produzione creativa, però, l’articolo 178 contraddice alcune parti della Costituzione del 2014, che garantisce la libertà d’espressione ad artisti e performer. «Nessuno degli ufficiali con cui ho parlato conosce qualcuno che sia stato messo in prigione a causa di questo articolo», ha dichiarato Ramy Yaacoub, vicedirettore del Tahrir Institute e amico di Naji, l’uomo che ha coordinato il lavoro per il suo rilascio. «Non abbiamo, però, prove decisive della natura politica del caso». (Un portavoce dell’ufficio della pubblica accusa mi ha detto di parlare con un altro portavoce, questa volta del Judges Club, che non ha voluto rilasciare dichiarazioni).
Lo stesso giudice che ha condannato Naji al massimo della pena a febbraio 2016 è quello che deciderà sulla richiesta di sospensione della pena. «La scelta di parole è così brutta, poteva apparire solo in una società senza morale» ha scritto il giudice nella sentenza di febbraio, ricordando anche il dovere degli scrittori di supportare la moralità pubblica. Non c’è da sorprendersi se, quel giorno di luglio, abbia rispedito Naji in prigione.
In arabo la parola adab può significare sia letteratura che moralità, e il giudice si è impegnato molto per assicurarsi che la prima riflettesse la seconda. Nella sua filippica paternalistica la letteratura può essere solo conforme alla morale. Tutta la carriera di Naji, però, è stata dedicata allo sberleffo del concetto di servizio allo stato, o di letteratura prestata al raggiungimento di un qualche bene superiore. «I suoi eroi non sono eroi nazionali», dice Fahmy dei personaggi di Naji. «I suoi eroi non sono neanche banditi o criminali. I suoi eroi sono persone che ottengono vittorie meschine in momenti meschini delle loro vite».
Naji non ricorda il momento in cui ha iniziato a scrivere, ma di sicuro si tratta di parecchio tempo prima di scegliere di portare quei baffoni alla Frank Zappa, ormai il suo tratto più riconoscibile. Nato in una città sul delta del Nilo, Mansoura, è cresciuto in una famiglia di dottori, figlio di un pediatra. Cresciuto tra l’Egitto, il Kuwait e la Libia, Naji ha trovato la sua ribellione leggendo fumetti e romanzi piuttosto che studiando chimica e biologia. Si è trasferito al Cairo a 16 anni e, dopo aver frequentato una scuola di giornalismo, è stato assunto come staff writer per Akhbar Al-Adab, il magazine d’arte, cultura e critica giornalistica più prestigioso della città. Si tratta della cosa più vicina a una sorta di Cairo Review of Books – il settimanale contiene pezzi sul nuovo romanzo di Jonathan Franzen, traduzioni di Hemingway e anche qualche novità dal mondo della letteratura e della poesia araba.
L’autore ha scritto il suo primo romanzo, Rogers, per caso: aveva pubblicato alcuni capitoli sul suo blog, tutti dedicati a qualche canzone di The Wall dei Pink Floyd. Questi post superavano “i limiti del romanzo”, diceva, grazie al “mescolarsi di sogni, fantasie e realtà”. Quando nel 2007 un editore si è mostrato interessato al progetto, Naji fu molto sorpreso. Era diventato uno scrittore, pubblicato in tutto il paese, a 22 anni. Se i Pink Floyd sono stati l’ispirazione del suo primo romanzo, David Bowie si merita almeno una citazione se guardiamo Using Life del 2014, in cui il musicista è citato insieme agli amici e ai collaboratori dello scrittore. «In molte delle sue canzoni ho percepito questa sensazione di distopia gentile», ha detto. Il romanzo, poi, racconta la “totale corruzione” del Cairo, qualcosa che l’autore ha imparato a conoscere in prima persona negli ultimi due anni.
«Questo è un caso che dà all’accusa l’opportunità di apparire come l’incarnazione della pubblica morale», mi ha detto Naji mentre cenavamo insieme a dicembre 2015, quando la condanna sembrava improbabile. Eravamo seduti in una taverna fumosa del centro del Cairo, un luogo presente anche nel suo romanzo. Mangiando una bistecca e bevendo birra, Naji ha ricordato come è iniziata tutta questa storia.
Il romanzo è stato pubblicato all’inizio del 2014 grazie alla collaborazione di una casa editrice Libanese-Egiziana-Tunisina chiamata Tanweer. Il numero del 3 Agosto della rivista Akhbar Al-Adab conteneva un capitolo estratto dal romanzo. I primi problemi per Naji si presentarono quando un lettore dichiarò di essere svenuto durante la lettura, come documentato dalla polizia il 13 Agosto. «Il suo battito cardiaco era instabile», si legge sul verbale. «La sua pressione sanguigna è precipitata e l’uomo è diventato molto pallido». Hani Salah Tawfik, un avvocato 65enne il cui cuore aveva retto decenni di dittatura, era stato sconfitto dalla lascivia. «Mi ha creato un danno psicologico perchè contiene frasi ed espressioni sessualmente esplicite», questa la dichiarazione di Tawfik presente nel verbale di polizia.
Non era importante ricordare che la censura governativa aveva già approvato il romanzo di Naji. In Egitto, storicamente, i privati cittadini sono spesso diventati censori, spesso aiutati con discrezione dalle autorità; gli obiettivi erano personalità controverse, autori eterodossi e addirittura la superstar della commedia Bassem Youssef. È il pubblico ministero che decide se affrontare questi casi, e questo accade spesso perchè sono ottime occasioni per fare carriera. «Si tratta di qualche pubblico ministero che vuole farsi bello», ha detto Amr Shalakany, direttore del gruppo di ricerca Law and Society Research dell’American University del Cairo.
Dopo le proteste di Tawfik, infatti, il pubblico ministero ha deciso di accettare il caso, analizzando il blog di Naji e interrogando lo staff di Akhbar Al-Adab. La corte ha tenuto la prima udienza sul romanzo a Novembre 2015. In quelle successive sono stati molti gli autori Egiziani che hanno testimoniato a favore di Naji. Naji aspettava una pronuncia definitiva per il mese successivo, gennaio 2016.
Mentre mangiava la sua bistecca, Naji mi ha raccontato che temeva di passare qualche guaio per il suo giornalismo, non certo per la sua letteratura. «Ho scritto un sacco di articoli contro al-Sisi, contro Morsi», ha detto, parlando dell’attuale presidente e del suo predecessore. «Ho ricevuto qualche minaccia… è normale, ci sono abituato». Seduti al tavolo dietro il nostro c’erano due giornalisti, due conoscenze di Naji. Abbiamo fatto due chiacchere e uno dei colleghi scherzava, diceva che sarebbe andato a trovare l’autore in prigione. Ridevamo tutti.
«Benvenuti all’inferno che è il Cairo, dove la vita è una lunga attesa e la puzza di spazzatura e di sterco d’animale è in tutti i luoghi, in ogni momento», scrive Naji in Using Life. Il romanzo si apre su un futuro non troppo distante, dove violente tempeste di sabbia e terremoti hanno distruto gran parte della capitale egiziana; anche le Piramidi sono affondate nel terreno. Il protagonista, il 46enne Bassem, racconta i suoi ricordi delle due decadi precedenti in un diario a sua volta chiamato Using Life. (L’uomo è sopravvissuto all’apocalisse semplicemente perchè abitava nella periferia più profonda). L’uomo ricorda con malinconia il suo passato fatto di feste e vita notturna. Using Life, inoltre, contiene anche alcune innovazioni grafiche: brevi strisce a fumetti, disegnate dall’artista Aymn Zorkany, sono disseminate tra i capitoli, tra queste anche l’immagine grottesca di alcune mummie spaziali che hanno attaccato Bassem e i suoi compagni. «È la storia di una città miserabile e di un paio di ragazzi alla ricerca di un po’ di gioia in questa vita, di dare un senso a questa città», ha detto Naji.
Nonostante il romanzo sia sold out nel Medio Oriente, i suoi passaggi considerati più offensivi sono stati diffusi online, la prosa di Naji è arrivata in più di due milioni di computer. Si tratta di una cifra ben più alta di qualsiasi altro romanzo egiziano. Il Cairo è il motore letterario del Medio Oriente da parecchio tempo, da qui vengono romanzieri, sceneggiatori e poeti che hanno rivoluzionato il linguaggio arabo. Naji è una delle voci di una generazione di scrittori che stanno sperimentando con forma, genere e politica. «Lui è sempre alla ricerca di una nuova idea, vuole sempre sperimentare», ha detto Nael El Toukhy, collega di Naji nella redazione di Akgbar Al-Adab: «È un trendsetter».
Nonostante Using Life parli raramente di politica in maniera diretta, la sua prima stesura è addirittura precedente alla rivoluzione, si tratta comunque della rappresentazione letteraria di una forte critica all’inerzia politico-culturale dell’Egitto post-2011, un Paese a cui la rivoluzione non ha portato grandi cambiamenti. «Lascia perdere», dice Bassem nel libro. «Non sei nient’alto che un succhiacazzi in un mondo di succhiacazzi. Lascia perdere il dramma, piccoletto, basta sentirsi in colpa. Alla fine non è così male essere un succhiacazzi al Cairo. Rilassati e godi di tutto».
A tre anni dalla sua pubblicazione, molte delle osservazioni della voce narrante – sul blogging, sulle assurdità del Cairo, sul perchè il McDonald’s egiziano sia meglio di quello americano – rimangono valide. Il romanzo, poi, è un fiume di volgarità che viene direttamente dalla strada, raramente da pagine di letteratura araba. Il narratore, inavvertitamente, aveva previsto la censura, forse consapevole dell’effetto che avrebbe avuto tutto quel parlare così liberamente di sesso e droga. «Una coalizione di tabù politici, sociali e religiosi cospira per impedire a quello che ribolle sotto il ventre di questa città di venire fuori in superficie», scrive. La prosa di Naji è immediatamente realistica per chiunque abbia passato del tempo in una megalopoli inquinata e indifferente: «Che si fotta anche il Cairo, la mattina e tutto il resto, oggi e domani e per sempre».
Il 2 Gennaio 2016 il giudice ha assolto Ahmed Naji dall’accusa di disturbo alla moralità pubblica. L’autore sorrideva mentre il suo avvocato si accendeva una sigaretta. La bacheca di Facebook di Naji si è subito riempita di messaggi. “Congratulazioni per la tua innocenza”, ha scritto un amico.
Un paio di settimane dopo, in occasione dei preparativi per il quinto anniversario della rivolta, le autorità egiziane hanno fatto numerosi blitz in spazi della città dedicati all’arte. Il regime voleva annullare ogni tentativo di protesta o manifestazione pubblica. «Qui la gente viene arrestata ogni giorno», ha detto Naji. «Ogni giorno. Forse i tuoi amici seduti al bar saranno arrestati». Queste cose sono diventate routine, qui. In un suo corsivo per il più popolare dei quotidiani Al-Masry Al-Youm, Naji ha messo al centro dell’attenzione la distruzione di una delle gallerie d’arte indipendenti per dimostrare “l’assedio alle istituzioni culturali egiziane”. L’autore accusa le autorità di voler guidare il paese “verso un’oscurità sempre più profonda” attraverso la restrizione della libertà d’espressione. Poco dopo Naji ha ricevuto un aggiornamento preoccupante. Il pubblico ministero aveva deciso di riproporre il suo caso ad una corte di grado superiore.
Il 20 febbraio 2016 la corte d’appello ha condannato Naji al massimo della pena: due anni. Per la prima volta dopo moltissimo tempo uno scrittore è finito in prigione a causa dei suoi romanzi – non del suo attivismo o dei suoi reportage. Secondo uno degli avvocati di Naji, Mahmoud Othman, Il caso più vicino, probabilmente, è quello dell’epoca della presidenza di Gamal Abdel Nasser, tra il 1956 e il 1970. È stato condannato anche il chief editor di Akhbar Al-Adab, Tarek El-Taher, che dovrà pagare una multa di 10,000 sterline egiziane per aver pubblicato gli estratti ritenuti fuorilegge. «L’auto-censura è aumentata dopo la condanna di Naji», ha detto Othman descrivendo l’effetto sugli altri artisti e sui media che rappresenta con la sua Associazione per la Libertà d’Espressione. La poetessa Fatma Naoot, per esempio, è stata condannata a tre anni per un post su Facebook, condanna che ha eluso abbandonando in paese e che è stata sospesa a movembre. Le accuse di oscenità a Naji, inoltre, sono particolarmente sorprendenti se pensiamo che Cinquanta Sfumature di Grigio è in vendita in tutte le librerie della città.
Importanti intellettuali ed editori hanno tenuto dibattiti pubblici per pensare una strategia: più di 500 artisti egiziani hanno firmato una petizione contro l’incarcerazione dello scrittore. Anche alcuni funzionari governativi si sono uniti alla protesta – il ministro della Cultura ha sconfessato pubblicamente la pertinenza dell’articolo del codice penale relativo al caso di Naji. Nel Maggio 2016 il fratello più giovane dello scrittore, Mohamed, è volato a New York per ricevere il PEN/Barbery Freedom to Write Award, naturalmente al posto del fratello, durante una cerimonia piena di invitati prestigiosi. Salman Rushdie e Zadie Smith, tra gli altri, hanno scritto pagine di solidarietà. Sull’ultima pagina di un quotidiano egiziano, la faccia di Naji è stata posta accanto a quella di Woody Allen che, insieme ad altri autori, ha firmato la petizione di PEN per modificare il codice penale egiziano, in maniera tale da impedire ai giudici di incriminare scrittori e artisti per aver “violato la morale pubblica”.
Hani Saleh Tawfik, l’avvocato che ha fatto cominciare il caso contro Naji, sostiene di aver sofferto di cuore e di bassa pressione dopo aver letto il romanzo dell’autore nel quale, secondo il verbale della polizia, “ci sono frasi come leccare la fica, succhiare il cazzo e altre cose che non dovrebbero essere presenti in un rgiornale come Akhbar Al-Adab”. «I giornalisti egiziani non erano in grado di raggiungermi», ha detto Tawfik, un uomo tracagnotto con un pizzetto spesso, grigio e poco curato. Dopo settimane di ricerche sono riuscito a incontrarlo nel suo piccolo ufficio senza finestre al Cairo. Indossava un plaid arancione, sulla scrivania pile di carte che superavano le sue spalle. Due ragazze avvocato si sono subito unite a noi.
«Se vieni nella mia casa devi entrare con la giusta morale», mi dice in Arabo riferendosi al testo di Naji, o forse alla mia presenza non richiesta nel suo ufficio. «Non mi importa se altra gente compra o approva questo romanzo, se vieni a casa mia non puoi dire queste cose volgari. Puoi scrivere cosa vuoi, io ho il diritto di accettarlo o rifiutarlo. Ma queste riviste entrano a casa mia con il nome di adab». Qui Tawfik si riferisce al doppio significato della parola, letteratura e morale. «Rifiuto quello che c’è scritto. Non ho niente di personale contro Ahmed Naji. Non voglio che entri in casa mia con quelle parole». Tawfik si è poi alzato dalla sua scrivania e ha iniziato a rovistare in una delle pile di scartoffie. Alla fine tira fuori una cartellina lucida di colore rosa. Dopo averla aperta mi mostra una lettera aperta che gli ha scritto un blogger. Una frase lo ha mandato su tutte le furie: «È tutto normale; lei, semplicemente, non sa leggere».
Successivamente l’avvocato tira fuori un numero di Akhbar Al-Adab, febbraio 2016, la settimana della condanna di Naji. Sulla copertina della rivista c’è un ritratto di Naji, tutti gli articoli sono dedicati a lui. «È su tutte le pagine», diceva Tawfik indicando tutte le foto dell’autore presenti nel numero. «La rivista sta pubblicando Ahmed Naji, sta parlando dei suoi valori e mi sta distruggendo solo perchè ho detto no». Tawfik urla, questa volta in inglese: «Non entrare in casa mia!».
«Questo non è un magazine erotico o una cosa del genere», dice. «Non voglio che questa roba entri a casa mia nascosta in un giornale ufficiale. Adesso sono molto innervosito». Il suo atteggiamento e la sua confusione su come abbia messo le mani su una rivista letteraria di nicchia lasciano molte domande ancora aperte. L’uomo continuava ad alzare la voce ogni volta che gli chiedevo la sue motivazioni per aver iniziato il caso, soprattutto se alludevo ad un possibile collegamento con le visioni politiche di Naji. Non ha voluto rispondere. «Tutte le libertà hanno limiti – dice – i limiti sono nel dolore degli altri». Ciò nonostante, quando ho parlato con Naji quella notte, lui era seduto in prigione con il suo dolore.
La condanna di Naji è solo superficialmente connessa al più ampio circuito del dissenso a proposito della libertà d’espressione. «Il presidente al-Sisi non ha mica chiamato di persona questo pubblico ministero», dice El Toukhy, lo scrittore, a proposito dell’uomo che ha preso il potere a luglio 2013, «ma il clima con Sisi sullo scranno più alto delle autorità… sono ispirati da lui». L’atmosfera di censura e auto-censura, gli arresti arbitrari e i raid della polizia, incoraggiano le lamentele assurde che possono consentire a un pubblico ministero con delle ambizioni di farsi un nome condannando un famoso scrittore.
I legali dell’autore non vogliono esporsi sul perchè una causa del genere abbia colpito proprio Naji. «Se non è una cosa organizzata allora ha davvero una sfortuna del cazzo», ha detto Yaacoub a proposito delle bizzarre circostanze che hanno portato alla condanna. Lo stesso Tawfik non ha fornito grande chiarezza sul caso; si tratta di uno dei tanti casi di censura del paese. «La storia è piena di persone che sono andate in carcere, o bruciate, per colpa delle loro idea», ha detto il premio Nobel egiziano Naguib Mafouz a Paris Review nel 1992. «La società ha sempre difeso se stessa. Adesso lo fa con la polizia e le corti di tribunale. Io difendo sia la libertà d’espressione che la libertà della società di contrastarla. Pagherò il prezzo del mio dissenso». Naji ha pagato il suo.
Proprio come Mahfouz. Negli ultimi anni ’80, infatti, l’estremista musulmano Omar Abdel-Rahman, conosciuto come lo Sceicco Cieco, aveva lanciato una fatwa contro l’autore, colpevole di aver insultato Dio nel suo romanzo del 1959, Children of Gebelawi. (Abdel-Rahman è morto di recente mentre scontava l’ergastolo negli Stati Uniti, condannato per aver cospirato in occasione dell’attacco al World Trade Center del 1993). Piuttosto che denunciarlo in tribunale, però, nel 1994 un islamista ha pugnalato Mahfouz nel collo. È sopravvissuto.
Quando è arrivata l’estate, sei mesi dopo la sua condanna, Naji era ormai lontano dall’attenzione pubblica. «In Egitto c’è sempre qualcosa di nuovo», mi ha detto il fratello Mohamed ad Agosto mentre mangiavamo una pizza a Piazza Tahrir. Ahmed Naji era uno dei tanti incarcerati per aver svolto il proprio lavoro: solo nel 2016, 25 giornalisti sono stati incarcerati per aver diffuso presunte fake news o per essersi iscritti a gruppi fuorilegge; il gruppo vocale The Street Children, incarcerato per aver “tentato di rovesciare il regime” con dei video virali, e tanti altri. «Con il tempo la gente ha perso interesse nei confronti del caso», mi ha detto Mohamed, un cardiologo. Naji stava perdendo ogni speranza. Durante l’udienza d’appello dello scorso novembre, seduto vicino a tutti gli amici dello scrittore, Mohamed sembrava rassegnato a dover vedere il fratello scontare tutto il resto della pena.
La massima corte d’appello del paese doveva pronunciarsi sul caso di Naji a dicembre 2016. Poteva uscire dopo aver già scontato dieci mesi della pena, ma l’accusa ha commesso degli errori nella trasmissione delle carte e la sentenza è stata rinviata. La lentezza dell’accusa, però, ha permesso ai giudici d’appello di sospendere la sentenza di Naji e richiederne il rilascio. «Si tratta di un miracolo», ha detto la fidanzata di Naji, Yasmin Hosam El Din, insieme a uno degli avvocati della difesa. «Non sarebbe mai stato rilasciato se tutto fosse andato come programmato». La corte continuerà a investigare la condanna di febbraio 2016 – anche se questo potrebbe costringere Naji a scontare il resto della pena – ma, per ora, l’autore è libero. Una volta rimesso piede sulle strade del Cairo, Naji ha rifiutato ogni intervista e fotografia. Ma non ha certo perso il suo senso dell’umorismo. Ha postato su Facebook, infatti, un video di Elvis Presley mentre interpreta Jailhouse Rock.
«Naji è la ragione che mi ha portato a non abbandonare la rivoluzione», ha detto Khaled Fahmy. «Le rivoluzioni non finiscono in una notte. Le rivoluzioni si vincono pezzo per pezzo, giorno dopo giorno, una fatica dopo l’altra. E questa è una fatica molto significativa, anche se la giuria deve ancora pronunciarsi».
Alla fine di dicembre, dopo quasi 300 giorni offline, lo scrittore ha pubblicato un lungo messaggio di calore e gratitudine sulla sua pagina Facebook. «Non sarei mai stato in grado di sopportare gli scarafaggi, il sudore, il freddo e le umiliazioni della vita carceraria senza la compagnia dei miei amici detenuti», ha scritto Naji. Ai suoi amici, invece, ha offerto una semplice promessa: «Le nostre notti stanno arrivando, insieme ad abbracci esuberanti e lunghe discussioni verso l’orizzonte».
Finchè il caso rimarrà aperto Naji non potrà lasciare il paese per visitare suo padre, che non vede da più di un anno, in Kuwait. «Non sono nervoso, sono annoiato», ha detto Naji a proposito dell’attesa per la prossima sessione d’appello, che sarà ad aprile. «Voglio che questa storia si chiuda, in qualsiasi modo». Ancora in pigiama, bevendo un espresso, mi consegna una copia di The Mistery of the Split Festival, una raccolta di brevi racconti che ha scritto nella decade precedente alla sua incarcerazione. Voleva che uscisse prima della fine del 2016, voleva che fosse un documento dei suoi vent’anni e una testimonianza della sua volontà di andare oltre.
Mentre era in prigione ha scritto parte di un romanzo interamente a mano libera, qualcosa che non faceva sin da quando era bambino. Scrivere era un modo per riempire le giornate che sembravano infinite. Nascondeva le pagine del romanzo durante i controlli dei secondini, aveva paura che potessero confiscargliele. Adesso ha iniziato a ribatterle al computer. «Adesso voglio dedicare più tempo alla letteratura». Nonostante tutto quello che è successo a Naji, il suo prossimo libro è la priorità. Scrivere romanzi in Egitto, oggi, significa resistere.