Forse per Fabi, Silvestri e Gazzé, che pubblicano Il padrone della festa martedì 16 settembre, si può rispolverare il termine “supergruppo”, molto in voga negli anni Settanta. Non è una novità assoluta, che i cantautori si uniscano in joint venture. In genere capita per un tour: è un buon sistema per riunire due bacini d’utenza vicini, agganciando qualcuno della fan base della controparte.
Ma un album, pensato e composto insieme, presuppone qualcosa di più. Certo, per quanto il convergere dei loro percorsi appaia del tutto naturale, vista l’amicizia tra i soggetti, usciti dalla stessa (scusate il termine) scena, quella romana degli anni Novanta, il varo di questo trio suscita più di una curiosità. Per dirla tutta: chissà se questa voglia di far parte di una band non rappresenta un ulteriore segnale della crisi della figura cantautorale. Oppure chi lo sa: dopo vent’anni, ci si sente soli.
Avevate già fatto diverse cose insieme, canzoni o tour, ma sempre a coppie. Quando avete pensato a un disco come trio?
Silvestri: Nell’ottobre 2013 abbiamo preso gli zaini per seguire Niccolò in Sud Sudan, dove stava andando per motivi umanitari. Il confronto con quanto abbiamo visto laggiù ha fatto scattare una voglia di ulteriore confronto tra noi. Diversi brani sono nati da quel viaggio, come il pezzo che dà il titolo al disco, Il padrone della festa: parla del nostro pianeta. Ma non è un disco ecologista in senso diretto. Anche perché parlando di natura, si suona sempre riduttivi e retorici.
Fabi: E per contro, a forza di avere paura della retorica non se ne parla.
Da quanto vi conoscete?
Gazzé: Dal 1993. Suonavamo con gli stessi musicisti, negli stessi locali di Roma.
Silvestri: Però non ci stavamo sulle palle. Erano anni miracolosi. Era tutto bello. Abbiamo condiviso un luogo, cioè Il Locale di Roma, e un periodo, che avevano una forza magica e irripetibile.
Gazzé: Era un buon periodo per fare i musicisti, abbiamo preso l’ultimo treno prima della crisi della discografia.
C’è in giro un certo rimpianto per gli anni Novanta.
Gazzé: C’era un fermento maggiore rispetto ad ora, una concomitanza di eventi e persone che ha fatto uscire tanti progetti dallo stesso luogo. E non solo musicisti, c’erano altri artisti, giornalisti, discografici. L’ambiente era interessante.
Fabi: Noi abbiamo vissuto l’ultimo momento in cui l’industria discografica era un punto di riferimento. Avevamo la sensazione di poter fare le cose, di avere un interlocutore. C’era un sistema pronto ad accoglierci. Sistema che poi ha collassato: l’inesistenza di un punto di riferimento ha tolto ogni aspettativa ai ragazzi delle generazioni successive, lasciando in piedi solo il sistema televisivo. Separandolo però da chi suona le chitarre nelle cantine. Ora probabilmente lo stimolo creativo si sviluppa attorno a canali nuovi, soprattutto internet, ma in diversi casi anche la televisione.
Silvestri: Non è facile avere una percezione storica, magari quella fase ci sembra irripetibile e unica per motivi sentimentali. Però quel contesto metteva assieme tante alchimie che oggi mi sembrano difficili da generare a tavolino. Forse al di là del momento storico è stato più culo che strategia.
Ma dopo vent’anni da cantautori, come si entra in un gruppo?
Fabi: Ci vuole una certa maturità e predisposizione all’apertura, ad ascoltarsi. L’artista, soprattutto il cantautore è spesso in una gabbia in cui si è chiuso, circondato da specchi. Ognuno di noi ha portato idee, spunti. È stato bello anche cambiare i nostri schemi. Del resto sappiamo anche che la stagione bella di un cantautore finisce intorno ai 45 anni.
Lo pensi davvero?
Fabi: Forse detto così suona brutale, ma per me la canzone è un luogo che esprime lo slancio giovanile. Nella maggior parte dei dischi cantautorali è così perché in un certo momento della tua vita la canzone è fondamentale per esprimere te stesso. Poi diventando adulto ti accadono cose che non sempre tu hai voglia di raccontare con la stessa sensazione di necessità che avevi da 18 a 25 anni. Quando senti le canzoni d’amore dei 50enni che vogliono raccontare quella cosa sono terribili…
Silvestri: D’altro canto il nostro lavoro è smentire tutto ciò. Per esempio io credo che l’ultimo disco di Niccolò sia il migliore che abbia mai fatto. Oppure, nell’ultimo singolo di David Bowie c’è un sentimento, una forza che forse è pari a quelle di quando aveva 25 anni. È vero, la canzone è una stagione della vita. Per chi la scrive e chi la ascolta. Però si possono trovare dei modi… Per esempio, noi tre insieme: io in questa cosa ci vedo del coraggio e lo rivendico. La logica, la carriera, persino la famiglia ci suggerivano di proseguire un percorso tranquillo con le sue certezze e solidità. Smontare quelle sicurezze, interrompendo le carriere singole è secondo me uno slancio.
C’è stata l’ipotesi di chiamare un quarto, il Neil Young della situazione? Chi poteva essere?
Silvestri: Un pensierino a coinvolgere Samuele Bersani lo abbiamo fatto. Però per come ha preso forma il lavoro non credo sarebbe stato possibile pensare a un quarto. Gli equilibri trovati in tre sarebbero stati difficili da mantenere in quattro.
Fabi: Il fatto è che tra noi abbiamo trovato un metodo. Io in genere parto prima, ho una visione immediata che seguo con impeto. L’asse principale è tra me e Daniele. Poi Max subentra e scompagina, lui non ha un ordine metodologico… nella vita e nella musica.
Voi confermate?
Silvestri: Niccolò è quello con la vocazione al traino. Spesso è posseduto da uno spirito-guida che io e Max abbiamo chiamato, appunto, Guido. A un certo punto volevamo intitolare l’album: Il Disco di Guido.
Fabi: In genere dopo che io ho dato l’input iniziale interviene Daniele che rielabora, portando lo spunto dove io non avrei mai pensato, aprendogli più possibilità. Infine Max entra e rende tutto imprevedibile, con cose che apparentemente non c’entrano un cazzo. E spesso non è apparenza, non c’entrano davvero.
Gazzé: Oh, grazie.
Fabi: È più inaffidabile, ma nel triangolo c’è bisogno di lui. Io e Daniele siamo più razionali, lui è più etereo, gassoso…
Gazzé: Gazzoso.
Fabi: Max ha una caratteristica: testi che magari sono estremamente struggenti ma il suo modo di cantare e a volte una certa teatralità sembrano disinnescare il testo.
Silvestri: Niccolò ha le idee più chiare dal punto di vista artistico, è quello con la visione più chiara che noi abbiamo fatto nostra. Per altre cose si è dovuto adeguare, magari regalando più al divertimento rispetto e lasciando un po’ di purezza.
Gazzé: Il disco mi piace e non sarei riuscito a farlo da solo. Le alchimie che lo rendono unico sono dovute a come siamo diversi. E gli spunti che abbiamo sviluppato non si sarebbero consolidati se Fabi non avesse avuto la prospettiva più forte. Interessante, perché peraltro Fabi passa per essere il cantautore più ortodosso. Anche come personaggio, rispetto a uno che ogni tanto la butta in discomusic e un altro che appare con gli occhi alla Marilyn Manson.
Gazzé: Beh, quella era una deformazione teatrale del personaggio.
Fabi: Però è vero che il vostro linguaggio dal punto di vista della comunicativa avete una destrezza con l’ironia che io non possiedo, cosa che vi rende più estremi come possibilità di linguaggio. I nostri campi di competenza sono molto diversi. Dovessi cercare tre parole per definirci, direi…
Silvestri: Sole cuore amore?
Fabi: No, direi Max creatività, Daniele intelligenza, io sensibilità. No?
Silvestri: Può essere.
Fabi: L’ha detto Guido, non io!