Non è più il grande schivo di una volta, Francesco De Gregori. «Ma in fondo non lo sono mai stato!», sbotta a un certo punto della conferenza stampa per la presentazione di Vivavoce, il doppio album in uscita oggi, lunedì 10 novembre. Ventotto canzoni, già edite ma riviste totalmente negli arrangiamenti per dimostrare come «siano cambiate nel corso di questi anni ma senza volerle fermare nemmeno ora, nel 2014». Da Alice, primo singolo in radio insieme a Luciano Ligabue alla Donna Cannone, il secondo, riarrangiato da Nicola Piovani.
Da Generale e Viva L’Italia a brani meno conosciuti come Un Guanto, Finestre Rotte e Gambadilegno a Parigi ma che non «vanno considerati come repertorio minore. Alcuni brani si radicano più facilmente e diventano più conosciuti. Ma ognuno ha le sue preferenze, per esempio ci sono persone che si sono stancate di sentire Generale e per loro magari canto Un Guanto».
In questo momento De Gregori è in tour in Europa (il 12 è in Lussemburgo, il 16 a Londra, il 18 a Bruxelles, il 22 a Locarno), «sarei dovuto andare prima. Magari quindici anni fa, non so come mai non l’ho fatto. È andata così, sarei stato anche più agile di oggi». E durante il concerto agli italiani presenti dedica Viva l’Italia, in genere al secondo posto in scaletta: «All’estero vengono molti italiani ai miei concerti, ovviamente, e sono contenti di sentire quel brano che scrissi nel ’79, sono molto nostalgici e in più ultimamente sentono parlare del loro Paese solo in termini denigratori».
Di Italia, e di politica soprattutto, però, De Gregori non vuole assolutamente parlare. «Penso che se dovessi esprimere un mio pensiero in questo momento lo dovrei fare in maniera approssimativa e superficiale e non ne ho voglia. Ho un’idea troppo alta della politica per liquidarla in questo modo».
Anche sul futuro del nostro Paese non vuole esprimersi anche se ha scritto Futuro (traducendo Future di Leonard Cohen), suo guru personale: «Non sono uno sciamano. Non so cosa ci capiterà, ma come canto in Ragazza del ’95, “Oggi penso che il futuro sia un dovere”. Se tutti si rendessero conto che il futuro è un insieme di doveri e di diritti, si potrà andare avanti».
C’è spazio anche per il ricordo del suo grande amico Lucio Dalla, e nella coda di Santa Lucia compare il riff di Come è profondo il mare. «Nei giorni immediatamente successivi alla sua scomparsa non riuscivo a dire niente, talmente era dolorosa per me quella perdita. Oggi riesco a parlare un po’ di più e a dire che ciò che mi fa più male è la consapevolezza che avremmo sicuramente collaborato ancora insieme. Eravamo riusciti a farlo nel ’79 e nel 2010, è raro che tra due musicisti i rapporti possano continuare così a lungo, quindi sarebbe successo di nuovo: alle Tremiti, a una festa in piscina, non so dove».
Per presentare questo doppio album De Gregori ha chiamato degli amici di sempre come Giorgio Panariello (oggi alla Feltrinelli di Milano), Luca Barbarossa (domani a Roma), Massimo Gramellini (a Torino, il 24 novembre) e Nino D’Angelo (a Napoli, il 26 novembre) e qualcuno gli fa notare che forse è davvero cambiato. Il cantautore romano terrà anche due grandi concerti nel 2015 per il Vivavoce Tour: il 20 marzo al Palalottomatica di Roma e il 23 marzo al Mediolanum Forum di Assago (Milano). E per il suo futuro, quello immediato, vede un lavoro su Bob Dylan, altro suo mentore, «sto traducendo alcune sue canzoni, quelle meno conosciute ma sempre bellissime».
Quando gli viene chiesto come è nata la collaborazione con Ligabue racconta: «Lo conosco ormai da quindici anni ma mi ricordo bene un incontro. Io stavo cenando con tutta la mia famiglia prima di un concerto. Era una cena triste come tutte quelle che precedono un momento di tensione. Ad un certo punto arrivò Ligabue e venne a salutarmi. A quel punto le mie quotazioni con i miei famigliari e i miei figli sono cresciute in maniera esponenziale: tutti a chiedermi ma tu conosci Ligabue?! ». No, non è davvero l’immagine di De Gregori che tutti avevano fino a qualche tempo fa. Il grande schivo non esiste più.