70 anni fa, il 27 gennaio 1945, furono abbattuti i cancelli del campo di sterminio di Auschwitz e l’orrore del genocidio nazista venne rivelato al mondo. Per questo, dal 2005, è il giorno che le Nazioni Unite hanno scelto come “Giornata della Memoria”.
Rolling Stone ha scelto di affidare la memoria della Shoah alla musica, grazie a Francesco Lotoro, insegnante di pianoforte al conservatorio di Foggia che ha dedicato la sua vita a scovare e far rinascere partiture musicali scritte da ebrei ed internati.
Loro non sono sopravvissuti all’orrore, ma la loro musica sì. Il professor Lotoro si è avvicinato per curiosità a questo mondo di spartiti scritti e dispersi ovunque, dai nastri alla carta igienica; una curiosità che pian piano è diventata missione etica, umana ed artistica. È partito per la prima volta nel 1990 e non si è più fermato.
Ha incontrato le famiglie dei deportati e ha trascritto più di 4.000 opere su pentagramma (ne sono nati 24 cd prodotti dall’associazione Musikstrasse): moltissime le trovate nell’Enciclopedia Thesaurus Musicae Concentrationariae (Kz Music) ma sono più di 13.000 quelle ancora da decifrare. Un lavoro che impegna le notti di Francesco, nel suo appartamento di Barletta stracolmo di materiale.
«Fare musica è da sempre una esigenza intellettuale e spirituale dell’uomo; deportazione, cattività, lavoro coatto e altre forme di costrizione fisica e psicologica non ostacolarono ma anzi incoraggiarono i processi di creazione artistica», dice Lotoro. È quello che è successo anche nei lager del Terzo Reich, dove spesso erano presenti strumenti musicali e si improvvisavano formazioni musicali che suonavano all’arrivo dei treni pieni di deportati. All’inizio era una strategia per celare quello che stava per succedere. Ora è il modo in cui l’arte è sopravvissuta alla furia dello sterminio nazista.