Il ritrovo è programmato per le nove meno qualcosa al nuovo pub sotto la redazione di Rolling Stone. L’idea è di mangiare due robe al volo, per poi saltare in macchina tipo Boe e Duke e catapultarsi al Fabrique di Via Fantoli per la Beck’s UNacademy Night.
Ordino una birra e un panino: la prima arriva, il secondo, no. Mentre cerco di addurre mentalmente varie motivazioni per autoconvincermi dell’assioma birra=pasto (oh, in fondo contiene più nutrienti dell’acqua distillata), arriviamo finalmente al Fabrique.
Dentro c’è un bel mood. La gente, perlopiù fan dei Subsonica, si beve le birrette — i bartender ti versano la Beck’s persino nel mojito, storci il naso, lo assaggi e cambi idea — mentre DJ Aladyn ai piatti suona un po’ tutto il repertorio di Rick Rubin, dai Run DMC ai Beastie.
Proprio per non turbare questo clima iniziale, la line up è stata concepita per proporre prima gli artisti dal sound più blando e poi lasciare il posto ai più forsennati. Senza menate gerarchiche da prime donne per stabilire un headliner.
La scelta non ha che giovato alla naturalezza delle performances dal vivo, aperte dal vellutato lounge funk del basso a sei corde di Saturnino. E sembra non invecchiare mai, lui. Magari dorme nella formaldeide e si nutre di soli mirtilli e acqua di fonte, fatto sta che nel bel mezzo di questi vaneggi la sua esibizione termina ed è Nikki di Radio Deejay a salire sul palco.
L’incarico di tenere alta la carburazione del pubblico è stato infatti affibiato alla voce di Tropical Pizza. Non solo, dopo qualche splendido brano unplugged di Levante (sgamata nel backstage a scambiarsi tenere effusioni con il suo Bob Rifo), Nikki coglie l’occasione per chiamare sul palco i 20 finalisti dell’Unacademy, che poi era la scusa ufficiale della serata.
E poi Coez. capace ma forse passato un po’ in sordina perché era l’unico rapper a “competere” con big Emis Killa subito dopo, che con la sua irruenza squisitamente zarra ne ha eclissato l’esibizione. «Dai, me li tolgo se no poi dite che non sono un bravo ragazzo» dice alla folla Emis parlando dei suoi wayfarer da sole, il tutto, con una media di 36 sillabe al secondo. Poi se li rimette, suona l’ultima hit Maracanà e se ne esce in grande pompa.
Tempo di fare l’ultima coda per l’ennesima birretta ed ecco apparire il viso di Samuel sul megaschermo dietro al palco — ogni esibizione era anticipata da una pillola dell’artista su temi come creatività e arte. Urli e fischi, i cinque veterani entrano in scena. Qualche ruga e capello bianco in più (bassista e cantante esclusi), ma pur sempre i Subsonica.
Saggiamente, la scaletta procede a ritroso rispetto alla discografia. Inizia quindi Specchio, ricca di spunti black, e poi Veleno. Le prime note di Liberi tutti mi riportano agli anni dell’adolescenza e al concertone all’Isozaki del 2006. Nel giro di tre brani, l’atmosfera si è letteralmente incendiata, trascinando inesorabilmente tutti a sgomitare sotto il palco. Non c’è spazio tra una bomba e l’altra e il crescendo rossiniano dopo Benzina Ogoshi e L’errore, raggiunge l’apogeo con la versione oscura di Tutti i miei sbagli contenuta in Terrestre. Usciamo senza voce dal Fabrique. Non mi sono mai divertito tanto di lunedì sera.