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Benvenuti nella factory dei Niagara

«Siamo fricchettoni moderni, che vivono in mezzo alla tecnologia anziché tra i verdi prati»: parola di Niagara, band torinese che per noi interpreta un film fashion molto psichedelico. Che potete rivivere al Mi Ami festival al Magnolia di Segrate

I Niagara nel servizio Rolling Style del mese di maggio - GABRIELE e DAVIDE (da sinistra) indossano total look K-Way Le Vrai 3.0. PAOLO (il batterista) indossa giacca in nylon camouflage e pantaloni Blauer, occhiali Ray-Ban

I Niagara nel servizio Rolling Style del mese di maggio - GABRIELE e DAVIDE (da sinistra) indossano total look K-Way Le Vrai 3.0. PAOLO (il batterista) indossa giacca in nylon camouflage e pantaloni Blauer, occhiali Ray-Ban

«Noi lo chiamavamo Niagara… Le idee gli vengono così, gli escono dalla testa a milioni, ogni secondo di ogni giorno, infinite e travolgenti». Così un vecchio compagno di stanza parla di Ty, il fondatore della futura azienda-mondo Il Cerchio, nell’omonimo romanzo di Dave Eggers. Un Niagara non molto distante da quello che Davide Tomat e Gabriele Ottino hanno trasformato in band: «Un progetto», racconta Davide, «che è il collante per tenere insieme più di sette anni di nottate passate a suonare e discutere, e in cui ti vengono un sacco di idee».

Il loro Cerchio, meno glamour e più scassato dell’originale, si chiama Superbudda ed è un collettivo creativo al cui interno si producono video, musica e fotografia – pure l’editing del servizio fotografico che vedete in queste pagine – con sede in un edificio della Torino operaia che fu, ora meeting-point di creatività alla berlinese. È qui che si fa serata, lavorando e non (ma, proprio come nel Cerchio di Eggers, la differenza è sottilissima), in un’unica lunga jam session. Può succedere quindi che al nostro appuntamento su Skype, un lunedì mattina alle dieci e mezzo, i due abbiano la voce impastata e il mood morbido del risveglio coatto.

La musica dei Niagara – un synth pop dilatato ed evocativo che ricorda Animal Collective e Liars (questi ultimi gli hanno appena remixato il pezzo Else) – e il loro immaginario visivo, tra l’Harmony Korine di Gummo e l’estetica videoclippara più arty, hanno molto a che fare con la psichedelia (parola che tornerà spesso nel corso dell’intervista).

Quindi gli chiedo subito se non si offendono se uno li chiama fricchettoni: «Certo che non ci offendiamo, siamo fricchettoni moderni che vivono sulle nuvole, ma in mezzo alla tecnologia anziché tra i verdi prati». Ecco, chiacchierare in Rete, di musica e non, con due fricchettoni – contemporanei e appena svegli – è una sorta di indagine sulla stato della psichedelia: «I Niagara», racconta Gabriele, «hanno una visione sciamanica, è un percorso spirituale di riscoperta di quello che siamo, e che ci lega alla terra».

Fare musica psichedelica significa non essere soddisfatti del mondo in cui viviamo

«La psichedelia», gli fa eco Davide, «è per noi un’apertura di vedute, significa alzare il proprio punto di vista e capire che siamo un affarino minuscolo dentro un caleidoscopio gigante». Già, ma dove sono andati a finire l’anticapitalismo, l’anticonsumismo e il pacifismo dei vecchi fricchettoni anni ’7o raccontati da Vizio di Forma di Thomas Pynchon e portati al cinema da Paul Thomas Anderson? «Fare musica psichedelica significa anche non essere soddisfatti del mondo in cui viviamo, che non è in armonia con quello che abbiamo dentro», anticipa Davide, cui si aggiunge nel flusso il pensiero di Gabriele.

Certo che non ci offendiamo
siamo fricchettoni moderni

«L’armonia l’abbiamo trovata quando abbiamo mandato a cagare le major per riuscire a fare quello che volevamo in totale libertà: ci siamo staccati dalla musica italiana, abbiamo mandato il materiale all’estero e siamo da sette anni con un’etichetta inglese fuori di testa, la Monotreme Records». «È stato proprio questo», conclude Davide, «il nostro atto politico: toglierci da tutto e andarcene per i cazzi nostri».

Niagara - Currybox

Del resto i Niagara si sono sempre sentiti estranei alla realtà italiana, e non tanto per snobismo («I nostri genitori ci facevano ascoltare i Pink Floyd»), ma per insofferenza: al «sono stato esposto alla cultura italiana per molti anni» di Gabriele risponde Davide: «Lo dici come se fossi stato esposto alle radiazioni». Sarà per questo motivo che l’ultimo album, Don’t take it personally, è stato registrato a Berlino e che in questi giorni stanno per iniziare un mini tour europeo per poi tornare nella capitale tedesca a produrre nuovo materiale: «Ci serve per trovare l’ispirazione, non andiamo molto in giro a ballare, ci rintaniamo in studio».

Il tempo per l’intervista, seppur psichedelicamente dilatato, sta per finire, visto che i due hanno un appuntamento alla Scuola Holden di Torino, quella di Baricco, per uno speech: «Parleremo di noi, di come rimanere duri e puri, senza fare gli eroi, e andare vanti per la propria strada, anche a costo di metterci il paraocchi come i cavalli per non farci prendere male da tutto quello che succede intorno». E se Baricco, o chi per lui, gli chiedesse cosa ne sarebbe di loro oggi se fosse fallito il progetto Niagara? «Saremmo diventati o due depressi cronici o due tossici», sentenzia Davide. E Gabriele chiude così: «Per fare i musicisti abbiamo eliminato tutti i piani B. Funziona per forza».

Dylan

Questo articolo è stato pubblicato su Rolling Stone di maggio.
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