Ci ho messo un mese per capire il disco di Fibra, per collocarlo nella distanza tra un 40enne a casa davanti al computer e il ragazzetto che sta rollando seduto sul mio motorino. Sedotto e infastidito dalle sue ossessioni – il denaro sporco, il successo facile, la famosa street credibility – ipnotizzato da un flow che fa della ripetizione ossessiva (A volte, E tu ci convivi, A casa) il suo punto di forza, e infine confuso dall’enfasi pessimista del dark side di Fibra (Il rap nel mio Paese, Dexter), stavo per liquidare Squallor come un passo falso, un paranoico j’accuse contro il rap italiano.
Sbagliavo. Squallor è un solido disco di rap (non solo italiano) a torso nudo – nervi e muscoli messi in mostra da basi ben prodotte, nei e ferite sparse – dove l’hardcore s’installa su uno scheletro pop (non il contrario, e questa è la buona notizia). Poi, per provocare, ho detto al ragazzetto che fumava che Troie in Porsche – la prima traccia – è la nuova Io sto bene dei Cccp (“Non studio / non lavoro / non guardo la tv”)