Intervistare Giuliano Dottori potrebbe rivelarsi impresa non facile.
La prima volta lo chiamo, parliamo qualche minuto, e poi fine. Muto. Mi butta giù il telefono perché allo stesso tempo stava guidando. E c’erano i vigili. Lo richiamo, lo rimprovero perché non si parla alla guida e finalmente possiamo chiacchierare un po’.
Qualche giorno fa è uscito il suo ultimo video, Fiorire, con Dimartino. Il brano è estratto da L’Arte Della Guerra Vol.2 . Un disco che ha avuto una lavorazione non semplicissima perché le canzoni sono state scritte tutte 4 anni fa, quando aveva 35 anni, che è un po’ un’età strana: «A 30 anni mi sentivo un fiore di primavera, ora ne ho 39 ed è devastante (ride)».
Beh ma anche tu sei un Forever Giovane, lo dici anche in una canzone dell’album.
«Quando l’ho scritta vivevo un momento delicato, di transizione. È nata come canzone tristissima, se ascolti il primo demo è davvero deprimente. Poi però ho iniziato a tirare fuori un ritmo nuovo, più vivace, in contrapposizione al testo».
“La guerra” di cui parli nel titolo è quella quotidiana?
«Esatto. L’arte Della Guerra è l’arte di apprendere come combattere ogni giorno, una sorta di strategia di sopravvivenza. Mi sono ispirato al trattato di Sun Tzu (il più antico testo di arte militare esistente) che parla tantissimo anche di come interpretare i segni della natura. Quando attaccare, quando temporeggiare. Per noi metropolitani con i polmoni pieni di smog, interpretare i segni della natura è molto importante».
Il Fiorire è sicuramente uno dei più bei segni della natura. Com’è nata la collaborazione con Dimartino per questo brano? .
«Ci stimiamo da un po’, si può dire che facciamo parte dello stesso giro. Avevo questa canzone e pensavo che sarebbe stata perfetta per la sua voce. Solo che non riuscivamo mai a incontrarci. Abitiamo a mille chilometri di distanza. Ma alla fine, in chiusura del disco, ce l’abbiamo fatta. E sono molto felice».
Qualche giorno fa è uscito il video. In primis vorrei farvi i complimenti per aver scelto come location il ponte della Becca. Ho sempre amato quel pezzo di Twin Peaks nel pavese.
«Sì, è un posto davvero magico. Anche da un punto di vista simbolico. È il luogo dove si incontrano i due fiumi (Ticino e Po) e ho pensato fosse il luogo perfetto per il duetto».
Non è l’unico featuring dell’album.
«No, c’è anche Ghemon. Avevo scritto questo brano, Il Pavimento del Mattino, che doveva assolutamente essere completato con un pezzo hip-hop. Così ho chiamato lui. Non ti dico per registrarlo che fatica. Lui era sempre in giro con la promozione e il tour di Orchidee. Poi, finalmente, una mattina siamo riusciti ad incontrarci. E ci siamo divertiti».
Perché hai deciso di dividere il disco in due? Ultimamente pare essere molto di moda.
«Perché mi copiano (ride). Quando è uscito Wow dei Verdena, anche io avrei voluto tanto fare un disco doppio. Però io non sono come loro, non riesco a chiudermi in studio 3 anni e a fare un disco di tante tracce. Così ho deciso di dividerlo. E poi ho visto che quest’anno l’hanno fatto anche loro.
Il volume 1 e 2 sono più che altro una divisione pratica. 16 pezzi insieme per me sono troppi. Penso che la durata ideale sia 30 minuti».
Tu hai prodotto entrambi i dischi col crowdfunding. Che esperienza è stata? Pensi sia necessario costruire un rapporto più marcato con i fan rispetto a qualche anno fa?
«Sicuramente sì. In questo momento, dove è tutto veloce ed è difficile creare un rapporto con chi ascolta, mi è servito. Io avevo già una piccola storia, sia da solista che con gli Amor Fou. Col crowdfunding però ho solidificato il legame e sento una responsabilità diversa. Il mio prossimo disco dev’essere più bello di questo. Ho alzato l’asticella».
Tantissimi artisti usano il fund raising: pensi che la discografia abbia saltato qualche passaggio se siamo arrivati a questo?
«La discografia ha le sue colpe ma non è tutta colpa delle major. Il mondo è cambiato. Il grosso limite della discografia è il limite che hanno tutte le aziende che devono fatturare. La stessa discografia insegna però che gli artisti più prolifici ci hanno messo anni per diventare quello che sono. Bisognerebbe far crescere gli artisti».
Cosa che adesso non succede praticamente più.
«Esatto. Li vogliono già pronti. Poi se va male l’anno prossimo ne arrivano altri. Io quando parlo di questo argomento prendo sempre Lucio Dalla come esempio. Nei primi 5 anni di carriera ha fatto 5 dischi. Ha avuto il tempo di crescere e diventare poi quello che è stato. C’erano i mezzi, il tempo e la pazienza. Ora gli artisti dei talent fanno 15 milioni di visualizzazioni ma poi non riescono a fare i concerti perché la gente non ci va».
Infatti ora il parametro di valutazione di successo è il click
«Vero, già fanno la differenza. Io credo che però alla fine se un discografico vuole puntare su qualcuno debba farlo a 360 gradi. Se sei bravo poi i numeri si fanno. Bisognerebbe fare un discorso più equilibrato e avere più pazienza.
Un esempio riuscito? Emma. Dal vivo spacca, è credibile. Ha messo in piedi un progetto con i controcazzi e dal vivo è bravissima».
E tu quando ci vai in tour?
«Tra qualche giorno pubblicherò il calendario, 15 date. E poi ho un piccolo sogno: parallelamente vorrei fare un busker tour. Mi piacerebbe suonare di giorno per strada e la sera nei club. O viceversa.
Poi sto producendo molti artisti nel mio studio. Ora sto lavorando con Les Enfants, un gruppo di ragazzi giovanissimi. Sono davvero bravi. Gli ho detto andate a X Factor, però non ci sono mica andati».
Ah, per dovere di cronaca: alla fine la multa non gliel’hanno fatta.
Questa la cover del disco. Il volume 1 invece lo trovate qui.