Un estratto dal racconto “Nessuno va in Paradiso per vedere Dan Fogelberg”. Il libro “Una cosa ancora” di B. J. Novak è pubblicato da Baldini&Castoldi
Tim, nove anni, si chinò sulla nonna che giaceva sul letto dell’ospedale. La baciò dolcemente sul viso evitando i tubi che aveva nel naso.
«Ti voglio bene, nonna», disse Tim. «Prometto che verrò a trovarti in paradiso.»
Il giorno successivo, la nonna di Tim morì. Sessantasei anni dopo, morì anche Tim.
La prima cosa che fece quando arrivò in paradiso fu cercare sua moglie. Era talmente ansioso ed elettrizzato all’idea di trovarla che non riusciva a concentrarsi su nient’altro: né sul fatto di essere morto, né sul fatto di essere in paradiso e di sicuro non su sua nonna.
«Lynn è qui?» chiedeva a chiunque incontrasse. «Sì», gli dicevano, ma lui continuava a chiedere. «Lynn è qui?» «Sì», ridevano, «la vedrai fra due secondi!»
Ed eccola lì, in piedi accanto alla panchina di un parco, un vestito primaverile addosso e, contemporaneamente, lo stesso aspetto di quando l’aveva vista l’ultima volta, appena un anno prima nell’ora della sua morte e quello che aveva al culmine della sua bellezza, il giorno in cui l’aveva sposata, quando lei aveva ventidue anni e lui venticinque.
Fu l’istante di un primo amore molto più profondo e molto più penetrante del primissimo momento del primo amore perché, adesso, Tim non si stava soltanto innamorando, ma si stava innamorando di qualcuno che amava; e mentre anche la prima volta credeva che sarebbe rimasto insieme a lei per sempre, era troppo giovane per capire a fondo cosa significasse «per sempre». Adesso era arrivato, veramente, nel primo giorno dell’eternità.
La baciò per un tempo infinito, che andava bene perché il paradiso ne ha di eternità da esaurire. Poi la baciò per un’altra eternità.
«Non sarebbe stato il paradiso senza di te.»
Le prese la mano fra le sue e uscirono insieme, a passi lenti, fuori dal parco.
«Oh, e dovrai ricordarmelo», disse Tim mentre camminavano.
«Uno di questi giorni dovrò andare a trovare mia nonna. Ricordamelo, okay?»
«Ma certo!» disse Lynn. «Sarei felicissima di conoscerla.»
«Perché lo hanno fatto entrare?»
«Dev’essere cambiato», disse Tim.
«E poi è tornato come prima?»
Ma per prima cosa andarono a cercare i loro amici, quelli con cui avevano condiviso la maggior parte della loro vita insieme. Portarono in ogni casa una bottiglia di vino che non si vuotava mai e rimasero da tutti per ore, ridendo fino a notte fonda, abbandonandosi ai ricordi e spettegolando su
chi era morto e chi ancora no. Poi si svegliarono presto la mattina dopo, prepararono caffè e french toast e parlarono degli amici da cui erano stati e si chiesero se il paradiso li aveva cambiati oppure no.
Poi andarono a trovare i genitori di Tim, che stavano benone e furono molto felici di vederli entrambi. «Sei già andato a trovare Nana?» gli chiesero i genitori.
Non ancora, disse Tim, ma lo farò presto.
Poi andarono a trovare la mamma di Lynn.
«Sai che c’è anche tuo padre, qui», disse la madre a Lynn.
Lynn ne rimase sorpresa. «Sarebbe giusto che andassi a trovarlo.»
Tim non aveva mai conosciuto il padre di Lynn, ma aveva saputo tutto del loro rapporto. Il padre aveva abbandonato la famiglia quando lei aveva tredici anni e da allora l’aveva vista soltanto una volta, quando era comparso senza preavviso a scuola, il giorno del suo diploma, e aveva tentato di fare pace rovinandole la giornata. Lei lo aveva ricambiato con un rifiuto secco e sgarbato, in pubblico. Non aveva la benché minima voglia di vederlo, ma capì che era la cosa giusta da fare e che il paradiso è il tipo di posto che ti fa desiderare di fare la cosa giusta.
«Ci andremo insieme», disse Tim. «Sarà bello.»
Il padre di Lynn aprì la porta del suo smisurato condominio con un sorriso a trentadue denti. Era ovvio che avrebbe avuto un condominio in paradiso.
«Ricordi il giorno del tuo diploma, a scuola?» le disse. «Quando mi dicesti di andare all’inferno?»
Sorrise come avesse aspettato con impazienza per molto tempo di poter pronunciare quella frase.
«Che idiota», disse lei dopo che furono usciti. «Perché lo hanno fatto entrare?»
«Dev’essere cambiato», disse Tim.
«E poi è tornato come prima?»
«Forse», rispose lui. «Chi sa come funzionano le cose qui?»
«Be’, forse così è meglio, perché comincio a provare compassione, o qualcosa di simile. Oppure ho chiuso quel capitolo. O qualsiasi cosa sia. L’ho fatto. Sai?»
«È un buon atteggiamento», disse Tim. «Ed era la cosa giusta da fare. Adesso puoi goderti il paradiso con la coscienza pulita.»
«Timmy, sei morto? Ma sei solo un bambino!»
«No, Nana, sono più che cresciuto! Adesso sono sui settant’anni. Ero.»
Il giorno successivo Tim chiamò Nana.
«Pronto?»
«Nana?»
«Chi è?»
«Nana! Sono Tim!»
«Tim chi?»
«Tim Donahue!»
«Il marito di Eliza? Oh.» Sembrava infelice. «Ciao.»
«No, Tim Junior. Il figlio di Eliza. Timmy! Tuo nipote!»
«Timmy! Oh, santo cielo… Timmy, sei morto? Ma sei solo un bambino!»
«No, Nana, sono più che cresciuto! Adesso sono sui settant’anni. Ero.»
«Oh, grazie al cielo. Ti immaginavo ancora come un bambino! Come sei finito qui?»
«Be’… c’è parecchio da raccontare, Nana! Vogliamo venire a trovarti. Adesso ho una moglie…voglio fartela conoscere!»
«Oh, è meraviglioso! Meraviglioso. Sarebbe meraviglioso vedervi entrambi!»
«Quando andrebbe bene per te?» chiese Tim.
«Quando? Oh. Uhm.» Nana fece una pausa. «Ho un sacco di impegni questa settimana. Devo vedere alcuni amici, e ci sono un paio di concerti a cui voglio andare… che ne dici del prossimo weekend? Quello dopo quello che sta per arrivare, intendo.»
«Sarebbe magnifico. Che ne dici di domenica a cena? Come ai vecchi tempi?»
«Eh?»
«Come le cene domenicali che ci preparavi sempre quando eravamo piccoli.»
«Oh. Certo, potremmo fare così. O potremmo ordinare qualcosa. Ci sono un sacco di alternative. Decidiamo più avanti, okay?»
«Okay, Nana. Ti voglio bene. Sono tanto felice di rivederti fra poco!»
«Anch’io. Anch’io ti voglio bene. Ci vediamo domenica prossima. Ma non questa che viene, quella dopo. Adesso, ciao.»
«Mi è sembrata strana», disse Tim dopo aver attaccato. «O qualcosa del genere.»
«Forse è contrariata perché non ti sei fatto vivo con lei?»
«Non lo so», disse Tim. «È difficile dire certe cose al telefono. E poi c’è un sacco da fare, qui, lo sai? Non avevo visto te, non avevo esplorato il paradiso… la gente mica scappa…»
«Domenica andrà tutto a posto», disse Lynn. «Quando la vedrai.»
«Hai ragione», concordò Tim.
Domenica Tim telefonò per confermare.
«Nana! Sono Tim. Allora, confermo, veniamo a trovarti stasera? Porto mia moglie con me, Lynn.»
«Chi?»
«Lynn, mia moglie. Ti piacerà.»
«Chi sei?»
«Tim, tuo nipote. Timmy.»
«Timmy! Oh, santo cielo, stasera? Mi dispiace tanto, ma stasera è proprio impossibile. Possiamo fare il prossimo fine settimana?»
«Certo», disse Tim. «Credo.»
«Fammi dare un’occhiata qui… c’è qualcosa a cui devo partecipare, sabato. E poi, in realtà, stavo prendendo in considerazione alcuni spettacoli per la settimana prossima… in effetti, le settimane sono due, okay? Una settimana dal prossimo venerdì? Puoi prenderti un appunto?»
«Certo», disse Tim.
«Perfetto. Ci vediamo venerdì prossimo! Una settimana dopo venerdì, intendo.»
«Okay, Nana. Ti voglio bene.»
«Anch’io!»
Una settimana dopo venerdì, Tim e Lynn fecero la loro comparsa davanti alla porta della casa di Nana. C’era un biglietto:
Tim: ho cercato di chiamarti all’ultimo momento, ma non ha risposto nessuno. Mi dispiace tanto ma c’è un concerto che devo proprio vedere con alcun amici. Tornerò molto tardi. Mi dispiace tanto. Dobbiamo prendere un altro appuntamento. Ti chiamo presto. Ti voglio bene! Nana.
Fu trascendentale: un concerto privato e uno spettacolo da stadio allo stesso tempo.
Tim si rivolse a Lynn.
«A questo punto sono matto se la prendo un po’ sul personale?»
«Certo, è strano», ammise Lynn.
«Un concerto? Ancora?»
«Ma voi non eravate molto legati?»
«Pensavo di sì. Forse si è arrabbiata perché non l’ho chiamata prima.»
«Ma allora perché non l’ha detto e basta?»
«Non lo so. Credo che avrebbe dovuto.»
«Beh, che cosa vogliamo fare stasera?» chiese Lynn, indossando un sorriso e scoprendo che le si adattava a meraviglia. «Siamo tutti eleganti, è venerdì sera in paradiso…»
«Ma sì. Possiamo uscire da soli, no?»
«Vuoi dare un’occhiata a uno di quei concerti?»
«Certo!» disse Tim. «Perché mai solo Nana dovrebbe prendersi tutto il divertimento?»
Tim e Lynn passeggiarono per le strade del paradiso al tramonto. Nel cielo rosa e lilla soffi ava una brezza leggera. I cani abbaiavano, gli uccelli cantavano. Bambini dalle anime vecchie finalmente ridevano spensierati. Cavalli, biciclette e macchine decappottabili d’epoca condividevano gli enormi viali.
Mentre Tim e Lynn si avvicinavano al centro della città cominciarono a passare accanto ad alcuni manifesti:
STASERA! BO DIDDLEY! GRATUITO!
STASERA! BING CROSBY! GRATUITO!
STASERA! NIKOLAI RIMSKY-KORSAKOV! GRATUITO!
«Guarda qua!» disse Lynn. «Non mi meraviglia che Nana vada a un concerto ogni sera.»
«Ritchie Valens!» «The Big Bopper!» «Curtis Mayfield!» «Sid Vicious?» «Debussy!» «Sono davvero tutti gratuiti?» chiese Lynn.
«Roy Orbison!» Tim indicò un cartello. «Vogliamo vedere questo?»
Fu trascendentale: un concerto privato e uno spettacolo da stadio allo stesso tempo. Nessuna delle cose che prima li aveva tenuti lontani dalla musica dal vivo avvenne in paradiso. Niente sudore o aggressioni nella loro fila. Nessuna canzone del nuovo album sul quale il musicista era adesso eccessivamente sincero, ma di cui si sarebbe vergognato entro pochi anni. Niente confusione, né stress quanto a dover stare seduti, o in piedi, o a dover ballare o alzare le mani in aria. Il suono era impeccabile. Così come il design del palcoscenico.
Potevano mangiare, bere, fumare e pomiciare. Avevano poltrone di prima fila. Non c’era folla. Erano letteralmente le uniche persone presenti.
Dopo alcune hit, ma sempre al culmine dello spettacolo, Tim si girò verso Lynn con un’idea altruista.
«Vuoi dare un’occhiata al prossimo?» disse.
«Perché no?»
Andarono allo stadio accanto. Si trattava sempre di un concerto privato in un’arena gigantesca. Proprio mentre entravano, John Denver si lanciò in un’esplosiva interpretazione di Take Me Home, Country Roads. Quando terminò, Tim e Lynn gli dedicarono una standing ovation.
«Salve, Paradiso!»
«È meraviglioso», sottolineò Tim.
«Lo so! A momenti è persino troppo perfetto», disse Lynn.
«Cioè, in un certo senso, mi piacerebbe che ci fosse un po’ più di gente, un po’ più d’energia, capisci?»
«Potrebbe essere questo il motto del paradiso», disse Tim.
«Quasi troppo perfetto.»