Spesso Bennato, più che il primo a portare rock e blues nel cantautorato italiano (come non manca mai di ricordare) sembra il padre – o il nonno – dei rapper italiani. Egoriferito, sfidante, sempre in competizione e in polemica, per puntualizzare che lui è andato sempre e comunque controcorrente e ha fatto le cose prima degli altri. Se solo fosse un po’ affabile, viene da pensare, i critici lo includerebbero come merita tra i padri nobili della canzone italiana (per i suoi brani ma anche per i dischi venduti e gli stadi riempiti. Prima degli altri, eccetera). Se fosse un po’ affabile, sarebbe più facile vedere i suoi lampi di genio invece che la indomita acidità, che a 69 anni pare appesantirlo, impedendogli di librarsi in volo come l’amato Peter Pan. Se fosse un po’ affabile, non guardarebbe sprezzante i giornalisti perché non ricordano la mediocre Restituiscimi i miei sandali. E non avrebbe fatto impazzire il suo produttore-ammiratore Brando per il nuovo Pronti a salpare, in cui ci sono sprazzi del miglior Bennato, nella musica e nei testi.
Ma se fosse un po’ affabile, non sarebbe Edoardo Bennato. Con la sua facilità per il rock unita alle solite imitazioni di Rossini, tra Napoli e l’isola che non c’è, i bluesmen del delta e Pinocchio, l’efficacia del testo sui migranti di Pronti a salpare e la satira un po’ fiacca su Renzi e Civati (Al gran ballo della Leopolda).
Durante la conferenza stampa per presentare Pronti a salpare ha spiegato la lunga gestazione di un album di 14 pezzi, il primo dopo 5 anni, dedicato a Fabrizio De André («mi sarebbe piaciuto che lo ascoltasse»). La title-track racconta «il terzo mondo che arriva nel mondo privilegiato. Ma dai diseredati pronti a salpare verso posti migliori noi dobbiamo imparare ad essere pronti a salpare verso un nuovo ordine di idee. Perché c’è una fascia di umanità adulta, gente che ha vissuto meglio e ha fatto esperienze e ha elaborato un progresso di idee e di tecnologia, e un’altra umanità bambina che va aiutata a crescere. Non si tratta di razze, esiste solo la razza umana: ai ragazzi va spiegato senza buonismo e retorica che la melanina è andata variando a seconda del cammino percorso spostandosi dall’equatore, è tutto qui».
Tra un aneddoto e l’altro della sua carriera, si è soffermato sui pezzi più eccentrici. La calunnia è un venticello, dedicata a Mia Martini ed Enzo Tortora. «Quello di Tortora è un episodio emblematico di un antiStato che dimostra allo Stato chi è il più forte». Non è bello ciò che è bello «la scrissi per Pavarotti: mi disse che era stanco di canzoni tristi. La provò, ma alla Decca dissero che era leggera. Rossini lo amo molto, quando faccio compilation da ascoltare in auto non ho problemi a mettere un suo brano dopo uno dei Black Rebel Motorcycle Club. Non è Donizetti o il più cupo Verdi: io cerco di usare il suo linguaggio per affermare la mia italianità, visto che all’estero ci guardano come patetici imitatori alla periferia del baraccone angloamericano».
Poi la stoccata al PD, Al gran ballo della Leopolda. Anche se, dice Bennato, «chi fa questo mestiere non ha bandiere. Frequento Beppe Grillo ma il suo errore è pensare che la colpa sia dei politici e assolvere chi li elegge. E i CinqueStelle non hanno ancora spiegato cosa pensano del dislivello che divide Treviso, Cuneo e Reggio Emilia da Caserta, Messina e Reggio Calabria. A Imola si sta come a Oslo, le cose vanno bene; a Reggio Emilia vengono gli stranieri a studiare i servizi del Comune. Qualcuno spieghi perché al sud non ci sono città dove le cose funzionano. Grillo comunque vuole essere un bluesman, il suo vero obiettivo è quello, non la politica: quando è a Napoli viene all’Up Stroke, canta e suona bene il piano».
Infine, anticipazioni sul musical dedicato a Pinocchio che debutterà al Brancaccio di Roma a febbraio. Ne farà parte Il mio nome è Lucignolo, inclusa nell’album, e 10 pezzi che sono rimasti fuori. «Saranno sul prossimo disco in uscita tra un mese. No, scherzo, stavolta no», dice, ricordando di aver già beffato i media tanti anni fa con due album ravvicinati a sorpresa. Se si ripetesse, non ci sarebbe da stupirsi. A Bennato piace citare se stesso – nel bene e nel male.