Il fotografo chiede a Perin di mettersi a torso nudo. Lui accetta di buon grado, ma borbotta di non avere il fisico adatto. Cosa importa? In fondo è uno shooting per Rolling Stone; quel ciuffo e la barba sfatta da frontman di una band di Sheffield andranno più che bene.
Nonostante faccia parte della generazione degli “eredi di” – uno su tutti, Gianluigi Buffon, ancora lì a parare meteoriti con la maglia della Nazionale –, Mattia si è ritagliato un posto da protagonista nel suo Genoa. Così protagonista (e motivatore) che il suo lungo infortunio alla spalla ha creato un buco nello spogliatoio, prima ancora che sul campo da calcio. Perin da Latina, nato il 10 novembre 1992, è la grande speranza della porta italiana. Un vero numero 1, che si porta sulle spalle da giovanissimo, da quando è andato via di casa per seguire il sogno del calciatore. «Adesso ce l’ho quasi fatta, no?», dice, fingendo di cancellare le convocazioni in Nazionale e il peso di mettersi i guantoni per difendere la porta della squadra più antica d’Italia. Quando lo incontriamo, attorno a lui ci sono due uffici stampa, procuratore e fidanzata. Se è vera la regola che l’importanza di un calciatore la capisci da chi lo circonda, Mattia è di certo sulla buona strada.
Come sono stati per te questi mesi?
Difficili, certo. È stato un infortunio grave, come non ne ho mai avuti. La spalla per un portiere è fondamentale. Ci sono stati giorni in cui mi svegliavo e avevo paura di non sapere più giocare, di aver dimenticato tutto. Ma in realtà non ti dimentichi mai. È una questione di fiducia. Per cinque mesi all’improvviso non fai più le cose di tutti i giorni.
E adesso che sei tornato, torna anche la pressione, tra Nazionale e club…
Il mio obiettivo principale è dimostrare che sono ancora il Mattia pre infortunio. Da prima dello scorso Mondiale sono sempre stato nel giro della Nazionale, praticamente fino all’infortunio. Devo tornare lì e me lo devo meritare. C’è tanta concorrenza, ci sono un sacco di ottimi portieri in serie A. Ma è una concorrenza che dà la carica.
Sembri un soggetto anomalo. Hai delle passioni, dalla musica alla lettura, che sembrano lontane dallo stereotipo del calciatore…
Mah, ormai, come dici tu, sono stereotipi. Ho tanti colleghi che hanno interessi rari, il calcio si è evoluto negli anni e con lui anche gli stessi giocatori. Adesso, per dire, capita di trovarne un sacco che apprezzano il golf. Anche io ci stavo lavorando, poi con la spalla non ho più potuto migliorare il mio swing. È uno sport che distende, aiuta la concentrazione.
E invece per caricarti cosa ascolti?
Mi piacciono tantissimo gli AC/DC! Sono uno che alla mattina quando si sveglia mette Let There Be Rock, Back in Black o TNT e canta in bagno con lo spazzolino. Loro li seguo un sacco, volevo tantissimo andare al concerto di Imola ma non ce l’ho fatta, sempre per via della spalla.
Vai spesso ai concerti?
No, solo a quelli grossi. Non seguo molto i cantanti italiani. Non mi piacciono tanto le discoteche. La musica elettronica mi sembra tutta uguale. Invece gli AC/DC… E poi mi piacciono i classici, preferisco Bon Scott a Johnson. Sapete che lavorava come autista, prima… vabbè, sì, è ovvio, lo sapete.
Hai anche la passione del basket, vero?
Sì, la mia ragazza può confermare (e lei annuisce convinta). Quando sono a casa, ogni tanto gioco a NBA 2K o guardo le partite. Sogno spessissimo di giocare nell’NBA. Anche perché il ruolo del portiere è simile a quello del cestista, ha la stessa esplosività.
Tornando alla concentrazione, il portiere ha quella posizione lì, si trova sempre lontano da tutti: come la si gestisce in quei casi?
Non puoi stare sempre concentrato, altrimenti arrivi scarico alla fine delle partite. Devi saper alternare ed essere pronto e carico quando arriva il momento giusto. Non per forza per una parata, ma anche per un’uscita o nella lettura di una situazione.
E in più sei davanti alla curva…
Se uno non lo prova, non ha idea di cosa sia la gradinata nord del Genoa. La città è diventata la mia seconda casa e i tifosi sono super. Non lo dico per tenermeli buoni, è davvero così. Una carica del genere l’ho sentita in pochi stadi italiani.
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