Riot Boi sono io. È come descrivere me stesso. Ho un’indole combattiva e non riesco a tenere la bocca chiusa, specie sulle questioni politiche e sociali che mi stanno a cuore». La prima impressione che ti dà Khalif Diouf (alias Le1F) mentre parla del suo primo album, è la conferma che per essere credibili è sempre meglio essere giovani. In più, ti si presenta sotto forma di marcantonio tenace e dalla battuta facile. Un tantino vanitoso forse, ma comunque determinato a emergere dalla non proprio semplice condizione di ragazzo gay cresciuto in chiesa da padre musulmano e madre metodista. «Non ho nulla contro la religione in sé, sono solo contro le superstizioni e i pregiudizi. Contro chi discrimina».
Quella del rap non era una cosa prevista, Khalif voleva fare l’artista in generale: «Mi piacciono così tante cose che ho dovuto scremare. Studio balletto da quando avevo 4 anni e danza moderna da quando ne avevo 10. Un bel giorno ho scoperto il rap di Missy Elliott». Come si spiega allora questa vena grime sguaiatamente british, punto cardine del disco? «Me lo chiedono in molti. Eppure il mio accento newyorkese è bello forte! A un certo punto dell’adolescenza, ho visto la luce: BBC Radio 1. Grazie a programmi come XTRA ho cominciato ad avvicinarmi al grime e ad artisti come Dizzee Rascal e M.I.A. Lei è il mio idolo. La prima volta che l’ho sentita ho pensato: “CAZZO, ECCO COME VOGLIO SUONARE!”».
Affidarsi per molte delle produzioni del disco alla falange armata della cyberculture londinese, il collettivo PC Music, è stata una delle scelte più sagge per Riot Boi (con la i): «Sono entrato in contatto con la loro cricca, perché ho un amico in comune con SOPHIE e QT. Ci siamo presentati tempo fa a Berlino. Poi più niente, fino a quando ero sotto il palco del SXSW e SOPHIE stava suonando. È stato un set assurdo, così ho pensato che la cosa dovesse andare avanti». Lo spirito imprenditoriale, quindi, c’è. La presenza di spirito, pure. L’unica cosa di cui Khalif non va fiero è la sua lingua lunga: «Una volta ho accusato Macklemore di plagio. Ho esagerato. Ma lasciamo stare, perché quell’affare mi ha creato solo guai».
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