Dal Venezuela a Venezia con amore. Anzi, senza, perché in fondo in Desde Allà, che arriva nelle sale italiane con il bollino del Leone d’Oro 2015 e il titolo Ti guardo (il solito vecchio, pessimo vizio di anticipare la trama con gli adattamenti italiani), tutto c’è, tranne che quel sentimento inafferrabile e meraviglioso. In compenso, abbiamo tutto il resto.
riflessione sull’identità, sessuale e non
La riflessione sull’identità, sessuale e non; quella sulla lotta di classe, che ha cambiato campo di gioco (ma neanche troppo, visto che Pasolini già lo raccontava decenni fa) ma non dinamiche e gerarchie (e in un attimo Ti guardo si avvicina al diverso ma vicino Carol); la visione sulla società di Caracas; la politica che esiste e resiste nella propria sfera più intima; la guerra, in questi anni schizofrenica, tra sesso immaginato e immaginario sessuale, tra corpo e anima, tra chi vende il primo e chi vorrebbe forse catturare la seconda, perché la sua si è persa.
A tenere insieme queste ambiziose strade narrative ed emozionali è l’esordiente Lorenzo Vigas, che ha sorpreso tutti negli ultimi giorni del festival sulla Laguna, il settembre scorso, ma anche e anzi soprattutto Alfredo Castro, maestro di recitazione e interprete totale che meglio di chiunque, grazie a Pablo Larrain in particolare, sa incarnare le contraddizioni di un Sud America che è sempre più latore di una nuova visione del mondo. In quel suo passato violentato dalle dittature e dall’invadenza statunitense, in questo presente che nelle leadership democratiche sta trovando ciò che quelle militari le avevano tolto.
Castro è straordinario nell’incarnare Armando, un uomo di mezza età incapace di vivere la propria sessualità se non in forma mediata e distante. Paga per guardare. È lo specchio deformato di Elder: giovane, fresco, aggressivo, passionale, fisico quanto lui è vecchio, consumato, passivo, grigio, solipsistico. Si crea una curiosa forma di dipendenza tra i due, che però non li avvicina, li incancrenisce nelle loro realtà, nelle loro identità, perché siamo in una società a caste, emotive e sociali, perché il sesso non è un elemento di rottura ma piuttosto di fossilizzazione di sé e della propria rappresentazione. Coraggio selvatico e pavido desiderio, complementari e inconciliabili. Tanto che nel finale sconvolgente ma allo stesso tempo inevitabile, il colpo di scena è tutta nell’immobilità, nella granitica incapacità di muoversi verso l’altro e verso altro, piuttosto che nell’evento, dirompente.
Vigas ha una delicatezza straordinaria nel tratteggiare un mondo ruvido e urticante, una sensibilità registica rara nel maneggiare un Castro perfetto in quell’uomo senza qualità, senza cadere in emulazioni pasoliniane né, tantomeno in eccessi da cinema sudamericano anni ’60 e ’70, ma trovando una grammatica cinematografica propria.
E, semplicemente, ti rendi conto che quel continente, massacrato dalla Storia, rappresenta politicamente, socialmente, artisticamente, antropologicamente una frontiera nuova, vitale e allo stesso tempo un sistema che ha in sé tutte le prevaricazioni e le ombre di un Sistema che ci condiziona anche nell’intimo.
La forza di Ti guardo è che con questa potenza e feroce bellezza poteva essere narrato solo in quella Caracas, solo in quel Venezuela che è, soprattutto dopo Chavez, simbolo di un’epoca e di una terra. Ma allo stesso tempo è una storia personalissima che diventa universale, una parabola esemplare, una sorta di neorealismo epico ed etico. Vigas ci stupirà, ha le stimmate del grande autore. E il meglio deve ancora arrivare.