Le Savages (so che si incazzano a morte quando qualcuno le definisce “all-female band” perché «nessuno chiamerebbe i Foo Fighters o i Green Day “all-male band”», ma spero che mi passino l’articolo al femminile) sono una di quelle band che dal vivo fanno la differenza. Nel nuovo album, Adore Life, la componente performativa è parte integrante del processo creativo, secondo un’idea di feedback presa piuttosto seriamente: i pezzi sono praticamente stati riscritti dopo una serie di live fatti a New York mentre il gruppo stava ancora lavorando al disco.
Non chiamatele “all-female band” nessuno lo fa con i Foo Fighters o i Greenday
Il pubblico, comunque, può ritenersi soddisfatto per il proprio contributo, visto che Adore Life è un omaggio «a quelli che vengono ai concerti e urlano con tutta la loro forza o semplicemente sorridono dal fondo». Se sul palco le Savages sono la quintessenza di ciò che ci si aspetta da un’agguerrita band post-punk, al telefono, la batterista, Fay Milton, ha una voce dolce e pacata; il che – devo confessare – crea un discreto straniamento.
Adore Life suona come uno slogan. Nel disco dite che “l’amore è la risposta”. Che tipo di risposta è? Emotiva? Politica?
Ognuno intende qualcosa di diverso quando si parla di politica. Noi volevamo fare un disco sull’amore, sul senso di solidarietà, su ciò che unisce le persone. Se ci pensi, le battaglie politiche cominciano proprio da lì, dal chiamare a raccolta la gente. E quindi: l’amore è la risposta.
Più hippie che punk…
Prendi la copertina, c’è un pugno chiuso, un simbolo di rottura, di protesta, poi sul polso si vede un tatuaggio che raffigura l’immagine anatomica di un cuore. Ci interessa questo contrasto, vogliamo parlare di amore nelle sue varie declinazioni.
Sentite una responsabilità in questo senso? Cioè, pensi che la musica oggi sia un mezzo efficace per far arrivare un messaggio?
Non voglio parlare di responsabilità, perché esiste anche la possibilità opposta: che la musica sia evasione, un modo per fuggire dalla realtà, dai “problemi del mondo”. E non è un male, anzi. Per esempio, mi piace tantissimo il nuovo disco di Grimes, Art Angels, la sua forza immaginifica. Per me la musica non deve essere altro che libertà.
Il rapporto col pubblico per voi è stato sempre fondamentale. Credi però che stia cambiando anche la produzione musicale in questa direzione? Metti ad esempio gli Swans – una band che amate molto: per il loro ultimo album hanno indetto un crowdfunding…
Per me il rapporto col pubblico è uno scambio. Non esisteremmo senza il pubblico, non avrebbe senso. È come la famosa domanda: “Se in una foresta cade un albero e non c’è nessuno intorno, fa rumore?”. Non posso pensare di creare musica senza un pubblico, è un processo di costante comunicazione. Poi, certo, c’è chi fa musica in modo molto privato, intimo, in una stanzetta col computer. È un altro genere di sfida, credo, ma non è la nostra.
Beh, però pure voi, a un certo punto, dovrete chiudervi in uno studio a registrare…
Sì, ma sai, dopo due anni che stai in giro a suonare, non ci vuole un grande sforzo di immaginazione per ricreare quell’energia. I ricordi del tour sono sempre vividi. E tra di noi ci divertiamo un sacco. Insomma, è come tornare a casa dalle vacanze e rivedersi le fotografie.
Avete sentito un’ansia da prestazione per questo secondo disco, dopo il successo del primo, Silence Yourself, del 2013?
In realtà no, è stato tutto molto semplice. C’è stata una certa pressione, ma non l’abbiamo sofferta. Magari ci sono più decisioni da prendere, o più restrizioni, ma possono rivelarsi un incentivo.
La residenza a New York ha avuto un impatto sulla vostra musica?
Quando sei in un posto diverso, sei più permeabile. A New York ero in uno stato di stupore permanente, mi affascinava la velocità di azione, di pensiero, di movimento. Se sei in fase creativa, meravigliarti è la cosa migliore che può capitarti.
Beh, se il monito del vostro disco è di adorare la vita, mi sembra proprio che ci stiate riuscendo.
Sì, ci proviamo tantissimo.
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