«Quando ascolto Master of Puppets adesso, mi siedo e penso, “Ma che cazzo? Come fai a fare quella roba?”», dice Lars Ulrich a Rolling Stone ridendo. «È musica con le palle!»
Sono passati più di 30 anni da quando il batterista e i suoi colleghi dei Metallica pubblicarono il loro incredibile capolavoro, e suona ancora potente e sfacciato. Master of Puppets uscì il 3 marzo 1986 e da allora l’album è rimasto un punto di riferimento non solo per la band ma anche per il metal come genere. Le sue otto canzoni costruiscono un discorso profondo e viscerale sulla manipolazione in tutte le sue forme, ma grazie a un mix di riff e ritmi creati apposta per l’headbanging, non diventa mai pesante.
L’album uscì appena cinque anni dopo la nascita dei Metallica e in quel breve periodo la band riuscì a essere pioniera del thrash metal con il loro debutto, Kill ‘Em All del 1983 e aggiungere al loro suono dell melodie eleganti con il seguente Ride the Lightning. Ma è nelle continue rivoluzioni della title track di Master of Puppets, nei ritmi spezzati di Disposable Heroes e nel tiro di The Thing That Should Not Be, tra le altre, che la band dà forza e vigore al suo suono. È un album che ha lasciato il segno. Un segno a cui i membri della band, al tempo poco più che ventenni, non possono più scappare, nemmeno provandoci.
Da allora, la malinconica Welcome Home (Sanitarium) e la brutale Battery sono diventate le basi di tutte le scalette, mentre la sua title track, un capolavoro sulla dipendenza dalle droghe, risulta essere la canzone più suonata dai Metallica. «Un paio di anni fa abbiamo fatto un tour in Europa dove il pubblico sceglieva la scaletta e, su 20 o 30 show, Master of Puppets era comunque la numero uno, la più richiesta ad ogni show», dice il batterista. «È folle!».
L’album è anche irrevocabilmente legata al bassista Cliff Burton, che ha co-scritto circa metà delle canzoni e che è morto in un assurdo incidente sul tour bus, sei mesi dopo l’usicita dell’album. Negli anni più recenti, la band ha iniziato a suonare la strumentale di otto minuti presente nell’album Orion, come tributo a Burton.
L’album, da solo, assicurerebbe l’accesso ai Metallica nel pantheon del metal, anche se la band non si fosse riformata quell’anno e, dopo qualche uscita, non avesse sfornato il mega-seller Black Album, diventando così una delle band più importanti dell’universo. È un’eredità che verrà esplorata in lungo e in largo quest’autunno su Back to the Front, un nuovo libro scritto da Matt Taylor, che esamina Master of Puppets e anche il seguente Damage Inc. Tour, con foto inedite e interviste alla band e alla crew. Per celebrare l’anniversario dell’album, Ulrich, il chitarrista Kirk Hammett e il co-producer Flemming Rasmussen hanno parlato con Rolling Stone di Master of Puppets e di cosa significa per loro adesso.
«Era un periodo incredibile», Ulrich ricorda l’estate del 1985. Quella primavera, i membri della band avevano girato per mesi in tour, per l’album Ride the Lightning ed erano tornati a casa, a San Francisco. Hammett andava in campeggio per pescare, secondo un’intervista del 1986, mentre Hetfield e Ulrich giravano per il Paese, seguendo i Deep Purple. Quanto si sentirono pronti per ricominciare a scrivere, il cantante e il batterista, che vivevano insieme a El Cerrito, iniziarono a mettere insieme del nuovo materiale nel loro garage, usando le idee incise su cassetta di Burton e Hammett. Avrebbero suonato con gli altri e registrato poi tutto su un boombox.
«Eravamo molto giovani, degli sbarbati», dice il batterista. «Quando vedo foto di quel periodo, vedo la nostra purezza. Eravamo tutti appassionati di musica. Avevamo tutti i tipi di poster sulle nostre pareti: Iron Maiden, Michael Schenker, UFO, Ritchie Blackmore. Tutto riguardava la musica. Ascoltavamo i cazzo di Deep Purple, AC/DC, Motörhead e tutte il resto. Vivevamo e respiravamo la musica 24/7, senza altre necessità».
L’estate del 1985 è ancora fresca nella mente di Ulrich, un ricordo in particolare. «Ci siamo seduti insieme e abbiamo guardato il Live Aid», dice. «Abbiamo registrato il concerto e ci siamo seduti a guardare i Black Sabbath suonare alle 9 di mattina, mi pare. C’erano gli Status Quo e i Led Zeppelin. Era un periodo incredibile».
La prima canzone che i Metallica scrissero per l’LP fu Battery, seguita da Disposable Heroes. Una prima demo, registrata dalla band quell’estate, probabilmente il giorno dopo il Live Aid, contiene delle versioni strumentali e cantate di Battery, Disposable Heroes e una combo di Welcome Home (Sanitarium) e Orion, a quel tempo conosciuta solo come Only Thing, oltre a una versione strumentale di Master of Puppets. Le uniche canzoni che non erano state completate prima che la band andasse in studio erano The Thing That Should Not Be e Orion. All’inizio, speravano che il cantante dei Rush Geddy Lee producesse l’album, ma non riuscirono nell’impresa a causa di problemi legati al tempo. Quindi decisero di lavorare ancora con Rasmussen, che aveva già prodotto il loro Ride the Lightning.
«I Metallica hanno sempre fatto delle demo molto elaborate, molto buono», ricorda Rasmussen. «Tutto era già arrangiato e pronto per l’incisione».
«C’è una scintilla, una spontaneità, una spontaneità che ti appartiene quando hai vent’anni», dice Ulrich. «Abbiamo scritto Master of Puppets probabilmente in otto settimane durante l’estate. Oggi, ci metterei otto settimane per arrivare allo studio. Mi chiedo, “Come cazzo era possibile che nell’estate del 1985 siamo riusciti a partorire dalla prima all’ultima nota dell’album in otto settimane?”. Per Death Magnetic ci abbiamo messo probabilmente 18 mesi, da quando abbiamo iniziato a scriverlo a quando abbiamo iniziato la registrazione. Su questo album ce ne metteremo probabilmente nove. Come cazzo fai a scrivere un album come Master of Puppets in otto settimane?»
Un mese dopo il Live Aid, i Metallica volarono in Inghilterra per quello che sarebbe stato il loro concerto più importante di quel periodo, uno slot in mezzo al cartellone del Monsters of Rock Festival a Castle Donington. «Se siete venuti qui per vedere dello spandex, quel cazzo di makeup intorno agli occhi e tutte quelle cazzate, come i tizi che urlano “Rock & roll, baby” in ogni canzone, questa non è la vostra band», disse Hetfield al pubblico. «Siamo venuti qui per farvi muovere quelle cazzo di teste». Al tempo, vennero dichiarate 80 mila presenze quel giorno di festival, con gli ZZ Top come headliner.
I Metallica tornarono velocemente in California, dove suonarono uno scialbo set al Ruthie’s Inn, avamposto punk e metal della Bay Area, oltre a un concerto il 31 agosto al famoso festival di San Francisco, Day on the Green. Quindi partirono per gli Sweet Silence Studio di Copenhagen per riunirsi con il produttore danese. Il loro concerto successivo a San Francisco, per il Capodanno del 1985, avrebbe visto l’esordio di un nuovo pezzo: Master of Puppets.
«Volevamo più o meno rifare Ride the Lightning, solo molto meglio», dice Rasmussen. «Ho sempre pensato che i Metallica hanno alzato l’asticella ogni volta che si sono presentati in studio. Hanno sfidato le loro stesse abilità tecniche, che è il solo modo in cui puoi migliorarti».
Le prime canzoni che i Metallica registrarono per Master of Puppets non uscirono su vinile nè su nessun altro medium. Le sessioni per l’album iniziarono il 3 settembre 1985, e secondo le note di Rasmussen, la band voleva affrontare una manciata di cover come possibili lati B, solo per lasciarsi andare. «Registrarono Green Hell e The Prince (dei Misfists e dei Diamond Head, ndt)», dice guardando i suoi appunto. «Avremmo anche dovuto fare qualcosa chiamato Money – non so quale Money delle tante – ma puntammo su Green Hell».
«Almeno per quanto mi riguarda, registrando quelle cover capii come avrei dovuto suonare la batteria sugli altri pezzi, cioè molto più aggressivo, anche in studio», disse Ulrich nel 1986. «Tutti noi stiamo suonando più aggressivi. Siamo così sicuri di noi stessi in studio».
Money, per i Metallica del 1985, avrebbe potuto essere The Money Will Roll Right, dei Fang, gruppo punk di San Francisco, che la band aveva suonato in una versione cupa nel concerto al Ruthie’s e che, nel 1992, i Nirvana avrebbero rifatto al Reading Festival. I Metallica avrebbero poi registrato le altre due canzoni con il bassista Jason Newsted: Green Hell sarebbe stata unita a un’altra canzone dei Misfits, Last Caress, per il $5.98 EP: Garage Days Re-Revisited del 1987 e The Prince sarebbe diventato il lato B del loro singolo del 1988 One.
Per registrare il resto di Master of Puppets, la band lavorò diligentemente fino a dicembre, iniziando le sessioni verso le sette di sera e suonando di notte, finendo tra le 4 e le 6 della mattina. «L’hotel in cui stavano includeva una colazione a buffet gratuita, quindi tornavano sempre più o meno in tempo per mangiare», ricorda Rasmussen.
Nonostante girassero con il soprannome di Alcoholica in quel periodo, le sessioni furono produttive. «Lars e io eravamo pignoli su quanto teso dovesse suonare tutto», ricorda il produttore. «Volevamo che fosse preciso. Parlavamo sempre delle vibrazioni dei pezzi».
Un paio di settimane dopo l’inizio delle registrazioni, il 14 settembre, la band suonò un unico concerto al Metal Hammer Festival in Germania, dove testarono Disposable Heroes, l’inno anti-guerra di Master of Puppets. «Quella canzone ha alcune dei testi più belli che James abbia mai scritto», dice Ulrich. «Racconta dell’inutilità della vita di un soldato partendo da prima della sua nascita. Musicalmente, ha molto degli elementi classici dei Metallica: parti veloci, versi mid-tempo, un sacco di interessanti dettagli progressive. Oggi, è un’ottima traccia da tirar fuori per gli show speciali».
Una delle cose più chiare in cui i Metallica erano migliorati dai tempi di Ride the Lighting era la voce di Hetfield. Anche se aveva già cantato la prima parte della quasi-ballad Fade to Black per l’album del 1984, il frontman allora 22enne ha approcciato con una sicurezza tutta nuova la traccia più leggera di Master of Puppets, Welcome Home (Sanitarium), ispirata in parte da Qualcuno volò sul nido del cuculo. «Su Ride the Lighting principalmente gridava», dice Rasmussen. «Il miglioramento è stato incredibile. Era ancora un po’ timido riguardo il canto, ma abbiamo realizzato alcune cose qui che non sarebbero state possibili prima».
Un altro evidente miglioramento dei Metallica è stata la costruzione delle loro canzoni. Pezzi come Disposable Heroes, la prima traccia Battery, hanno un arrangiamento complesso, che spazia da sezioni acustiche a parti ispirate a Morricone, da riff thrash ad assoli blues.
E poi c’è l’attacco di Hetfield alle droghe, Master of Puppets. «Sono stato a questa festa a San Francisco e c’era un gruppo di ragazzi che si bucavano. Mi ha fatto stare male», ha detto Hetfield in un’intervista del 1986. «Non si parla di droghe specifiche ma delle persone che sono controllate delle droghe». Con il suo attacco balbuziente di chitarra, il drammatico assolo centrale e il collasso artistico finale, l’epica traccia è l’apoteosi del suono dei Metallica.
«La mia canzone preferita è Master of Puppets», ha detto Burton in un’intervista del 1986, ristampata in Metallica Unbound di K.J. Doughton. «Penso che sia la canzone più bella dei Metallica finora».
«Quella mi ha portato via parecchio tempo», ricorda Rasmussen. «Ci sono molte parti diverse e molte melodie, ma è una canzone fondamentale». Per tenere assieme il sound, il produttore si ricorda che ha chiesto alla band di accordare leggermente calanti i loro strumenti, per poi mixarli facendo andare più veloce i nastri per farla suonare giusta. «Ci abbiamo provato un paio di volte e abbiamo deciso di usare quella con il feeling migliore, visto che avrebbero dovuta farla dal vivo».
Visto che arrivare a un sound tirato era uno degli scopi principali dei Metallica in quel periodo, lavorarono molto per decidere quali fossero gli strumenti giusti per suonarla. Hetfield e Hammett avevano già in mente quali amplificatori utilizzare nello studio in Danimarca, dopo che la loro strumentazione venne rubata prima delle registrazioni di Ride the Lightning, ma Ulrich voleva ancora un suono di batteria diversa, nello specifico quello del rullante Ludwig Black Beauty. A quel tempo, conosceva un solo musicista che ne avesse uno, Rick Allen dei Def Leppard, che si stava ancora riprendendo dall’incidente che gli costò il braccio. «Quindi, chiamò il suo manager per dirgli, “Hey, Rick non sta usando il suo rullante adesso. Potreste mandarcelo?», ricorda Rasmussen. «Il giorno dopo era lì. Lo mandarono di notte. Qualche giorno dopo, in un giorno di pausa, andò a fare un giro per un paio di negozi in Danimarca e ne trovò uno, sullo scaffale da dieci anni, al prezzo originale del 1976. Adesso ne ha tipo venti». Dal canto suo, Allen tornò a suonare quella stessa estate al Monsters of Rock Festival in Inghilterra.
La sessione iniziò ad allungarsi, fino a toccare i tre mesi e mezzo e i membri americani dei Metallica iniziarono a sentire la mancanza di casa. Hammett e Burton specialmente si annoiarono molto nell’attesa che Ulrich finisse le parti di batteria. «Stavamo in piedi 24 ore di fila e giravamo per Copenhagen un po’ ubriachi, per passare il tempo», dice Hammett. «Mi ricordo che una volta trovammo una spiaggia seguendo una piantina. Andammo lì, ma faceva un freddo terribile e non c’erano onde nè niente. Cliff e io ci ritrovammo infagottati in questa spiaggia assurda a Copenhagen, dicendo “Dio, questo posto ci fa uscire di testa!”».
L’altra cosa che facevano nel tempo libero era giocare a poker. «Cliff era un giocatore molto sagace», dice Rasmussen. La maggior parte della volte, giocavano per “scarse somme”, dice il produttore, come una corona danese, l’equivalente di 10 centesimi.
I Metallica si rilassavano nel tempo libero anche facendo festa con i loro amici, cioè la band metal Mercyful Fate. «Uscivamo e iniziavamo a bere», ammette Hammett. «Mi ricordo che siamo finiti a giocare a un gioco di dadi, eravamo in tantissimi. È finito con un match di wrestling tra noi e i Mercyful Fate. Era divertentissimo, cazzo. Abbiamo iniziato a picchiarci dentro al bar e in qualche modo siamo finiti in strada. Ridevamo tutto il tempo, eravamo ubriachi ma non ci facevamo male. Era un modo per sfogare le nostre frustrazioni e tutti i tipi di apprensione e di insicurezze che avevamo», continua Hammett.
Qualsiasi insicurezza avessero i Metallica, non la mostrarono sul disco. Uno dei pezzi più importanti di Master of Puppets è la lunga strumentale Orion, con inizia con un basso grezzo e cresce in una jam piena di groove, prima di sfumare con un ritmo di chitarra militaresco. «Cliff arrivò con queste parti molto molto belle di melodia», dice Rasmussen. «Le melodie erano così forti da non aver bisogno di parti vocali».
«Per me Orion era il canto del cigno di Cliff Burton», dice Hammett. «È una canzone molto bella e lui aveva scritto tutta la parte centrale. Ci diede una sorta anticipo sulla strada che avrebbe voluto percorrere. Se fosse rimasto con noi, penso che sarebbe andato verso quella direzione. Il nostro suono sarebbe diverso se fosse stato ancora con noi. Aveva un approccio diverso rispetto a tutti noi», continua. «Era il benvenuto».
Se sono 31 anni di Master of Puppets, allora sono anche 30 della scomparsa di Cliff. Cazzo!
Quando le registrazioni finirono, la band tornò in America dove, al Civic Auditorium della Bay Area, dove avrebbero suonato Master e Disposable Heroes per la prima volta in America. La volta successiva che la band avrebbe suonato un concerto, Master of Puppets avrebbe già avuto qualche settimana di vita e il tour mondiale successivo avrebbe cambiato la band per sempre.
Da marzo 1986 ad agosto, i Metallica passarono la maggior parte del loro Damage Inc. tour aprendo per Ozzy Osbourne. «Era sempre un’ottima band», ha ricordato Osbourne nel 2009. «Abbiamo fatto un tour assieme, mi ricordo… Sono onorato di aver fatto da passaggio di testimone a una nuova generazione».
Il tour andò benissimo fino a quando Hetfield si ruppe il braccio cadendo dallo skateboard. Quindi John Marshall, responsabile dalle chitarre del tour e chitarrista dei Metal Church, suonò la chitarra ritmica e il tour dei Metallica andò avanti senza problemi. Dopo la fine del tour con Ozzy, si presero un mese di pausa per partire con la parte europea, che durò poco più di due settimane. Al concerto del 26 settembre a Stoccolma, il braccio del frontman era guarito e riuscì a suonare per la prima volta dopo mesi. Sarebbe stato anche l’ultimo concerto di Burton.
«Se sono trentun anni di Master of Puppets, allora sono anche trentun anni della scomparsa di Cliff», dice Ulrich. «È incredibile. Trentun anni. Cazzo».
Dopo lo show di Stoccolma, la band e la crew tornarono sul tour bus verso Copenhagen, questa volta per un concerto. Verso le 6 e 30 di mattina, il bus uscì di strada. Hammett venne sbalzato dalla sua cuccetta e finì con un occhio nero. Ulrich si ruppe un dito del piede. Burton fu lanciato fuori dal finestrino e finì schiacciato sotto il bus. Aveva 24 anni.
L’autista, che fu accusato di omicidio colposo ma non fu dichiarato colpevole, diede la colpa a una lastra di ghiaccio sulla strada. Hetfield e Hammett gli urlarono addosso, secondo Metallica Unbound, e il cantante si lanciò in strada a caccia della lastra ghiacciata mentre aspettavano che arrivasse una gru che alzasse il bus. Hetfield spaccò due finestre dell’hotel quella notte, mentre Hammett dormì con la luce accesa perché era scosso dall’incidente. Guitar World riportò che i funerali del bassista si tennero 10 giorni dopo nella Bay Area, con Orion suonata durante il servizio funebre.
«Cliff era davvero unico», dice Ulrich. «Era geloso e fiero della sua identità. Un fotografo avrebbe potuto dire, “Cliff non dovrebbe vestire quei pantaloni scampanati”, ma era fiero di chi era».
«Gli avrebbe risposto, “Beh, se li portassi abbastanza a lungo tornerebbero di nuovo di moda, sarebbe bello!”», dice Rasmussen. «Era una delle persone più gentili al mondo, un gigante gentile. Ma chi portava i pantaloni scampanati negli anni Ottanta?».
«Era contento di essere unico e autonomo, e questo è ovviamente uno dei messaggi più importanti dei Metallica», dice Ulrich. «Non c’era nessuno come lui».
Il batterista ha pensato molto a Burton ultimamente, mentre lavorava alle nuove edizioni deluxe di Kill ‘Em All e Ride the Lightning, oltre al libro Back to the Front, e guardava le vecchie foto. «Era un tipo carino, se messo sotto la luce giusta», dice Ulrich ridendo. «Abbiamo ricordato quegli anni, ed eravamo tutti goffi e svogliati, e non so se l’aggettivo “carino” sia mai detto di qualcuno dei Metallica, ma ci sono un paio di foto in cui era molto bello. Quando voleva, aveva una personalità magnetica, affascinante».
Poco dopo la morte di Burton, i Metallica decisero di continuare con il loro progetto e si misero a cercare un nuovo bassista. Fecero decine di audizioni e il posto andò al 23enne musicista di Phoenix, chiamato Jason Newsted, che aveva già suonato con i Flotsam e i Jetsam.
La prima settimana del novembre ’86, Master of Puppets divenne il primo album dei Metallica certificato disco d’oro, e da allora ha continuato a vendere fino a sorpassare i 6 milioni di copie nei soli Stati Uniti. La stessa settimana, i Metallica ricominciarono il Damage Inc. tour, l’8 novembre, il primo show di Newsted. «Cliff aveva una sorta di approccio artistico, anche se Jason era molto tecnico, suonava alla perfezione», dice Rasmussen. «Cliff era più musicale».
Newsted è rimasto con la band fino al 2001, e durante la sua permanenza, la band ha usato alcuni riff di Burton su To Live Is to Die, dall’album del 1988 …And Justice for All. Nel 2003, l’ex bassista dei Suicidal Tendencies e di Ozzy Osbourne, Robert Trujillo prese il suo posto. Ma non importa chi ci sia ora nella band, Ulrich tiene ben stretti i ricordi del tempo passato con Burton.
«Penso molto a lui», dice il batterista. «Era davvero una persona unica, qualcosa che ci ha arricchito durante quei tre album in termini del suono globale della line-up. E Dio benedica Jason Newsted e Dio benedica Robert Trujillo per le loro personalità e per quello che hanno portato ai Metallica dalla sua morte in poi, ma Cliff era davvero un personaggio unico. E non è cambiato nulla da quel punto di vista. È diventato solo più evidente».
Circa dieci anni fa, i Metallica hanno iniziato a fare il punto su quello che avevano creato con Master of Puppets. Quando hanno iniziato a scrivere per il loro ultimo album, Death Magnetic del 2008, il produttore Rick Rubin gli ha chiesto di pensare ai dischi che ascoltavano mentre lavoravano a Master of Puppets. «Puoi essere ispirato o influenzato da qualcosa senza provare a rifarlo alla lettera», ha detto, secondo quanto dice Ulrich («Lo scopo principale del nostro lavoro assieme è stato quello di far tornare la band ad essere i Metallica, far capire a loro che è Ok essere una band heavy metal», ha detto il produttore a Rolling Stone lo scorso mese). Chiaramente ispirati, il gruppo ha deciso di suonare Master of Puppets dall’inizio alla fine nel loro tour europeo del 2006. È diventato un punto di riferimento per la band.
«È stato molto divertente», dice Ulrich. «Eravamo un po’ sospettosi dell’effetto nostalgia, ma una volta fatto, è stato molto figo. È stata la prima volta che ci siamo fermati a guardare nello specchietto retrovisore e ci siamo sentiti bene pensando a quello che avevamo fatto in passato. Abbiamo sempre avuto paura di ripeterci e abbiamo quasi rinnegato il nostro passato. Ma quello ci ha fatto stare bene».
Quello che Hammett ha scoperto è stato che il lascito di Master of Puppets ha continuato a crescere in modi diversi. «La cosa che mi sorprende di più quando mi capita di sentire qualcosa alla radio preso da quell’album è che suona contemporaneo e moderno, anche a confronto con il resto della musica che si sente prima o dopo», dice. «Sono grato per questo. Non succede spesso». Rasmussen, che ha lavorato per l’ultima volta come co-produttore dei Metallica nel loro LP del 1988, …And Justice for All, se la passa peggio, riguardo il suono attuale dell’album. Letteralmente. «Non penso di avere più il mio CD di Master of Puppets. I miei figli continuano a rubarmelo! È brutto non averlo, ma mi fa stare bene il fatto che a loro piaccia ascoltarlo ancora».
Ulrich non vede l’ora di pubblicare Back to the Front, il libro in uscita quest’autunno. «It’s fucking awesome», dice. «Matt Taylor, l’autore, ha scritto anche un libro sul film de Lo squalo. È come quello ma sotto steroidi».
In ogni caso, Ulrich è grato di aver avuto la possibilità di lavorare a questo libro e gli altri progetti dei Metallica, perché ha avuto una scusa per guardare al materiale del passato e ripensare a come sono diventati quelli che sono. «Eravamo dei ragazzini», dice. «Facevamo parte di una scena musicale, di un movimento. In quel periodo, non avevo idea delle nostre possibilità. Ho sempre sentito di queste band di New York o di L.A. che volevano “farcela” per poi diventare delle “rock star” e comprare queste case enormi a Beverly Hills e avere un sacco di ragazze». Ride. «Non mi ricordo niente del genere. Mi ricordo che ci piaceva solo suonare e bere birra».