«Vuoi un po’ di questo tè? È un mystery tea». A domandarmelo è Karl Hyde, il frontman del duo elettronico Underworld nella suite di un hotel di lusso nel centro di Londra. Lui se lo sta versando in modo impeccabile e il contrasto con le immagini che mi vengono in mente è piuttosto stridente. Hyde che balla Born Slippy. NUXX (che fece il botto nel 1996, dopo essere stata inserita nella colonna sonora di Trainspotting) davanti alla folla immensa della Love Parade di Dortmund nel 2008 o che canta nel suo modo sincopato e ipnotico al Palladium di Colonia nel 1999. Oppure che intrattiene un affollato rave-party nei sobborghi di Londra alla fine degli anni ’80.
Ma questa è un’immagine frutto della mia fantasia, perché nel 1980 non si facevano ancora video alle feste che poi venivano messi su YouTube, e io (purtroppo) non ho mai visto gli Underworld dal vivo in quegli anni. Loro invece erano già in pista, tanto che quest’anno Karl Hyde e il suo sodale Rick Smith festeggiano 30 anni di carriera con il nuovo album Barbara Barbara, We Face a Shining Future. Hyde, sguardo sempre arguto, è perfettamente a suo agio anche nei panni del maggiordomo inglese e già dalle prime parole si capisce che non dice (e non fa) niente per caso. Mentre rifletto su cosa possa essere un mystery tea e non so se accettare o meno l’infuso, interviene l’addetta stampa della casa discografica preoccupata per lui e gli chiede se vada bene. «Sì… va bene. Certo è mystery perché non si sa cosa ci sia dentro, ma va bene, è interessante. Mi ricorda il Giappone e non è per niente noioso». E la noia, per la cronaca, non è un concetto secondario per Hyde.
Iniziamo con la Barbara del titolo: perché proprio a lei viene prospettato questo futuro splendente?
Barbara è la mamma di Rick e il padre, suo marito, continuava a ripeterle questa frase quando lui stava male, proprio poco prima di morire. Ci sono sembrate delle belle parole, anche estrapolate da qualsiasi contesto. Noi abbiamo sempre amato prendere ispirazione per i nostri titoli dai film o dalle cose che ci capitano. Anche Second Toughest in the Infants (il loro album del 1996, ndr) era una frase di un mio nipotino che ci fece molto ridere: si era definito lui “il secondo più cattivissimo tra i bambini”.
Per scrivere i testi, prendi ancora spunto da quello che vedi fuori dalla finestra, dovunque ti trovi?
Faccio di più. Ho una disciplina che mi impone di andare in un bar o in un ristorante per un’ora ogni giorno, sette giorni su sette. Scrivo pensieri su questo quaderno (e mi mostra un quaderno con la copertina di cuoio blu, rigorosamente scritto a mano, ndr) e spesso li riporto sul mio blog che tengo da 16 anni. Lì ci sono anche foto (si procura un computer per mostrarmele) e come vedi, sono di situazioni in genere irrilevanti per qualsiasi persona: un’impalcatura, un guard rail, una saponetta. A me interessano le foto che mostrano i problemi delle persone nelle città: il traffico, la spazzatura. Non certo i fiori belli. Questa disciplina è una sorta di meditazione, se non la seguo sono capace di diventare davvero nervoso. Quando poi devo scrivere le mie canzoni, cerco il testo più adatto nel mio libricino. Spesso lo apro e non trovo un bel niente, ma poi so come orientarmi, perché sono abituato. A volte preferisco tornare negli stessi luoghi, perché così ci si annoia ed è lì che si inizia a vedere il mondo con occhi diversi.
Se la noia porta tanta creatività, vi siete annoiati prima di ritrovarvi in studio a registrare questo nuovo album?
No, beh, in effetti no. È stato bello ritrovarsi nel 2014 con Rick in tour per suonare di nuovo Dubnobasswithmyheadman (album del 1994, ndr), mi ha fatto capire molte cose. Ho lavorato parecchio con Brian Eno, ho registrato e siamo andati in tour insieme in questi anni ed è stata un’esperienza meravigliosa. Ma ho realizzato che la persona con cui sono cresciuto di più professionalmente nella mia vita è Rick. Per questo eravamo esaltati all’idea di tornare a registrare insieme un album e abbiamo raggiunto un record, perché ci abbiamo messo solo un anno. Con disciplina e senza troppi preconcetti su quello che avremmo dovuto fare.
Ci chiedono di rifare “Born Slippy”? E noi facciamo tutt’altro
Quanto vi interessano le correnti nella musica elettronica?
Inserirsi in un trend serve soltanto a fare soldi, che comunque non è che non siano importanti, ma per entrare a far parte della storia non si può essere sinonimo di nulla se no si diventa solo noiosi. Sono aggiornato sulle tendenze di oggi, anche perché faccio il dj per la BBC, ma non è questo il punto. Ogni volta che la gente ci vuole inscatolare in una categoria, abbiamo una specie di reazione allergica e molliamo tutto all’istante. Ci è capitato che qualcuno ci chiedesse un’altra Born Slippy perché avremmo fatto “sicuramente una figata enorme”. Bene, a quel punto noi non facciamo niente che possa assomigliare a Born Slippy.
E se ve lo chiedesse Danny Boyle per il seguito di Trainspotting?
(Ride) Con Danny non si sa mai. Abbiamo collaborato spesso in questi anni: per le Olimpiadi di Londra nel 2012 e le colonne sonore di altri film. Perciò potrebbe essere che ci coinvolga per Trainspotting 2, ma di certo non potrebbe mai chiederci una Born Slippy 2. Per ora abbiamo voglia solo di tornare in studio, perché questo album è stato solo un antipasto.
Sembra quasi che vogliate stare solo tra di voi e non abbiate più voglia di andare in tour e affrontare le folle dei festival.
No, no, andiamo al Coachella in California, in Giappone – che adoro, come questo mystery tea mi ha appena ricordato – e aggiungeremo altre date. Ovviamente mi piace andare in tour. Ho gironzolato per le strade di Santiago del Cile o Città del Messico e ho scoperto un sacco di cose che ho riportato nel mio quadernino. La città più difficile per me è questa, Londra. Anche se vivo a Romford da anni, nella capitale ci sono venuto troppe volte e di questa strada che vediamo dalla finestra ho già scritto decine di volte.
Quanto fu importante per i vostri inizi la scena rave?
Tantissimo. La scena rave fu un movimento più punk del punk, dimostrò che era possibile coinvolgere così tante persone senza bisogno dei manager e delle case discografiche. Fu liberatorio, spontaneo, un vero antidoto al materialismo che imperversava negli anni ’80.
Nel video di I Exhale, la prima traccia dell’album, balli ancora in modo super scatenato con facce e pose buffe. Il concept è molto semplice, ma, proprio come nei video di tanti anni fa, riesci a ipnotizzare chi ti guarda.
Credo che sia perché il regista Simon Taylor del collettivo Tomato sa come “farmi uscire da me stesso” per diventare ipnotico. Penso capiti a tutti quelli che si fanno prendere dal groove. Avevo già collaborato anni fa con i ragazzi di Tomato, che si occupano di video e pubblicità, e loro sono bravissimi: riescono a essere efficaci in maniera semplice e senza spendere chissà quanti soldi. E io sono così: quando le cose diventano troppo complicate o troppo curate non mi interessano più.
Spesso la gente ha associato voi Underworld a gruppi come Chemical Brothers e Prodigy, ma è chiaro che è solo perché Born Slippy.Nuxx venne pubblicata in quegli anni, mentre voi dovreste essere collegati piuttosto ai Kraftwerk o ai Cure. Riesci a dirmi quale è stato il vostro impatto sulla musica dance?
Non lo so, sono troppo coinvolto. Posso dire soltanto l’impatto che ha avuto sulla mia vita: mi ha reso felice, mi ha fatto venire voglia di continuare a fare quello che facciamo. E noi, dopo 30 anni, siamo comunque ancora qui che produciamo nuovi album e andiamo ancora in concerto.
E poi posa il mystery tea. «Sicura di non volerne un po’? Mi ha un po’ stancato, forse questo gusto è fin troppo strano».
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