Si guardano di nascosto e scoppiano a ridere, uno finisce la frase dell’altro, da una parola iniziano a ricordare mille aneddoti che li riguardano. La chiamano bromance, quell’amicizia tra due persone di sesso maschile così forte da assomigliare a un romantico rapporto di fratellanza. Un tempo ne erano un chiaro esempio Bruce Springsteen e il suo sassofonista Clarence Clemons, mentre in campo hollywodiano lo sono Brad Pitt e George Clooney o Matt Damon e Ben Affleck. Non sono da meno Alex Turner e Miles Kane, entrambi trentenni da poco, dei The Last Shadow Puppets.
Qualcuno lo classifica solo come il side project di Turner, frontman degli Arctic Monkeys, altri ne colgono le potenzialità. Turner e Kane, quest’ultimo nei Rascals e nei Little Flames e ormai da un po’ di anni solista, si sono conosciuti a un concerto nel 2005 e da allora “non si sono più lasciati”. Nel tempo libero, ovviamente, perché gli Arctic Monkeys sono un gruppo ad alto tasso di mantenimento con una fan-base degna di una boy-band e i Last Shadow Puppets rappresentano, in fondo, il momento del cazzeggio. In questi anni hanno prodotto solo l’album The Age of the Understatement nel 2008 e ora Everything You’ve Come to Expect. Le proporzioni, però, potrebbero anche ribaltarsi: gli AM al momento sono fermi, i TLSP hanno iniziato da poco un lungo tour mondiale (con due date in Italia: il 5 luglio a Ferrara e il 6 a Milano) e hanno già pronto l’ultimo capitolo di questa trilogia ideale (anche se ancora non sanno quando sarà pubblicato).
Li incontriamo in un boutique hotel di Londra e sono le 9.30 del mattino. Presto per loro, anzi, prestissimo. Ad arrivare per primo è Alex che, anche con gli occhi stropicciati e il ciuffo arruffato, è comunque elegante. Da novello crooner, verrebbe da dire, in tono con il mood generale dei TLSP. Inizia a intervistarmi lui: «Dove sei stata in questi due giorni a Londra? Dove hai mangiato il roast della domenica? A te piace Saint Paul?». Dopo averglielo chiesto a mia volta e aver scoperto che ha una casa a Londra, che domenica era anche lui nel quartiere di Islington per il rito dell’arrosto al pub con gli amici e che l’atmosfera spettrale della cattedrale Saint Paul gli fa paura, arriva Miles, che si scusa per il ritardo. Intuisco subito che intervistare contemporaneamente due soggetti affetti da bromance sarà tutt’altro che semplice.
Turner e Kane hanno lasciato entrambi l’Inghilterra (Turner è di Sheffield e Miles di Birkenhead) per vivere a Los Angeles, quindi hanno ancora più aneddoti da condividere, senza coinvolgere il terzo incomodo (io). Questo nuovo album lo hanno registrato agli Shangri-La Studios a Malibu, un tempo di Bob Dylan e ora di Rick Rubin. Di certo, i due se la sono passata piuttosto bene in quel periodo: «Beh, sai, avere l’oceano Pacifico sempre davanti agli occhi ti dà una certa energia. Niente a che vedere con la registrazione dell’album precedente nel Nord della Francia. Poi c’erano un sacco di amici che venivano a trovarci mentre eravamo in studio. E non siamo mai andati in spiaggia, eh, altrimenti ci saremmo distratti troppo. Comunque, quell’aria, la luce della luna, l’atmosfera romantica…». Ridono. E qualsiasi possibilità di riportarli a un tono più serio è persa per sempre. Si rubano le battute come quando giurano che a L.A. vanno a letto presto, «perché, sai, ci svegliamo prestissimo». Sguardi d’intesa. E raccontano di scazzare soltanto per motivi “fondamentali”: «Per esempio quando vogliamo metterci tutti e due le scarpe bianche di sera. Anche adesso, io sono arrivato tardi perché mi sono dovuto cambiare, per dire», spiega Miles.
Riportati sui binari di Everything You’ve Come to Expect, raccontano di essersi avvalsi ancora di James Ford (anche nei Simian Mobile Disco) per la batteria, di Zach Dawes dei Mini Mansions per il basso e di Owen Pallett per gli archi, ma che questa volta hanno limitato i riferimenti a Scott Walker: «Lo avevamo scelto per la sua capacità di utilizzare gli archi e di trasformare i pezzi in colonne sonore ideali, ma stavolta è andata diversamente: abbiamo cercato di dare un’impronta più personale». Come il primo album, però, anche questo sembra una colonna sonora dall’atmosfera onirica. E loro lo ribadiscono, usando la parola sogno in ben due titoli: The Dream Synopsis e Sweet Dreams. «Sì, sai i sogni sono importanti, non credi?», sghignazza Alex. A parte tutto, Sweet Dreams, dove Alex tira fuori le sue migliori doti da crooner, è notevole. «È l’unica canzone d’amore dell’album, sai? Dedicata a questa ragazza messicana, molto bella… », e inizia a cantare.
I due hanno definito il suono di questo album a metà tra Beatles e Fast and Furious. Il primo riferimento è evidente in alcuni pezzi (nella title track, per esempio), ma per il secondo chiedo spiegazioni: forse vale per il primo singolo che hanno scelto, Bad Habits, che è il più ritmato, piuttosto diverso dagli altri e che ricorda gli Strokes. «Può essere, alcuni album degli Strokes sono stati per noi davvero fondamentali, e ci piacciono ancora». Infatti, il video di loro due al concerto degli Strokes a New York dell’estate scorsa, mentre ballano felici Barely Legal a Hyde Park, è diventato virale in poco tempo. Come le foto che li ritraggono con le it girl, da Alexa Chung a Suki Waterhouse, o le modelle del momento, per la gioia dei quotidiani di gossip inglesi. Tombeur de femmes? Ridono. Sicuramente fan del genere, al punto da scegliere donne sensuali per le cover dei loro album, come per l’ultimo, dove c’è Tina Turner da giovane. «Sempre meglio», conclude Alex, «che mettere in copertina il mio naso, non pensi?».