Ryan Gosling e Russell Crowe sono due nice guys, talmente nice, che pure se si presentano con ore di ritardo all’incontro con la stampa senza dare mezza giustificazione, si fanno subito perdonare appena parte il loro siparietto da “strana coppia” versione cool. Perché di base è così, da quando in The Nice Guys di Shane Black – un’action comedy stile Arma Letale ambientata nella Los Angeles degli anni ’70 – Crowe e Gosling hanno sdoganato la loro verve comica, a metà tra la slapstick e Bud Spencer e Terence Hill, i due devono dimostrare a tutti i costi che sono divertenti pure dal vivo.
Nell’economia della coppia, diciamo che Crowe prepara il terreno e Ryan – o “Rino Ragazzino” come lo chiama Russell – gli fa da spalla. Quando chiedo se si sentano costretti a recitare questo ruolo un po’ da cazzoni e a mostrare quella bromance diventata ultimamente molto di moda a Hollywood, Ryan risponde che «è sollievo ogni tanto promuovere un film che fa ridere, dopo tutta una serie di ruoli drammatici in cui le interviste vanno a finire tipo una seduta devastante di psicoterapia». In realtà quello che è veramente divertente è vedere Ryan Gosling trattato da sex symbol, più o meno come si fa con le vallette di Sanremo, per cui quando si concede una battuta, senti la gente commentare seria: «ah, ma allora è anche un ragazzo ironico». E comunque sì, Gosling dal vivo ha la sua ficaggine e sembra la réclame vivente di quelle cremine Kiehl’s che si trovano di default nel bagno dei maschi hipster.
Crowe, vestito come un turista in gita a Roma (una Ralph Lauren coattissima col giocatore di polo sovradimensionato) ha invece l’aria di un neozelandese (anche se lui si definisce australiano) che ce l’ha fatta, fiero della sua “ironia self-deprecating non sempre capita dagli americani” e dei suoi 52 anni portati con grande disinvoltura: «la cosa bella di fare l’attore è che puoi cambiare ruoli, perché anche tu cambi. C’è chi non lo accetta, ma se adesso mi chiamano per girare Superman e mi fanno fare la parte di suo padre, a me sta benissimo così». Nella vita vera, invece, Russell è andato un po’ in crisi a barcamenarsi tra il ruolo di padre consapevole e la star di Hollywood: «però quando ho chiesto a mio figlio maggiore se voleva che rinunciassi a un film per passare più tempo con lui, mi ha guardato col panico negli occhi: Noooooo!». Per quanto riguarda i figli di Ryan «per fortuna sono ancora troppo piccoli per le discussioni serie».
Se non lo sapeste, sia Crowe che Gosling hanno anche una loro carriera da musicisti, che vive di splendore riflesso e del potere dei social: “dal 2006” dice Crowe, «con la band non abbiamo più speso un centesimo di promozione. Basta un tweet per dire che suoniamo in un locale di New York e dopo un quarto d’ora è sold out». Riguardo ai loro gusti personali Russell sta in fissa per Michael Kiwanuka che mette a palla per svariati minuti dalle casse dell’Iphone, facendo un bordello assurdo sopra le risposte di Rino Ragazzino; dopodiché si concede pure un po’ di nostalgia per gli anni ’70, quelli di The Nice Guys, quelli in cui lui ha «perso la sua verginità» e quelli in cui «alla radio potevi passare da Jim Croce, ai Led Zeppelin a un pezzo degli Chic, prima il punk decidesse di fare fuori tutto perché i nomi grossi erano da considerarsi dei venduti. Andate a riascoltarvi le chart di quei tempi!».
La verginità di Ryan negli anni ’70 era ancora integra, visto che lui non era nemmeno nato, e tutto ciò che può rivendicare di quel periodo è «la giacca di pelle azzurra che ha addosso Russell in The Nice Guys in ogni singola inquadratura. Quella giacca stava sul mio stand, okay? E lui se l’è fottuta!». «E dai, Ryan, quella giacca mi ha chiaramente aiutato a entrare nel personaggio». Ecco, questo è il tipo di cazzonaggine promozionale che potete aspettarvi. Ma Crowe ha anche una sua profondità poetica: riguardo al suo lavoro da regista (sì, tra le svariate cose, i due hanno anche girato dei film) tira fuori questa definizione: «è come osservare le stelle in una notte senza nubi». Ryan lo guarda perplesso e quindi parte la spiega: «sì, sai, stai lì a fissare le stelle, e più ti concentri, più ne vedi apparire delle altre. Quando dirigi un film, succede la stessa cosa: man mano si materializzano nuovi dettagli». Se passare dall’altra parte della macchina da presa può aver regalato un po’ di consapevolezza anche a livello attoriale, chiedo a Ryan quanto lo abbia influenzato in questo senso rivedere le sue faccette contrite nel video virale di Ryan McHenry Ryan Gosling won’t eat his cerals.
Ryan sorride col solito aplomb: «devo ammettere che è stato strano per un certo periodo essere fermato per strada con la gente che mi diceva: ‘ehi, Ryan, ce l’hai fatta oggi a mangiarti i corn-flakes?’ e io non capivo. Quando ho scoperto di che si trattava, ero incazzatissimo, ma poi ho visto il video e niente, faceva veramente ridere. Per un po’ è stata un’ossessione: giravo una scena drammatica e avevo l’incubo di quel cucchiaio minaccioso che incombeva a due centimetri dalla mia faccia». E su questo – da grande attore – regala una perfetta smorfia di disgusto alla Ryan Gosling.