A volte, un’esplosione di colori e di meraviglie per gli occhi può far colpo, come è successo in buona parte con il primo Alice in Wonderland del 2010 di Tim Burton. Ma non c’è magia in questo sequel. E non c’è neanche Burton, rimpiazzato alla regia da James Bobin (già autore di Muppets 2 – Ricercati). Il vero ricercato di questa versione è il fascino, il contraltare all’aggressività e alla pesantezza. Tutto è troppo, esagerato, e fa sembrare il film la brutta copia della fabbrica di cioccolato dopo che Willy Wonka ci ha vomitato sopra. La sceneggiatura di Lina Woolverton è in apparenza fedele ai personaggi creati da Lewis Carroll, ma il film non ha anima.
Mia Wasikowska ritorna nel ruolo di Alice, nei panni di un capitano di vascello alla caccia di pirati. Ritorna a Londra contro la sua volontà per salvare la madre e rompere le uova nel paniere di un pretendente che sta trasformando la vita di mammà in un vero inferno. Alice trova anche il tempo per fare un salto attraverso uno specchio per tornare a Wonderland.
In scena c’è tutta la gang, compresi Pincopanco e Pancopinco (Matt Lucas), il Bianconiglio, lo Stregatto e la Regina Bianca (Anne Hathaway). L’indimenticato Alan Rickman, a cui è dedicato il film, dà la voce nella versione originale al Brucaliffo, diventato farfalla, con la verve che ha caratterizzato la sua lunga carriera. Ma la preoccupazione più grande di Alice è il suo amico Cappellaio, ancora una volta interpretato da Johnny Depp, uno dei pochi che fa sembrare questa follia eccentrica una cosa molto semplice. Il Cappellaio, però, non è più se stesso. Sta morendo di tristezza, devastato dal senso di colpa perché pensa che sia lui il responsabile della morte della sua famiglia. Capito, lui e non la cattivissima testona, la Regina Rossa (ovvero la sempre deliziosa Helena Bonham Carter).
Che fare? Alice deve ritornare indietro nel tempo grazie a una macchina rubata dalle mani del Tempo stesso, impersonificato da un agitato Sacha Baron Cohen, e rimettere a posto le cose. James Bobin conduce una sceneggiatura in modo monotono e inesorabile. Gli attori, a parte Depp e la Bonham Carter, per i quali il surrealismo sembra una seconda casa, si muovono appena. E come avrebbe detto Lewis Carroll, l’efficenza non può mai essere rimpiazzata dalla meraviglia.