Warcraft – L’inizio, tratto dall’omonima e popolarissima serie di videogame creati da Blizzard Entertainment, fin dalle prime recensioni è stato accolto dai critici cinematografici con un certo sollievo: ecco un altro pessimo film tratto da un videogame, come volevasi dimostrare. Come se un videogame che diventa film avesse una colpa originale aggiuntiva da scontare, anche più di altre oggettive boiate apparse negli ultimi anni, come Scontro tra titani (2010), Gods of Egypt (2016) ecc. In effetti, l’impresa di portare al cinema un mondo online permanente, abitato costantemente da circa cinque milioni di persone appassionate e protettive (trattandosi di un gioco di ruolo, parliamo di nerd per eccellenza), e al tempo stesso creare un prodotto che potesse piacere al grande pubblico, è qualcosa di davvero molto difficile. In attesa di capire cosa penseranno i fan della serie, il sospetto è che Warcraft sia uno di quei film a cui ci si affeziona lentamente, come il sottovalutato Beowulf di Robert Zemekis (2007), altro film interamente basato su CGI e motion capture – che poi è ciò che di solito fa storcere il naso ai critici. Al momento, è già abbastanza indicativa la differenza che c’è tra il voto del pubblico su IMdB (8.0) e il punteggio di Metacritic (35/100), che in modi non sempre intuitivi raccoglie i giudizi della critica.
Che storia racconta Warcraft? Nel mondo di Azeroth regna la pace da molto tempo. La cosa non stupisce troppo, perché tutti sono cortesi e tolleranti (oltre che bellocci). Le diverse razze – quelle canoniche del fantasy: uomini, nani, elfi, maghi, ecc. – hanno imparato a collaborare tra loro, sotto la direzione di un re umano che per una volta non è un completo idiota: Llane (Dominic Cooper, star della nuova serie Preacher). Sua moglie, la regina Lady Taria (Ruth Negga, anche lei in Preacher, dove è decisamente diversa) è persino più illuminata di lui. Il fratello di Taria, Anduin Lothar (Travis Fimmel, il Ragnar Lothbruck della serie Vikings, da cui non si discosta in quanto ad attitudine beffarda e accento finto-nordico), è il comandante dell’esercito. Il Guardiano di Azeroth, il potente mago Medivh (Ben Foster), è una sicurezza per tutti, ma ultimamente non si è fatto molto sentire. Un giorno, una nuova minaccia compare dal nulla: gli Orchi, verdastri e violenti, che provengono da un altro mondo che hanno già distrutto, e ora vogliono fare lo stesso con la ridente Azeroth. Di per sé, questi orchi sarebbero anche onorevoli: il primo personaggio che conosciamo è un orco neopadre e riluttante, dall’evocativo nome di Durotan (Toby Kebbell), che in quanto meno guerrafondaio del resto della sua orda è anche meno verde di pelle: un po’ per rendere più facile per lo spettatore individuarlo nelle scene di battaglia, un po’ per altre ragioni neanche troppo subliminali, su cui è meglio non indagare troppo. Ma questi invasori primitivi dalla pelle scura, che minacciano il benessere in stile europeo di Azeroth, sono guidati da un leader che ormai è controllato da una magia potentissima, il Vil, che come una droga pesante stravolge le menti e si nutre della vita stessa – come si vedrà, nessuno è al riparo da questa insidia. Ah, poi c’è anche una mezzosangue sexy, Garona (Paula Patton), divisa tra l’appartenenza agli orchi e agli umani, che non solo per la tinta della pelle ricorda l’aliena di Guardiani della Galassia, Gamora (quasi un anagramma), lì interpretata da Zoe Saldana. Garona è forse il personaggio più interessante di Warcraft, e quello che promette di più per i capitoli futuri, se mai ce ne saranno. (Non c’entra niente, ma una specie di spin-off softcore con protagoniste queste due eroine verdi, Gamora e Garona, sarebbe una bomba).
Duncan Jones, già regista di Moon (2009) e Source Code (2011), interessanti variazioni sci-fi-filosofiche, e (non si può evitare di dirlo) unico figlio di David Bowie, si è dichiarato fan della serie Warcraft, e chiaramente ha cercato di essere il più rispettoso possibile verso questo franchise, per non fare incazzare la base di appassionati – il cui numero, di per sé, dovrebbe già essere una sicurezza per il suo successo. Quello che bisogna riconoscere a Jones è di avere cercato, e in parte di esserci riuscito, di rendere credibili e complessi questi orchi che, sulla carta, erano tra gli attori più improbabili che siano mai passati davanti alla macchina da presa – dopo Babe: Maialino coraggioso, certo.