Le 9 del mattino in Italia, mezzanotte a Los Angeles. Dall’altro lato dell’oceano-schermo, Cliff Martinez è seduto su una poltrona con una lattina in mano: abbronzatura atomica, aria da skater californiano, sembra un personaggio di Kevin Smith “sanamente” invecchiato. Mi scuso per l’ora tarda, ma la nostra conversazione Skype non lo disturba: «Sono uno notturno e insonne, per me è quasi ora di cena», ridacchia. La prima domanda me la fa lui: mi chiede se ho visto The Neon Demon, il film di Nicolas Winding Refn che lui ha musicato. È la sua terza collaborazione con il regista danese dopo l’orgia di synth, che dava ulteriore benzina ai motori di Drive, e le pulsazioni tenebrose e minimal nella Bangkok iperrealista di Solo Dio Perdona. The Neon Demon, invece, alimenta orrore e ossessioni della L.A. fashion con sublimi echi anni ’80 provenienti da Giorgio Moroder e Pino Donaggio, «ma quando ho visto per la prima volta il film, ho pensato a uno scherzo».
Che vuoi dire?
Nicolas e Matt Newman, il montatore, avevano “appiccicato” una colonna sonora provvisoria con brani di Bernard Herrmann, uno dei compositori che amo di più. Sapendo però che a Nicolas quel tipo di orchestrazione tradizionale non piace, gli ho chiesto: “Ma sei serio?”. Mi ha spiegato che lui voleva quella sensazione, non il sound, e quindi non è stato semplice poi restituire, a uno strumento come il sintetizzatore, quelle sfumature dark che Herrmann sapeva regalare ai film di Alfred Hitchcock.
Quali altri compositori ti hanno segnato?
Ennio Morricone è stato ed è tuttora un riferimento fondamentale. Il primo disco della mia vita è stato la colonna sonora di Per un pugno di dollari. Avevo 8 anni e, dopo aver visto il film al drive-in con i miei genitori, li ho implorati di comprarmi l’album. Poi ho conosciuto il rock&roll e Captain Beefheart è diventato il mio eroe, perché ha rotto ogni regola musicale, portando una libertà di composizione mai conosciuta prima.
Con lui hai inciso anche un disco nel 1982, Ice Cream for Crow…
E ho imparato quasi tutto da lui e dal suo approccio “primitivo” alla musica: le prime canzoni le ha scritte al pianoforte, ma non sapeva suonarlo molto bene, utilizzava i fiati, ma non sapeva suonare nemmeno quelli… Ma la sua immaginazione era talmente potente che superava i limiti della tecnica. Anch’io sono pieno di strumenti in casa che non sono in grado di maneggiare, ma non per questo rinuncio alla mia inventiva.
Nel 1983 entri, come batterista, nei Red Hot Chili Peppers. Tre anni insieme e poi l’addio e l’inizio della tua carriera come compositore. Com’è avvenuto questo passaggio?
Mi piaceva da morire suonare coi Peppers, ma presto mi sono accorto che la vita in una band non faceva per me. Non amavo molto viaggiare, spostarmi con un bus scassato in giro per l’America e nemmeno suonare dal vivo. Registrare i dischi era divertente, c’era una creatività collettiva che onestamente un po’ mi manca, ma il palco proprio no! Non è come suonare jazz, dove è tutto improvvisazione… Inoltre, all’epoca, i Peppers non avevano ancora conosciuto il successo planetario degli anni ’90, e per me far parte di una band emergente era troppo faticoso. Però nel 2012 sono tornato a suonare con i RHCP per l’ingresso nella Rock and Roll Hall of Fame.
Da quasi 30 anni sei il propulsore musicale del cinema di Steven Soderbergh. Com’è nata la vostra collaborazione?
Avevo musicato una puntata di uno show con Paul Reubens, Pee Wee’s Playhouse, e Steven volle incontrarmi. Cercava proprio quel sound per il suo film d’esordio, Sesso, bugie e videotape, e così abbiamo cominciato a lavorare insieme. L’approccio di Steven è unico, vuole cose semplici, crude, senza drammatizzazioni. Ama i suoni inconsci, freddi, sotterranei e desidera che il pubblico lavori di fantasia. Ormai Steven conosce le mie capacità e io i suoi desideri. Abbiamo una comunicazione “telepatica”. Per la serie tv The Knick, per esempio, Steven mi ha dato solo poche indicazioni via sms.
La serie è ambientata agli inizi del secolo scorso, ma non hai rinunciato ai tuoi sintetizzatori. Chi ha avuto questa idea geniale?
Vorrei prendermi il merito, ma è stata un’idea sua! Credo che The Knick sia la cosa migliore che ho fatto per lui, insieme a Solaris. Lasciandomi “solo”, Steven mi permette di sperimentare moltissimo. Gli altri registi per i quali ho lavorato comunicano molto quando girano, amano dirigere anche a riprese finite, e la cosa mi inibisce un po’, mentre con Steven e con Nicolas il rapporto comincia prima, sono relazioni consolidate.
A proposito di sperimentazioni: nel 2014 hai musicato il videogioco Far Cry 4 e immagino sia stato complicato visto che l’azione e il proseguimento della narrazione dipendono dal giocatore.
I creatori mi hanno spedito qualche “scena”, ma non potendo mostrarmi tutto il percorso del gioco ho dovuto basarmi più sulle atmosfere che sulla narrazione. In più dovevo comporre oltre tre ore di musica molto stratificata, perché le possibilità di azione del giocatore sono molteplici… Insomma un bel casino! Ma è stato divertente musicare inseguimenti di macchine e sparatorie.
Quali altre sfide ti attendono nel futuro?
Al momento sto componendo un altro film, The Foreigner, con Jackie Chan e Pierce Brosnan. Anni fa non mi perdevo un film con Jackie Chan e ora sono entusiasta di lavorare a un suo progetto. Quel ragazzo è incredibile: ha 62 anni e si getta ancora dai tetti! Film a parte, vorrei avere tempo per approfondire la mia conoscenza musicale. Ascolto poca musica contemporanea. In questi giorni, per esempio, mi sto ossessionando con Hotel California degli Eagles, perché mi piace indagare come certe canzoni restino popolari per sempre. E poi sono sempre più convinto che la vita sia troppo breve per sprecarla ascoltando brutta musica.
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