Beyoncé a San Siro, un monumento all'ambizione | Rolling Stone Italia
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Beyoncé a San Siro, un monumento all’ambizione

La cantante ha eliminato qualsiasi tipo di possibile timore sulla riuscita del suo show dopo neanche un minuto. Ma questo era ovvio: Beyoncé non è un essere umano

Uno scatto di una delle date del "Formation World Tour"

Uno scatto di una delle date del "Formation World Tour"

A qualcuno capita di avere qualche timore quando sta guardando una persona che sale su un palco: sarà capace? Andrà tutto bene? Avrò fatto bene a spendere questi soldi? Sarà all’altezza delle mie aspettative? Dopo nemmeno un minuto di esibizione, Beyoncé Giselle Knowles-Carter, per gli amici e i 50.000 presenti ieri a San Siro solo Beyoncé, ha messo una mano sulla spalla del pubblico per dire «Lasciate fare a me». Ed è stato incredibile.

Beyoncé vista dal vivo, in carne e ossa e mani sul viso ad asciugare il sudore (o le lacrime di commozione, ci speriamo tutti che siano lacrime per noi, come fossimo il pubblico più commovente del mondo), è un monumento all’ambizione, è un metro di misura di quanto si sia disposti a trasformare la propria vita e la propria presenza in un’opera d’arte. Ci sono gli artisti che si imbarazzano a nominare il loro nome all’anagrafe, quelli che brucerebbero le foto da bambini o che giù dai palchi diventano ridicolmente normali. Beyoncé non sembra avere due vite, o banalmente una vita e un lavoro che la porta sui palchi, nello studio di registrazione, eccetera. Beyoncé ha fatto di sé una performance vivente: il matrimonio con Jay-Z diventato inframezzo tra una coreografia e l’altra, i video di lei bambina a fare da interludio con un cambio di scenografia, le immagini del padre prima di una concessione fatta con nonchalance al pubblico – l’apoteosi di queste concessioni è su Love on Top, cantata a cappella con un pubblico disposto ad andare anche dove lei non aveva intenzione di arrivare, su delle note che potevano far esplodere i piccioni che sorvolavano San Siro, e allora lei si riaggancia al pubblico da quelle note alte, con quella faccia un po’ grateful e un po’ moved, tra il reale e l’icona di una Santa. Beyoncé è come un Michael Jackson con meno traumi infantili, o una Marina Abramović con zero tendenze masochistiche. L’idea che una donna debba riuscire a giostrare tutto, la famiglia con il lavoro senza sacrificare la propria individualità, per Beyoncé non esiste: è tutto insieme, è tutto sul palco. Quello che mette se stesso nella sua musica perché “ha scritto un testo ispirato a una sua vicenda personale” non è nulla a confronto. Beyoncé è spaventosa e insieme l’amica che vorresti avere nel momento del bisogno, quella da cui farsi consigliare nella sua enorme saggezza e da tenere lontana dalle brutture del mondo mentre invoca il “love, that we really need right now”, inginocchiata sola in mezzo a un gigantesco palco.

Alla fine dello spettacolo, in uno spettacolo di più di due ore cantato e ballato e parlato dalla prima all’ultima nota, senza facili acchiappa applausi à la “CIAO MALANO” e una scaletta non eccessivamente piaciona, qualsiasi persona con un po’ di aspirazione nella vita, di tipo artistico o di qualsiasi altro genere, dovrebbe porsi la domanda: quanto sono disposto a impegnarmi per raggiungere i miei obiettivi, in una scala da uno a Beyoncé? Essendo consci del fatto che puntare a “Beyoncé” è completamente inutile perché voi siete homo sapiens sapiens, lei è la prossima evoluzione della specie umana.

Sì, insomma, è stato bellissimo.

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