Persino dei mostri sacri dell’alt rock scozzese come i Biffy Clyro a un certo punto si sono trovati in difficoltà. A Simon e i fratelli Johnston (James e Ben) è stato diagnosticato il più comune dei blocchi creativi, che ha ritardato notevolmente l’uscita del nuovo Ellipsis, il settimo album della loro discografia ormai sostanziosissima.
Fortuna che poi la nebbia si è diradata lasciando spazio all’ispirazione e i tre di Kilmarnock sono potuti tornare alla normale routine che da ormai vent’anni scandisce le loro giornate. Il 20 ottobre il loro tour farà tappa anche all’Obihall di Firenze (e poi a febbraio 2017 in altre tre città italiane), ma caso vuole che, per via di uno showcase acustico, i tre si trovassero a Milano.
Com’è stato il live dell’altra sera?
Il live è stato carino. Sembrava un aperitivo, tanto che volevamo portare un po’ di pesce e carne [in italiano, ndr].
Ho sentito che, al momento di mettervi a lavoro sull’ultimo album, avete sofferto di una specie di blocco creativo.
Penso si siano manifestati i contro della vita in tour. Per due lunghi anni non abbiamo fatto altro che suonare in giro per concerti, al termine dei quali nessuno di noi si è sentito ispirato. È successo per la prima volta ma è successo. Non è molto rock n roll da dire, ma credo che fossimo semplicemente stanchi. Colpa anche di quando la musica e il processo creativo da cui deriva diventano una professione. Avevamo bisogno di tornare a casa, incontrare gli amici e suonare così, fra di noi. Se ci ripenso sono felice che ci siamo presi il nostro tempo. Ci abbiamo messo un po’ a trovare l’ispirazione. E poi il mondo non ha bisogno di un album fatto così, a caso, per il gusto di farlo.
E poi, puf, di colpo l’ispirazione?
Mi sono preso del tempo per me stesso. Sono andato in California con mia moglie, sono uscito a bere con qualche amico della zona. Ho riscoperto la gioia di scrivere musica senza avere la pressione addosso, senza dover essere una macchina da tour. La musica non dovrebbe mai perdere la dimensione di innocenza. È stata questione di pazienza e al ritorno dalla California mi sentivo ricaricato. Dovevo solo dimenticarmi per un attimo di essere in una band.
Mi pare di capire che comunque preferisci gli album ai tour.
È molto più speciale quella sensazione che ti prende quando, da un accordo o un’idea, comincia a materializzarsi una canzone, preferibilmente una bella. Lo facciamo da tanti anni e ogni volta è come la prima. Ovvio però che non ha senso comporre brani se poi non puoi suonarli davanti a un pubblico.
Insomma, la vita da rockstar è una faticaccia.
No! [ride] Non mi sto assolutamente lamentando. Abbiamo fondato la band quando eravamo poco più che bambini. I primi accordi, il primo live, le prime canzoni scritte: abbiamo fatto tutto ciò insieme, da sempre. Per cui è strano quando succede che all’improvviso la band cresce di popolarità e qualcuno ti guarda male, come se stessi lo stessi facendo solo per i soldi. Se dovessi venire con noi in tour, è ovvio che vedresti tutti i privilegi che consente la vita da rockstar. Ma chi ci conosce bene sa che siamo rimasti sempre gli stessi da quando eravamo ragazzini, nel bene o nel male. La musica per noi non è mai stata né un gioco, né un business.
Per molti purtroppo lo è, anche nel rock. Pensi che sopravviverà mai al dominio dell’elettronica e del rap oppure andrà lentamente a scomparire?
Il rock è la forma più espressiva di musica. Non c’è niente come vedere un ragazzo o una ragazza strimpellare una chitarra. Esistono così tante forme di rock, poi. Adoro Back In Black o Appetite For Destruction, però penso sia fondamentale smettere di fare dischi classicheggianti. C’è ancora così tanto da sperimentare nel rock e, basta soltanto abbracciare la tecnologia odierna, evitare di fare un disco che suoni come uno di 40 anni fa. Dobbiamo sforzarci a evolverci, ma il rock durerà ancora per molto, molto tempo.
Voi siete scozzesi, giusto?
Yep, non siamo di certo inglesi, man!
Cosa avete votato al referendum sulla Brexit?
Abbiamo votato per rimanere nell’Unione Europea. Il punto è che a volte è difficile accettare il voto democratico, anche se è stata un’intera nazione a votare contro. All’improvviso la dittatura non ci è sembrata così male come opzione [ride]. Ma il popolo ha espresso il suo volere e ora ci aspettano dieci anni belli duri. Penso soltanto ai ragazzi che andranno all’Università o quelli che non riusciranno a trovare lavoro. Noi abbiamo passato la vita a viaggiare liberamente per l’Europa, chi verrà dopo temo non sarà altrettanto fortunato.