Werner Herzog: «Internet non è cattivo» | Rolling Stone Italia
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Werner Herzog: «Internet non è cattivo»

Werner Herzog, il più ribelle dei registi, nel suo ultimo film esplora quel luogo dentro cui oggi viviamo tutti. Può essere molto pericoloso, ma l’uomo lo è anche di più

Foto: Jake Michaels/The New York Times

Foto: Jake Michaels/The New York Times

A partire dal 1969, Werner Herzog ha inseguito miraggi nei deserti sahariani, esaminato la piaga dei bambini soldato in Nicaragua e documentato le vite solitarie degli scienziati in Antartide. Ma con il suo nuovo film, Lo and Behold – Internet: il futuro è oggi, il regista 73enne ha affrontato il progetto più grandioso della sua carriera: raccontare Internet. Attraverso una serie di interviste, il film esamina la storia e il futuro del mondo online, indagandone ogni aspetto, dalla dipendenza dal web alla cultura hacker, fino alle auto che si guidano da sole. «Ognuna di queste sezioni avrebbe potuto essere un film indipendente», dice il regista; e nonostante la sua inconfondibile voce fuori campo (ammirata e parodiata ormai da diversi anni) sia sempre presente, il tono appassionato del film sembra ricordare piuttosto un’opera perduta di Errol Morris.

Nel 2014, dopo il successo di From One Second to the Next, documentario di 34 minuti sui pericoli del mandare messaggi col cellulare mentre si è alla guida, è stato chiesto a Herzog di realizzare un corto che parlasse del web. Il regista, però, ha capito presto che lavorare su quel formato sarebbe stato improduttivo. «Doveva essere qualcosa di più profondo, che rispecchiasse la mia curiosità sull’argomento», spiega. «Quando il progetto ha iniziato a essere troppo costoso, ho capito che sarebbe diventato un film». Con noi il regista ha discusso di argomenti sia pratici che metafisici: il cyberbullismo; i motivi per cui la stupidità “non può essere regolata per legge”; la questione se Internet sia in grado di “sognare se stesso”. Ah, e se volete imitare la sua voce, per lui non c’è problema!

Il film mostra diverse persone affette da una dipendenza da Internet. Qual è stata la sua impressione, quando li ha incontrati?
Quando ho scoperto l’esistenza di questo problema ho pensato è che avrei dovuto andare in Cina, perché lì esiste un centro di recupero famoso per usare metodi brutali. Ma sarebbe stato troppo bizzarro, e in più ci sarebbe stato il problema della lingua. Ho visto un filmato di un ragazzino che piangeva mentre guardava fuori da una finestra; si trovava lì perché aveva giocato a un videogame online per due mesi di seguito. Ne era quasi morto, e per questo motivo i suoi genitori lo avevano portato in quel centro. All’inizio mi è sembrato strano che la dipendenza da Internet potesse essere grave quanto quella da eroina. Nei casi noti, alcuni ragazzi hanno giocato al computer davvero fino alla morte. Oppure, come in Sud Corea, esistono sale giochi in cui si indossano pannoloni in modo da non interrompersi mai. Alcune persone sono andate avanti per 56 ore di fila, finché non sono svenute.

Ma un sacco di gente si metterebbe a ridere all’idea di persone dipendenti da Internet come altre dall’eroina.
Certo, perché è un fenomeno recente. Oggi sappiamo che c’è una lunga tradizione di gioco d’azzardo a Las Vegas: i casino si sono mossi per rimediare al fenomeno della dipendenza da gioco: oggi individuano queste persone, le accompagnano fuori e le indirizzano verso qualche centro di recupero. Ma per Internet, i videogame e cose simili, la nostra società non ha ancora fatto abbastanza esperienza. In futuro sarà normale paragonare questo tipo di dipendenza alla droga o al gioco d’azzardo. È la naturale reazione del nostro corpo attraverso le endorfine.

Parliamo di cyberbullismo: qual è stato il suo approccio per affrontare il lato oscuro del web?
Beh, non è Internet a essere malvagio. Sono gli esseri umani a esserlo. Oggi semplicemente possiedono un nuovo strumento per renderlo manifesto, ma è la stessa cosa. Internet è buono o cattivo? Ecco, non è questo il punto. È irrilevante. È come interrogarsi se l’elettricità sia buona o cattiva.

Ma la tecnologia oggi permette di spingere alcune persone al suicidio, in un modo che 30 anni fa non era possibile.
Certo. Quello che le giovani persone devono fare, prima o poi, è erigere una sorta di filtro. Che cosa significa per me questo strumento? Come lo voglio usare? Dove traccio dei confini che non devono essere superati? Tutto questo fa parte di un nuovo territorio che abbiamo esplorato poco. Le scuole devono far capire ai giovani che Internet è uno strumento, da usare con un certo livello di comprensione.

Pensa che si debbano tenere dei corsi nelle scuole su…
(Interrompe) No, no, no. Non bisogna trasformare tutto in un orribile curriculum scolastico. L’idea che il preside ti dica come usare il cellulare è abominevole. È il momento in cui i ragazzi devono considerare l’idea di bruciare la scuola.

Ha incontrato la famiglia di Nikki Catsouras, una teenager le cui foto raccapriccianti, scattate dopo un incidente, sono state diffuse sul web. Qual è l’aspetto emblematico della sua storia?
Penso che la vicenda non faccia che mostrare la bruttezza della nostra società. È qualcosa di impossibile da prevenire completamente. A livello legale è complesso, perché quando qualcuno muore perde i suoi diritti in quanto persona. Ma la cattiveria e la stupidità non possono essere regolate per legge.

E il fenomeno del revenge porn? Non tutti i Paesi hanno leggi che prevedono consensualità, quando immagini o video di natura sessuale vengono postati online.
Penso che qualche tutela legale esista già, perché una persona vivente possiede alcuni diritti sulla propria immagine. Lo vedo ogni giorno come filmmaker: nessun network o casa di distribuzione accetterebbe un mio film, se io non fornissi liberatorie firmate da chi appare sullo schermo. Se una persona è cattiva, lasciamo che resti cattiva, non la puoi cambiare. Ma se commette un illecito, oltrepassa una linea per cui il suo gesto diventa un reato – allora, certo, bisogna fare qualcosa.

Nel film c’è una citazione dal cosmologo Lawrence Krauss: “I figli dei figli dei nostri figli avranno bisogno della compagnia degli umani? Oppure si saranno evoluti in un mondo in cui questo non avrà più importanza?”. Che cosa ha pensato quando ha sentito queste parole?
C’è un pensiero profondamente inquietante, dietro tutto questo. Sfuma i contorni tra cosa è umano e cosa non lo è. A volte è meglio sollevare una domanda pesante, piuttosto che ricevere una risposta completa. Su temi del genere non abbiamo risposte. Intorno al 1820, Carl von Clausewitz (il generale del XIX secolo, ndr) disse: “A volte, la guerra sogna se stessa”. È un’osservazione stupefacente. Oggi io mi chiedo: “Internet sogna se stesso?”.

È una domanda molto herzoghiana.
(Ride). Beh, l’ho rubata a Clausewitz. Non avremo mai una risposta soddisfacente, ma è importante fare una domanda che stimoli l’intelletto, che lo impegni a lungo.

Pensa che un ragazzino cresciuto con Internet abbia scarse abilità sociali, per via della minore interazione faccia-a-faccia? O, al contrario, sarà più bravo di noi, perché l’interazione oggi è molto più capillare?
(Essere online) è un modo secondario per interagire con le persone. L’analisi del mondo intorno a noi non dovrebbe essere delegata a un sostituto artificiale, qualcosa che non è davvero palpabile. Quando un bambino scava una buca nel terreno fa un gesto di enorme importanza, secondo me.

Allora c’è stato un cambio di paradigma, se la principale forma di comunicazione di tanta gente oggi è “secondaria”. Io, per esempio, ricevo telefonate soltanto da due persone: mia mamma e la mia fidanzata.
Certo, ma oggi tua mamma e la tua fidanzata non sono le uniche persone con cui comunichi. Con le altre che cosa usi? Scrivi email?

Più che altro messaggi.
Ma nei messaggi probabilmente usi frasi molto brevi, e quindi pensieri molto brevi.

È questo il punto. È difficile comunicare via messaggio; ma ormai quando telefoni a qualcuno, quella persona pensa subito che si tratti di un’emergenza, anche quando non lo è.
Perché semplicemente non prepari loro una bella bistecca? Le inviti a cena e spegnete tutti i cellulari.

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Secondo lei che effetti ha avuto Internet sul modo in cui le nuove generazioni interagiscono?
Spesso mi accorgo che i giovani non hanno una vera comprensione di cosa è reale e cosa no. Quando Grizzly Man è uscito, nel 2005, molti commenti su Internet venivano da ragazzini che sostenevano che quelle riprese potevano essere possibili soltanto grazie alla computer grafica. Nessuno è ritenuto in grado di toccare il naso di un orso grizzly che pesa mezza tonnellata: quindi questi ragazzi ammettevano che, secondo loro, un evento del genere è inconcepibile senza effetti digitali.

Tutto questo la preoccupa? O la fa ridere?
È così e basta. Ma quando le persone non hanno più una base solida nel mondo reale, bisogna stare attenti. Possono esserci altre conseguenze. I ragazzi non capiscono più il motivo per cui si va in guerra. Non capiscono cosa sta succedendo quando vengono precettati, inviati verso un Paese straniero e dislocati sul campo di battaglia. Sono gettati dentro una situazione che non sono più in grado di comprendere. Faremmo meglio a preparare i soldati all’idea di andare a combattere. All’idea che li attende qualcosa di vero, là fuori.

Come pensa che sarà Internet tra 100 anni?
Fondamentalmente resterà lo stesso. Sarà soltanto più veloce, e permetterà di spostare maggiori quantità di informazioni verso più destinazioni contemporaneamente. È la stessa cosa che è successa con il telefono, 100 anni fa. Oggi il telefono è ancora simile ai primi modelli, solo che è meno caro e funziona via satellite. Penso che lo stesso valga anche per le automobili.

A proposito di auto, un segmento del film riguarda quelle che si guidano da sole. In giugno c’è stato il primo incidente mortale che ha coinvolto uno di questi mezzi. È realistico supporre che diventeranno comuni, in un futuro prossimo?
Penso di sì, ma non siamo ancora pronti. Un incidente del genere è qualcosa che raffredda gli entusiasmi. Apprezzo il fatto che non stiamo entrando alla cieca dentro queste nuove possibilità. Diciamo che Amazon inizi a spedire i suoi pacchi tramite droni: aspettate che uno di questi venga risucchiato dal motore di un Boeing 747 e tutti i passeggeri restino uccisi. Aspettate che un drone si scontri con uno scuola-bus e ferisca al volto una ragazzina. A quel punto, tutti si renderanno conto dei rischi per la sicurezza, capiranno che qualcosa non torna.

Pensa che le macchine saranno mai in grado di innamorarsi come gli esseri umani?
Uhm. (Fa una lunga pausa). Beh, è una domanda ipotetica. Direi di no – però è un no prudente. Immaginiamo che tra 1000 anni ci saranno macchinari con un’intelligenza artificiale perfettamente integrata: le emozioni potrebbero diventare parte della loro esistenza.

Che cosa pensa di quelli che imitano la sua voce?
Sono come delle guardie del corpo non pagate. Si battono per me là fuori, sono felice che esistano. Alla base di tutto questo c’è quella volta in cui la mia voce è stata ospite dai Simpson, e poi è diventata la voce di uno dei cattivi in Jack Reacher. Il motivo è che amo tutto ciò che ha a che fare con il cinema.

Questa intervista è stata pubblicata su Rolling Stone di ottobre.
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