Personaggi bellissimi girano per le strade e le spiagge di L.A., parlottando da soli, mentre cercano significati profondi nei loro incontri. È chiaro che Knight of Cups porti la firma di Terrence Malick, un poeta del cinema i cui recenti lavori stanno tra il sogno (The Tree of Life) e la tecnologia (To the Wonder).
Nel cast c’è Christian Bale nei panni di un pellegrino moderno, uno scrittore alla deriva tra inquietudini e feste, dove la star più importante avvistata è – accipicchia! – Ryan O’Neal. Lo scrittore esaspera la moglie (Natalie Portman) e si dà da fare con una modella esotica (Freida Pinto), un’australiana spirituale (Teresa Palmer) e una libera pensatrice (Imogen Poots). Forse tutto questo trombare in giro ha prosciugato le forze del nostro antieroe. Sicuramente ha frustrato suo padre (Brian Dennehy), che in un classico caso di ovvietà, dice: «Figlio mio, non riesci a dare un senso alla tua vita». Malick ha chiamato una lista di nobiltà attoriali per farsi aiutare a perdersi nella sua fantastia, ma Cate Blanchett è l’unica davvero impaziente nell’affrontarle. Visto che Malick non dà neanche un indizio di trama, sta a noi trarre le conclusioni. Questa è la mia: dopo due ore passate a osservare dei ricchi che non godono dei loro privilegi, vorrei prenderli a sberle con le carte dei tarocchi che Malick usa per dividere i capitoli. Tutti i film sull’alienazione devono essere alienanti? Andate a fare due passi e pensateci. C’è una linea che divide l’artistico e l’artistoide, e Malick l’ha sorpassata.