Lo incontriamo al termine di un concerto-panzer con i Dwarfs of East Agouza. Spegne una sigaretta e ne accende un’altra: «Ci riprenderemo i 20 anni di divieti che quei fottuti bastardi ci hanno portato via», aggiunge con la voce da antagonista folle di un qualche 007. «Avremo la nostra vendetta», e scoppia a ridere. Alan Bishop è un pezzo dell’aristocrazia underground Usa, fondatore insieme al fratello Richard dei Sun City Girls che, dai primi anni ’80 fino allo scioglimento nel 2007, hanno registrato una cinquantina di dischi e che, centrifugando rock, folk, jazz, avanguardia ed etnica, hanno ottenuto risultati tra l’ebete e il geniale. Comunque a elevatissimo coefficiente d’intrattenimento. «Negli ultimi sei anni ho vissuto soprattutto al Cairo. Mi trovo bene, mi piacciono le persone. Anche quando vivevo lì negli anni ’80, mi ero reso conto che c’era qualcosa in quella città che mi pulisce la mente».
L’amore di Alan per il viaggio si è trasformato, con naturalezza, nella Sublime Frequencies, una delle etichette discografiche che ha rilanciato una world music (dovremmo forse dire musica post-globale) lontana da qualsiasi ideologia di purezza primigenia, che ha cercato ibridazioni e imbastardimenti meravigliosi come la scoperta più celebre, il siriano Omar Souleyman. «È un’ossessione. La nostra vita è viaggiare, ricercare suoni che ci ispirano e che speriamo possano piacere anche al pubblico dell’etichetta». Vista l’insaziabile curiosità, gli chiediamo di darci qualche dritta: «Gli italiani dovrebbero celebrare i compositori dell’epoca d’oro delle colonne sonore anni ’60 e ’70. Dovreste ascoltarli, anche perché sono un grandissimo fan e collezionista da almeno 40 anni, e non ho mai abbastanza amici con cui parlare di questa fissa». E ride, di nuovo.
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