Nel 2010 sono bastati 3 episodi a rendere la creatura di Steven Moffat e Mark Gatiss, rielaborazione del celeberrimo eroe di Sir Arthur Conan Doyle ambientata ai giorni nostri, una delle serie più amate del momento, altri 3 per lanciare definitivamente le proprie star (Benedict Cumberbatch e Martin Freeman) nel firmamento delle stelle del cinema, infine altre 4 per imporre la serie una volta per tutte nell’immaginario televisivo mondiale. Questo con soltanto 10 episodi trasmessi in 6 anni.
Con il settimo anno ecco arrivare la quarta infornata di puntate, che riprende il filo lasciato in sospeso nel lontano gennaio 2014: Sherlock adesso deve affrontare le conseguenze della scelta compiuta negli ultimi minuti del precedente finale, Watson deve gestire la vita coniugale con la moglie Mary, dal losco e turbolento passato, e l’imminente arrivo della loro primogenita, mentre tutti insieme cercano di capire se la rinnovata minaccia di Moriarty sia attendibile o meno.
Già nella passata serie, Sherlock aveva dimostrato un netto calo rispetto ai due primi folgoranti cicli di storie, forse perché indecisa su che strada prendere dopo la dipartita del temibile e spietato antagonista Moriarty. Aveva perciò puntato più del solito sulla bromance fra i due protagonisti, calcando la mano sul tono brillante piuttosto che sulle rutilanti indagini dell’investigatore di Baker Street, tanto da inserire come principale elemento di disturbo fra i due la fidanzata e presto moglie di Watson. La terza serie, però, si era conclusa riprendendo la vena dark in maniera abbastanza convincente.
Purtroppo, per gran parte di questa premiere dal titolo Le sei Tatcher, disponibile da ieri su Netflix, si ritorna al carattere più leggero, cosa che non sarebbe risultata nemmeno un problema se il caso proposto si fosse dimostrato all’altezza. Invece l’emozionante cliffhanger precedente viene risolto con un fastidioso colpo di spugna, mentre la detection, tra svolte di trama pretestuose e forzate, non convince affatto e punta tutto sulla velocità di svolgimento e sul ritmo incalzante, così da coprirne le magagne e l’inconsistenza spingendo di peso sul pedale dell’acceleratore.
La puntata però trova nel finale un suo senso e una sua direzione, sebbene forse fin troppo prevedibile, quasi obbligata. Gli autori decidono infatti di imboccare una strada abbastanza cupa tesa a esacerbare radicalmente il conflitto fra Sherlock e il fidato Watson come mai successo prima. Quando c’è un buon conflitto di solito c’è anche una buona storia e la speranza è che la serie riacquisti così quell’incisività che, magari a causa delle lunghe pause fra un ciclo di episodi e il successivo, è andata scemando. D’altronde, vista ormai la popolarità inarrestabile della coppia Cumberbatch – Freeman, alle prossime due puntate potrebbero benissimo non seguirne altre.