William Seward Burroughs non è un uomo di molte parole. Una volta, a una cena, ha fissato i registratori che gli erano stati messi davanti anche mentre mangiava e ha detto: «Non mi piace parlare e non mi piace la gente che parla. Come Ma Barker. Vi ricordate di Ma Barker? Beh, lei ha detto la stessa cosa: “A Ma Barker non piace parlare e non piace la gente che parla. Sta lì seduta con la sua pistola e basta”».
Sto pensando a questo episodio mentre un tassista irlandese porta me e Burroughs a casa di David Bowie a Londra, la sera del 17 novembre. Mi ci sono volute diverse settimane per organizzare questo incontro. Ho portato a Bowie tutti i romanzi di Burroughs, anche se lui ha avuto tempo solo di leggere Nova Express. Burroughs da parte sua ha ascoltato solo due canzoni di Bowie, Five Years e Starman, ma ha letto tutti i suoi testi. Tutti e due hanno espresso il desiderio di incontrarsi.
La casa di Bowie è decorata come il set di un film di fantascienza: sopra un divano di plastica è appeso il quadro di un artista il cui stile è a metà tra Salvador Dalì e Norman Rockwell. Bowie indossa dei pantaloni della NASA di tre colori diversi. Ci sediamo, parliamo e pranziamo per circa tre ore: un piatto di pesce giamaicano, avocado ripieno di gamberi preparato da un cuoco giamaicano del suo entourage e servito con una bottiglia di Beaujolais da un paio di assistenti interstellari.
Bowie: «A cosa stai lavorando al momento?».
Burroughs: «Sto cercando di aprire da qualche parte in Scozia un istituto di studi con lo scopo di estendere la consapevolezza e alterare la coscienza a un livello superiore di flessibilità ed efficienza, dato che siamo in un momento in cui le discipline tradizionali hanno fallito nell’obiettivo di offrire delle soluzioni praticabili. L’avvento dell’era spaziale e la possibilità di esplorare galassie e contattare forme di vita aliene ci mette di fronte alla necessità di soluzioni radicali. Daremo enfasi all’alternanza e all’interazione di metodi usati in Occidente e Oriente, oltre ad altri che non vengono utilizzati al momento per incrementare le potenzialità umane. Sappiamo esattamente cosa vogliamo fare e come farlo. Non ci saranno sperimentazioni con sostanze chimiche. Ogni tipo di droga all’infuori dell’alcol, del tabacco e delle medicine prescritte saranno permesse nel centro. Proponiamo degli esperimenti facili da portare a termine e non dispendiosi. Meditazione e yoga, esperimenti di comunicazione con suoni, luci e immagini filmate, camere di deprivazione sensoriale, piramidi, generatori psicotronici e ORAC (gli “accumulatori di orgone” creati dallo psichiatra Wilhelm Reich, ndr) infrasuoni e sperimentazioni sul sonno e i sogni».
Bowie: «Interessante. In pratica ti interessano le forze energetiche».
Burroughs: «Mi interessa l’espansione della consapevolezza che eventualmente può portare alla mutazione. Hai letto I miei viaggi fuori dal corpo di Robert Monroe? Non è il solito libro sulle esperienze extracorporee. È un uomo di affari americano che scopre di avere queste esperienze di distacco dal suo corpo senza aver mai usato droghe o allucinogeni. Questo tipo di teorie psichiche vanno molto adesso negli Stati Uniti. Hai avuto modo di sperimentarle mentre eri negli Usa?».
Bowie: «No, le ho evitate di proposito. Da giovane studiavo Buddismo Tibetano, influenzato da Kerouac. Sono andato anche a dare un’occhiata all’Istituto di Buddismo Tibetano. C’era un tipo che stava cercando di aprire un centro per i rifugiati tibetani in Scozia e mi sono interessato alla cosa da un punto di vista sociologico. Volevo aiutare i rifugiati a lasciare l’India, dove le loro condizioni di vita erano terribili per loro. Morivano come mosche per via del cambio di clima rispetto all’Himalaya. La Scozia era un posto molto adatto a loro e quindi mi sono interessato sempre più al loro modo di pensare, o di non pensare. Sono arrivato al punto di pensare di diventare un monaco buddista e, due settimane prima di intraprendere quel cammino, ho mollato, sono andato a ubriacarmi per strada e non ci ho pensato più».
Burroughs: «Proprio come ha fatto Kerouac».