Ai David di Donatello vincono sempre gli stessi! Ai David di Donatello contano i grandi produttori che possono muovere centinaia di giurati! Ai David di Donatello vincono i vecchi! Onestah! 111!!! Gombloddo!1!!! Ah no, non è così.
Sarà che Gian Luigi Rondi, sopravvissuto a tutto e tutti (ma non a una battuta di Cattelan), alla fine della sua vita ha pensato bene di rendere più trasparente l’Accademia del Cinema Italiano (da qui, per dire, vittorie come quelle di Anime Nere e Lo chiamavano Jeeg Robot); sarà che c’è Giuliano Montaldo a sostituirlo temporaneamente e con uno come lui possono arrivare solo cose belle; sarà che la data anticipata rispetto al passato ha portato a una selezione di “soli” dieci mesi di cinema (i film usciti dal 29 febbraio al 31 dicembre 2016), ci sono state belle sorprese, come Wax-We are the X, primo film totalmente indipendente ad arrivare a una nomination (nella sezione regista esordiente) o come Roberto De Francesco, attore sublime che viene selezionato tra i non protagonisti per un lavoro particolare come Le ultime cose.
Noi proviamo a fare le nostre previsioni, a dolerci degli esclusi, ad assegnare i nostri David almeno per le sei categorie principali, a votazioni non ancora riaperte (i giurati, compreso chi scrive, potranno mandare la propria scheda dal 24 febbraio al 14 marzo). Così, giusto per far brutta figura il 27 marzo, quando verremo smentiti in diretta Sky dagli eventi.
Miglior Film
Bellocchio con uno dei suoi film peggiori entra in cinquina probabilmente perché non c’era un affollamento di capolavori quest’anno, complice la data anticipata e il fatto che abbiano marcato visita gli assi pigliatutto o potenziali tali. Per i più giovani (Giovannesi, De Angelis e Rovere) tre sembra essere il numero perfetto: sono tutte opere terze le loro. Paolo Virzì è più favorito della Juventus in serie A (giustamente). Le nomination di questa categoria:
Fai bei sogni di Marco Bellocchio
Fiore di Claudio Giovannesi
Indivisibili di Edoardo De Angelis
La pazza gioia di Paolo Virzì
Veloce come il vento di Matteo Rovere
Dovrebbe vincere: La pazza gioia. Perché è il film migliore della stagione, per distacco.
Vincerà: La pazza gioia. Perché persino per la folla di giurati (e sono troppi) dei David, Paolo Virzì deve assurgere finalmente al grado di grande maestro. Lo era già, ma qui se ne accorgono sempre con qualche anno di ritardo. Intendiamoci, già due volte ha avuto il David come miglior film (Ferie d’Agosto, Il Capitale Umano), ma qui ci si aspetta pure di battere il record di dieci statuette de La ragazza del lago di Andrea Molaioli.
Il grande escluso: La stoffa dei sogni. Le nove candidature sono un bel riconoscimento, ma meritava anche di essere tra i film migliori: l’impressione è che sia sta un’opera colpevolmente sottovalutata. Prima dai festival, poi dagli spettatori, ora (meno, per fortuna) dai David. Eppure è tra le cose migliori viste sul grande schermo negli ultimi lustri, con una regia forte e coraggiosa (pur in condizioni ambientali estreme) e con attori, tutti, in stato di grazia.
Miglior regia
Posto che Marco Bellocchio può essere un grande vecchio solo anagraficamente, ma che ha in sé da sempre una grande modernità (poi, certo, ama anche le sfide impossibili, tipo Gramellini) e che Paolo Virzì è sempre il solito ragazzaccio (e sempre più bravo), qui la novità è che tre su cinque (Giovannesi, Rovere e De Angelis) sono under 40. In età in cui fino a pochi anni fa era difficile persino esordire al cinema qui da noi.
Marco Bellocchio per Fai bei sogni
Claudio Giovannesi per Fiore
Edoardo De Angelis per Indivisibili
Paolo Virzì per La pazza gioia
Matteo Rovere per Veloce come il vento
Dovrebbe vincere: Indivisibili. Perché Edoardo De Angelis ha il gusto per un cinema di genere d’autore, si sporca le mani con commedia, noir e melodramma (in questo suo terzo film, con tutti e tre i generi contemporaneamente) e li nobilita con grande raffinatezza visiva.
Vincerà: La pazza gioia. Perché se il grande nome si coniuga con la sua opera forse migliore, è difficile evitare l’effetto tsunami di statuette. E la regia di Virzì è in effetti la migliore, ma a volte i premi devono vincerli quelli che ne hanno bisogno.
Il grande escluso: Enrico Iannacone con La buona uscita, un film gioiello che si poggia sulle capacità visive e creative del suo cineasta (già vincitore ai David con il corto L’esecuzione). A 27 anni, ha una consapevolezza narrativa e una profondità e complessità di visione sorprendenti. È incredibilmente rimasto fuori pure dai giochi del David per il miglior regista esordiente.
Miglior attrice protagonista
Probabilmente è una delle categorie più belle di questa edizione. E anche più dolorosa: le quattro attrici sconfitte non lo meriteranno. Si fa fatica a capire perché Angela e Marianna Fontana debbano essere considerate un corpo unico (anche se interpretano due gemelle siamesi, sono clamorosamente brave in modo diverso) mentre Valeria Bruni Tedeschi e Micaela Ramazzotti possano correre singolarmente. Ovviamente è una provocazione: le due attrici gemelle, giovanissime e piene di talento (anche canoro, vedere Indivisibili per credere) ovviamente non avevano abbastanza notorietà per correre separate. E forse sono state così brave da non poter essere divise, neanche ai David.
Daphne Scoccia (Fiore)
Angela e Marianna Fontana (Indivisibili)
Valeria Bruni Tedeschi (La pazza gioia)
Micaela Ramazzotti (La pazza gioia)
Matilda De Angelis (Veloce come il vento)
Dovrebbero vincere: Angela e Marianna Fontana. In un’opera con più registri e con sfide difficilissime per loro, esordienti e appena diciottenni, sono mattatrici meravigliose. Cantano, piangono, ridono, litigano, amano, sopra e sotto le righe. Non sbagliano una mossa, uno sguardo, una parola. Sono così brave che quando le vedi fuori dal set, divise, quasi rimani deluso.
Vincerà: Valeria Bruni Tedeschi. Perché, diamine, quant’è stata brava ne La pazza gioia e a fidarsi di Paolo Virzì (che le sta regalando una nuova carriera): con lui è uscita dallo stereotipo di borghese depressa e antipatica per regalarci questa stupenda donna libera, indomabile, sensualissima, divertente, sensibile. Ed è semplicemente irresistibile.
La grande esclusa: Anna Foglietta, per un’opera poco capita come Che vuoi che sia. Il lavoro sulla lingua, sul cambio di registri anche in una stessa scena, sul corpo che fa un’interprete sempre più straordinaria – se riuscite, andate a teatro a vederla indossare i panni di Alda Merini – è di altissimo livello. Riesce a rendere un rotolo di carta igienica centrale e vivo come un teschio shakespeariano. Fa male anche l’assenza di Claudia Potenza, in Monte di Amir Naderi perfetta.
Miglior attore protagonista
Mastandrea rischia di nuovo la doppietta. A quanto si ricorda negli ultimi anni, è lui l’unico romanista ad aver portato a casa dei trofei. Scherzi a parte, riesce a salvare (in parte) da solo un film improbabile come Fai bei sogni. Se dovessimo stilare una classifica dei migliori attori italiani in attività, tutti e cinque sarebbero nella top 10, quindi bene così.
Valerio Mastandrea (Fai bei sogni)
Michele Riondino (La ragazza del mondo)
Sergio Rubini (La stoffa dei sogni)
Toni Servillo (Le confessioni)
Stefano Accorsi (Veloce come il vento)
Dovrebbe vincere: Stefano Accorsi. Senza nulla togliere a Mastandrea (che nonostante il peggior trucco e parrucco della storia del cinema italiano porta a casa un personaggio impossibile), Riondino (è uno dei migliori, senza se e senza ma), Rubini (da anni non era così in forma), Servillo (quando ci darà la soddisfazione di una prova mediocre per farci sentire meno inadeguati?); Accorsi ha lavorato sul suo corpo (dimagrendo e imbruttendosi), su ogni dettaglio, sulla riappropriazione delle sue origini linguistiche in modo maestoso.
Vincerà: Stefano Accorsi, perché i giurati devono lavare il loro senso di colpa. Sono anni che questo attore (per Veloce come il Vento insignito anche del premio Volonté al Festival La Valigia dell’attore a La Maddalena) lavora lungo un percorso difficile e indipendente, coraggioso e di alto livello, ma loro l’hanno inchiodato per decenni a spot e a L’ultimo bacio di Muccino. E siccome non abbiamo grandi premi televisivi, va premiato pure per Leonardo Notte in 1992. Nei prossimi anni il ragazzo ci farà godere parecchio, vacca boia.
I grandi esclusi: Andrea Sartoretti: la prestazione artistica, fisica, emotiva in Monte di Amir Naderi è la classica prova che non può non giocarsi un premio. I giurati hanno il dovere di vedere tutti i film in concorso. Se non c’è lui, francamente, immaginiamo che in pochi abbiano visto il film. Sarebbe stato difficile non metterlo tra i cinque nominati, altrimenti. Stesso discorso vale per Riccardo Scamarcio: Pericle il Nero è un film non riuscito, ma lui è bravissimo a interpretarne il protagonista.
Miglior attrice non protagonista
È da questa categoria che capisci che il cinema italiano forse sta migliorando davvero. Personaggi femminili banali e non di rado irritanti sono, sempre più spesso, sostituiti da ritratti più sfaccettati e originali. E siccome di attrici brave ce ne sono, quando il gioco si fa duro, le migliori saltano all’occhio.
Antonia Truppo (Indivisibili)
Valentina Carnelutti (La pazza gioia)
Valeria Golino (La vita possibile)
Michela Cescon (Piuma)
Roberta Mattei (Veloce come il vento)
Dovrebbe vincere: Valentina Carnelutti. Una sarta di anime, capace di cucirsi addosso i personaggi più difficili e anche di tirar fuori il meglio quando le pose sono troppo poche. Il fatto che arrivi alla sua (prima!) candidatura con una donna di nome Donatella sembra un segno del destino. Averla ignorata finora è assurdo, premiarla ora un dovere.
Vincerà: Roberta Mattei. In verità è un altro “dovrebbe vincere”. Ma nel personaggio scritto peggio di Veloce come il Vento, mostra quel talento limpido, potente, spiazzante già tirato fuori in un ruolo totalmente diverso come quello di Non essere cattivo. Si prende la tua attenzione e non la molla, ha la capacità di catturare la macchina da presa senza invaderla. E poi Truppo, Golino e Cescon hanno già vissuto la gioia della vittoria di quella statuetta.
Le grandi escluse: Barbara Ronchi, la mamma di Fai bei sogni. Lacerante, entusiasmante, vibrante. Meritava di vincere, probabilmente (è la più classica delle grandi interpretazioni da non protagonista) e invece si ritrova addirittura fuori dalle nomination. E le attrici di 7 minuti. Placido, che normalmente sa tirar fuori il meglio dai maschi, qui confeziona un’opera semplice grazie a un gineceo di interpreti bravissime e in alcuni casi capaci di performance imprevedibili. Una candidatura collettiva ci stava: tutte protagoniste e tutte comprimarie, si sono prese ognuna una fetta di quella lotta, di quel racconto, sapendolo colorare nel modo giusto. La colpa però è dei produttori in entrambi i casi: alla Ronchi, quelli di Fai bei sogni hanno preferito Berenice Bejo, mentre quelle di 7 minuti le hanno messe nella categoria “protagoniste”.
Miglior attore non protagonista
Bella selezione, qui, dei giurati, che hanno unito i grandi nomi che si sono regalati in piccolo ai grandi ritratti dei meno conosciuti, capaci di entrarti negli occhi, nel cuore, nella pancia (come Rossi, De Francesco e Fantastichini). A volte non aver le caselle già barrate, aiuta.
Valerio Mastandrea (Fiore)
Massimiliano Rossi (Indivisibili)
Ennio Fantastichini (La stoffa dei sogni)
Pierfrancesco Favino (Le confessioni)
Roberto De Francesco (Le ultime cose)
Dovrebbero vincere: Roberto De Francesco, perché è un campione che altrove vincerebbe premi a pioggia e in America lavorerebbe con Scorsese. E perché Le ultime cose è un lavoro mirabile e il suo spicchio di film è una lezione su come si fa il “non protagonista” diventando centrale nel racconto e nei ricordi di chi guarda il film. E infine perché è un’interpretazione diversa e originale in un film che lo è altrettanto. Impossibile però non dare un ex aequo a Ennio Fantastichini. Se La stoffa dei sogni di Gianfranco Cabiddu è uno dei lungometraggi italiani migliori degli ultimi anni, è anche merito di questo attore qui, capace di toccare tutte le corde, proprie e altrui, di giocare per sottrazione e poi scartare sopra le righe, con guizzi da fuoriclasse.
Vincerà: Valerio Mastandrea, perché altrimenti l’interessante Fiore rischia di rimanere schiacciato dai tre capofila, perché ormai è nell’immaginario dei giurati e del pubblico come uno dei migliori (giustamente: pensate solo al capolavoro che fa in Perfetti sconosciuti, in cui con pose e battute contingentate ha detto a tutti che quando lui dà il meglio, non ce n’è per nessuno), perché vederlo sfottere il conduttore della serata dei David è di solito la cosa più divertente di una cerimonia altrimenti noiosissima.
I grandi esclusi: Alessandro Borghi, il suo Boccione ne Il più grande sogno è commovente e delicato, nella sua ruvidezza. Guido Caprino, che fino a che il parrucco non massacra anche lui in Fai bei sogni (scena della commemorazione della tragedia di Superga) è perfetto e dimostra che al film di Bellocchio hanno dato le nomination sbagliate. E se avessimo più apertura mentale, oseremmo dire persino Nino Frassica per Natale a Londra: Dio salvi la regina. E in ultimo, che delitto non candidare Sergio Pierattini che in Piuma dimostra che uno con le sue capacità non avrebbe sfigurato neanche in Amici miei.