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Cosa vuol dire andare a un concerto di Cosmo

Una raffica di sold-out per il gran finale del tour legato a "L'ultima festa", il nostro disco italiano preferito del 2016

Cosmo durante il live ai Magazzini Generali di Milano. Foto Chiara Mirelli

Cosmo durante il live ai Magazzini Generali di Milano. Foto Chiara Mirelli

Okay, l’indie italiano è in forma smagliante, questo l’avevo capito, ma la rapidità con cui è andata sold out anche la seconda data di Cosmo al Monk di Roma non me l’aspettavo, e forse non se l’aspettava neanche lui. Per questo è stato bello vederlo apparire sul palco con l’entusiasmo non tanto di uno che ce l’ha fatta, ma di uno che ha organizzato un festone dove si è presentata un sacco di gente.

Personalmente apprezzo molto più questo genere di soddisfazione che il disincanto radical-snob di chi voleva non solo partecipare alle feste, ma anche avere il potere di farle fallire. Il pubblico è giovanissimo, e mi fa un po’ ridere che fino a poco tempo fa, chi oggi va per i quaranta, quando parlava del Monk lo chiamava ancora l’ex-Palma, un locale storico di jazz che probabilmente non suscita nessuna eco nostalgica tra i ragazzi che sono venuti stasera al concerto. Ma va bene così, e cerco anche io di non pensare troppo allo scarto anagrafico, anche se non è facile, per cui faccio finta di niente quando una ventenne che sembra uscita dal video di Oroscopo di Calcutta confessa a un’amica che il cantante dei “…” (non ve lo dico il nome) le ha chiesto di uscire, e l’amica le domanda: “Ma chi sono i “…”?” e lei: “Mio fratello mi ha detto che spaccavano negli anni ’80, ma ora stanno tornando di moda”. Il che rende ancora più straniante sentire durante il concerto un coro di ragazzini cantare a braccia tese “Era lì, proprio lì, a metà degli anni ’80…” Sembrano presissimi, rapiti, come se avessero la stessa visione limpida di cosa ci fosse proprio lì, a metà degli anni ’80. È uno dei pezzi più accorati Regata 70, ma al posto degli accendini c’è la parata di cellulari. Ci ironizza anche Cosmo su quel muro di lucette, e a un certo punto rilancia: “Adesso facciamo una cosa tamarra alla Gigi d’Agostino, spegniamo le luci sul palco e mi illuminate voi”. Tripudio generale, si alzano altri schermi, si puntano le torcette dei telefoni.

"Cosmo

Cosmo non stacca mai tra un pezzo l’altro, facendo un live che potrebbe starci pure in festival alla Atonal. Il risultato è uno strano ibrido, come vedere a un concerto dei Moderat tutti che cantano i pezzi a memoria. Nell’intervista a Rolling Stone lui parlava di un’elettronica calda, e se l’intento era quello, ci è riuscito benissimo, dimenandosi sul palco con quella fluidità psicotropa di chi si è fatto un sacco di feste. In compenso nel pubblico non c’è molta fattanza, e anche la sensualità non sfocia mai nel delirio orgiastico di amore universale. Per dire, quando parte un altro coro di voci su Impossibile (“qui dentro questa camera/ succede l’impossibile/ succede l’impossibile…”, le coppie si abbracciano, si baciano, si selfano, ma quello che succede in quella camera sembra restare un fatto gelosamente privato.

Per l’atto finale, come pure annunciato su facebook, Cosmo invita la gente a salire sul palco, si fanno avanti per prime due ragazze che si godono per qualche istante il loro cinque secondi di celebrità e di imbarazzo, poi pian piano il palco si riempie, mentre la musica monta sulle note dell’Ultima festa, piovono i coriandoli, sono tutti contenti, presi bene, e la sensazione – bella e brutta allo stesso tempo – è quella di una festa dove non c’è nessun pericolo che arrivi la polizia.

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