Prima di iniziare a lavorare da Eric a tempo pieno pensavo che coltivare erba fosse come coltivare alberi di Natale. Pianti i semi, li innaffi, lasci che la natura faccia il suo corso e quando è il momento, quando le piante sono abbastanza grandi, le tagli e le vendi, fai i tuoi soldi e Buon Natale a tutti. Fine.
Niente fine. «Basta un raccolto cattivo – dice Nelson – e perdi tutto quello che hai investito in questa attività». La lista delle cose che possono andare storte è davvero lunga. Il vento può distruggere la piantagione; le piante possono stressarsi e diventare ermafrodite; possono essere attaccate da roditori, cervi, bruchi, acari, possono marcire, fare la muffa, possono essere rubate o trattate male; se la serra è troppo buia puoi ritrovarti con piante troppo soffici, troppo molli; puoi esagerare con il fertilizzante e bruciare tutto chimicamente. Eric è orgoglioso che la sua attività sia totalmente organica, ma sostiene che la chimica sia molto diffusa tra i suoi colleghi, che la utilizzerebbero almeno una volta durante tutto il processo.
Nelson ispeziona le piante con le mani. Dice di riuscire a capire se si sentono “felici”: «Sono vivaci – dice – riesci a vedere come sono luminose, verdi e ricche d’umidità? Non sono stressate. Quando sono tristi diventano cadenti. Forse a causa della disidratazione. Se sono tristi non profumano di niente e marciscono subito». Nelson impugna una pianta e mi fa annusare. Profuma d’erba. Profumano tutte d’erba. Non so dire se siano felici o meno, ma quest’erba appare e profuma in maniera totalmente diversa da quella che fumavamo al liceo. Quella merda era marrone e piena di semi, venduta in sacchetti di plastica da un ragazzino che si presentava a scuola solo per spacciare.
Nelson tira fuori il suo telefono e dichiara di voler documentare il nostro lavoro alla fattoria. «Qualcosa da mostrare ai nostri figli, un giorno» mi dice. Mi manda parecchio materiale, ma allo stesso tempo mi vieta di postarlo, non vuole che si scopra la posizione della serra. «Quando inizi a vantarti e a far vedere a tutti la tua roba» dice. «Ecco quello è il momento in cui ti fai fottere».
Le piante sono più alte del recinto, visibili per chiunque stia facendo due passi in macchina a una o due centinaia di metri dalla serra. Il primo giorno di lavoro io e Nelson abbiamo attaccato delle estensioni di bamboo al recinto. Abbiamo usato le stesse fasce di plastica usate come manette in Iraq, come la rete di plastica verde posta sulla recinzione ricorda il materiale usato per coprire le teste dei prigionieri ammanettati. Mi sento strano quando penso che sono passato dal manovrare una mitragliatrice a ottenere un diploma sulla coltivazione dell’erba. Devo mantenere un figlio di sette anni, vederlo ogni week-end. Ho appena compiuto 40 anni. Cosa ho sbagliato? Le mie ex-mogli hanno le loro teorie, io non saprei da dove cominciare.
C’è una terza persona che lavora con noi nella serra: Alicia, una latina della California del Sud. Indossa pantaloncini da corsa e cuffie mentre passeggia tra le piante, innaffiandole. Nelson flirta con la ragazza costantemente, la chiama “bellissima”, “dolcezza”, le ricorda sempre la sua bellezza. «Quand’è che ci mettiamo insieme, io e te?», le chiede.
«Scusa, Nelson, i Messicani non sono proprio il mio tipo».
All’interno ci sono alcuni trimmers, gente che pota i germogli con delle forbici: un paio di ragazzi, sandali ai piedi e acconciature man-bun, e una ragazza in shorts con un caschetto biondo e l’aria vagamente da fattona – Nelson l’ha notata tornando verso casa. «La amo» mi confessa, anche se lo dice di un po’ tutte le donne del mondo. Quando flirtare con Alicia diventa noioso, infatti, si sposta e fa lo stesso con la bionda. Durante tutta la giornata di lavoro Nelson non fa altro che passare da una ragazza all’altra.
Ad un certo punto io ed Eric ci siamo ritrovati da soli nella serra. Mi chiede un consiglio, le mani incrociate sul torace: «Pensi che dovrei comprarmi un fucile a pompa o un mitra?». Eric ha già provato a comprare una pistola, ma non ha superato il background check. Nelson mi ha detto che il ragazzo aveva aggredito un collega a mani nude. I due erano andati al bar e questo tizio ha iniziato a vantarsi con la barista delle loro coltivazioni. Eric gli ha detto di stare zitto, il tizio ha continuato e bam! Eric lo ha riempito di botte e si è fatto arrestare, per fortuna nessuna denuncia. Scuoto la testa, Eric non ha bisogno di una pistola. «Che pensi di fare? Sparare a qualcuno per l’erba?». Lui mi guarda.
Dopo la mia prima settimana di lavoro Nelson è tornato in città ed Eric mi ha fatto fare un piccolo tour del suo “nidiandolo”. Mi mostra un cestino pieno di piante. «Quando sarà approvata la Prop 64,» mi dice, «tutto sarà regolamentato e nessuno potrà permettersi questa attività. Niente di tutto questo farà più profitti. Per questo mi sto organizzando. Questo è il mio ultimo raccolto. Poi me ne vado».
Il suo piano è andarsene, magari prendere una casa tra le montagne e seppellire il resto. Mi indica una vecchia roulotte parcheggiata accanto alla casa. Alcuni anni prima il ragazzo aveva lasciato il lavoro e comprato la roulotte. Viveva nella natura, coltivava marijuana. Da solo con il suo cane. Ha investito tutti i suoi soldi e ha continuato a farlo fino ad avere quello che ha adesso, il suo cestino, la sua assicurazione per il futuro. Ha paura di tre cose: essere rapinato, degli acari e di un qualche disastro meteorologico in arrivo.
Sostiene di poter vendere 5 etti della sua erba per 1,400 dollari – come minimo – e di poter arrivare addirittura a $2,300. Durante il suo primo anno la stessa quantità si vendeva a 4,200 dollari. Ogni anno il prezzo cala e i costi delle operazioni aumentano. Molti sostengono che con l’approvazione della Prop 64 la situazione peggiorerà ancora: «Per i coltivatori indipendenti la fine è qui e ora».
«Tu non parli molto, vero?», mi dice Eric mentre passeggiamo nella sua piantagione. «No, è vero – gli rispondo – eseguo gli ordini, tengo la bocca chiusa». Eric mi dice che è un lato di me che apprezza. Poi mi dà istruzioni su come annaffiare nel modo giusto le sue piante. Devo usare un cronometro per assicurarmi di innaffiare tutte le piante per la stessa identica quantità di tempo: due minuti e mezzo. Posso permettermi di allargarmi un po’, ma non troppo perché non posso sprecare i nutrienti che Eric ha acquistato.
Più tardi, quando il ragazzo torna a chiedermi come va, gli dico mentendo che è tutto a posto. In verità ero un po’ perso nella serra, le piante sembrano tutte uguali. Oppure ho dimenticato il cronometro e avrò sicuramente annaffiato alcune piante due o tre volte. Purtroppo è impossibile da capire, il calore le asciuga troppo in fretta. Gli dico, però, che è tutto a posto, che ci so fare. Eric non ama assumere fattoni o gente comune. Non è questo il tipo di lavoratori che cerca. Quando li guarda riesce a vedere che lo fanno solo per i soldi. Pensano che sia ricco e vogliono solo una fetta del malloppo.
«Non capisco», mi dice. «Vai a lavorare da Walmart, un posto che vale milioni di dollari. I dipendenti guadagnano una miseria e sono tutti contenti! Nessuno se ne va in giro a dire “Ehi, aspetta un attimo, questi stanno facendo i miliardi. Dovrei guadagnare molto di più!”. Questi stronzi, questi fattoni e questi hippie vengono qui, guardano la mia roba e subito dicono cose tipo “Oh, mi merito di guadagnare di più”, ma vaffanculo! Non riescono a vedere tutti gli anni di merda che ho passato per arrivare fino a qui, le migliaia e migliaia di dollari che ho dovuto spendere! Solo per questo terreno ho speso $70,000 dollari! Per della terra! Sono più soldi di quanti ne guadagna in media un americano in un anno! Vedi queste canne di bamboo? Quante pensi ne abbia comprate? Migliaia. E indovina un po’? Ogni stecca costa diversi dollari».
Un’altra differenza con Walmart, un’azienda con migliaia di dipendenti, è che qui lavora praticamente solo lui. Lui ha la responsabilità di aprire bottega, accendere le luci, controllare che tutti facciano bene il loro lavoro: «Sono responsabile di tutto, fino ai filtri per il caffè. Sono responsabile di tutto! Io!»
La mia prima settimana è facile. Ogni notte mi addormento nella roulotte e mi sveglio verso le 8 del mattino. La mia colazione è composta di uova organiche, salsicce, Tater Tots e una tazza di caffè. Nella stanza è appesa una lavagna con la lista delle cose da fare durante la giornata. A volte Eric lascia dei messaggi motivazionali per i suoi dipendenti, altre invece scrive cose come: “Cazzo non mi svegliate!”. Durante la colazione Eric spiega a me e ad Alicia i compiti della giornata.
Una mattina, prima della colazione, ho fatto due passi nella coltivazione. A quel punto ho notato una cosa allarmante su Eric: parla da solo e parecchio. Mentre lavoro, sento la voce di Eric in lontananza. «Duemila, 4,000, cazzo… uno, due, 55,13, maledizione, e tre dozzine dei cazzo di 40… Ho bisogno di altri 12, tre di questi e nove di, oh… Merda! Merda! Merda! Vaffanculo! Cazzo!». Poi ci sono le sparate sugli omicidi: «Lo giuro su Dio! Gli ammazzo tutta la cazzo di famiglia!!! Tutti questi stronzi, uno per uno! Li accoltello, gli strappo il cuore dal petto e poi li seppellisco tutti!!!».
Una mattina, mentre ci dirigiamo alla piantagione, Eric mi sta elencando i privilegi di una dieta priva di glutine. Ad un certo punto mi chiede se ho mai pensato di uccidere qualcuno. «Umh… no, non direi». «Davvero? Mai?». Una parte di me vorrebbe dirgli una cazzata, una cosa tipo “Beh, solo quando sono fatto”, vorrei solo vedere come finirebbe la conversazione. Ma non gli dico no. Non lo farei mai. Mai.