In occasione della Design Week, abbiamo incontrato una delle stelle più luminose della scena, il visionario Karim Rashid. «Un designer dallo stile unico e innovativo», dice di lui Renzo Rastelli, patron di Aran World con cui Karim collabora incessantemente da quattro anni per i marchi Rastelli e Newform Ufficio.
I suoi pezzi dallo stile immediatamente riconoscibile sono esposti nelle collezioni permanenti in quattordici musei in tutto il mondo, fra cui il mitico MoMA di New York.
Nato in Egitto, Karim si forma tra il Canada e l’Italia. Per celebrare l’amore con il nostro paese nel 2011 ha realizzato il design della Stazione Università della linea 1 della Metropolitana di Napoli, uno fra i massimi esempi di come l’arte – e il design – possono sposarsi con la quotidianità.
Ma Karim Rashid non è soltanto una leggenda vivente del design: tra le sue passioni c’è anche la musica, che produce e suona come DJ. Con noi ha parlato dei suoi nuovi progetti, del suo modo di lavorare e della sua infinita passione per la musica.
Com’è nata la collaborazione con Aran World?
Ho cominciato a lavorare con loro circa quattro anni fa. Mi hanno contattato e mi hanno chiesto se fossi interessato creare una cucina per loro. Ero molto contento di questa opportunità, perché la qualità del loro lavoro è fantastico. Questi ultimi quattro anni sono stati incredibili: sono davvero una grande famiglia. Poche aziende al mondo si prendono questo tipo di rischi, fare nuove tecnologie, superare i confini. Per questo mi piace lavorare con le aziende italiane, in generale.
Uno degli aspetti più riconosciuti del tuo lavoro è l’uso del colore. Quando inizi un nuovo progetto parti da quello o dalle forme?
Il colore, in realtà, è secondario o terziario nel mio lavoro. Se disegni una sedia, per esempio, o un oggetto… puoi farlo in 20 o 30 colori, non è importante. La prima cosa che vedo non è il colore, ma la possibile esperienza delle persone con il mio oggetto.
I tuoi lavori sono esposti in alcuni musei. Come vedi il rapporto tra il mondo dell’arte e il design?
L’industrial design nei musei non ha molto senso. Noi non siamo artisti, noi facciamo oggetti da mettere sul commercio. Se fai una scrivania lo fai per venderla, per metterla negli uffici. Il nostro è un lavoro sociale, al massimo politico. Il vero design è democratico, per tutti. Se espongo nel mondo dell’arte – e mi capita spesso -, espongo opere d’arte e sono un’artista, quindi faccio come cazzo mi pare. Quando sono un industrial designer, invece, devo essere meno concentrato su me stesso e più sugli altri. Quando lavoro a una cucina, per esempio, devo pensare a come le persone ci interagiranno ogni giorno.
Se un museo come la Pinacoteca di Berlino espone un mio oggetto… sicuramente è un grande onore, ma non è veramente arte per me. Per me il vero museo del design è la casa delle persone normali: se vado in una normalissima casa, diciamo il classico appartamento del ceto medio texano, e vedo uno dei miei oggetti, mi emoziono molto. Penso: “wow, ho colpito persone che non sanno nulla del design, né di chi sono io”. Questo è il vero obiettivo di chi fa il mio lavoro, è a questo che dobbiamo ambire.
Sei molto famoso nel mondo del design per il tuo lavoro con la musica, sei anche un DJ. Per te cosa hanno in comune musica e design? Che musica ascolti mentre lavori?
Ascolto musica continuamente. A volte mi domando se riuscirei a vivere in silenzio per 24 ore. Amo la musica, quando disegno ascolto sempre ambient e musica elettronica: mi trasporta in un luogo lontano dalla terra, mi rimuove dal pianeta, mi rende libero. In generale mi piace l’idea della tecnologia, di come la tecnologia ha cambiato l’industria della musica, mi piace provare a produrre la mia musica.
La musica per me è come il design: il design è l’elemento tangibile, la musica quello intangibile. Queste due cose insieme toccano la nostra psiche, le nostre vite. Riescono a creare una memoria incredibile, non so se mi spiego. Musica e design hanno lo stesso potere, diciamo così. La sfida, per un designer, soprattutto se sei popolare, è fare qualcosa che faccia alla gente le stesse cose che fa la musica. Spesso mi dico: Se riesco a fare un oggetto popolare quanto una canzone di Elton John, allora ce l’ho fatta.