Beatrice Venezi, ops, il Maestro Beatrice Venezi della Nuova Orchestra Scarlatti, è la più giovane direttrice di orchestra in Italia. È atipica, e non vorremmo dirlo, perché è under-30 ed è donna. In un mondo di capelloni grigi e di una musica classica che definire un mondo chiuso è dir poco, rappresenta uno dei cambiamenti più belli degli ultimi anni. È tra i relatori del TEDx di Bergamo di questa domenica.
Come ti sei avvicinata a questo mondo?
Ho cominciato studiando pianoforte, è successo quasi per caso. C’era questo signore che veniva a dare lezioni di pianoforte alla scuola elementare che frequentavo, ho detto a mia mamma che volevo provare anche io e così ho iniziato. Da lì mi sono avvicinata alla direzione di orchestra, molto naturalmente, non c’è un momento preciso. Si è sviluppato tutto molto naturalmente.
E sei entrata in un mondo che, almeno a guardarlo da fuori, è rigido e, perdonami, un po’ “vecchio”…
Beh oddio sì. Per me la normalità è come la vivo io. Cioè, è normale che io sia giovane, che sia donna e non ci vedo niente di strano, ma mi rendo conto del valore innovativo che possa rappresentare. Mi sento comunque portatrice di una responsabilità, ma come tutte le giovani generazioni, devono avere la responsabilità di cambiare.
Quindi non c’è una rivoluzione in atto…
Io la vivo come la normalità: non pensavo a rivoluzioni quando ho iniziato, avendo a che fare con il mondo accademico, quello più conservatore, mi sono resa conto della portata che può avere una figura come la mia e del fastidio che può portare.
Addirittura fastidio?
Beh, sì, credo sia proporzionale al resto. Gli inglesi dicono disruptive, è un termine che compendia i vari significati, è qualcosa di rottura, innovativo ma che può anche dare fastidio.
Perché Napoli e come ti trovi con la città?
La Scarlatti si è ricostituita ormai 26 anni fa, dopo che era stata “smontata”. Ha vissuto di alti e bassi e nel 2013 ha iniziato a risalire. Io sono arrivata un anno dopo, sono stata la persona giusta al momento giusto: ho creato un feeling molto particolare, diciamo che quando sul podio sono io che mi prendo cura di loro, al di fuori sono loro che si prendono cura di me. Ho creato dei particolari legami affettivi e un rapporto ottimo.
Poi Napoli è così, se fai qualcosa di buono ti ringrazierà per sempre.
Sì, e specialmente con i più giovani funziona. La “junior”, tutti under 17, conta 90 ragazzi, sono anche persone che vengono da situazioni non proprio felicissime, aspetto sociale molto importante.
Parlando di giovani generazioni, che rapporto hanno loro con la musica classica?
Serve un cambio di mentalità: servono figure nuove che dimostrino modernità, che si sgancino dalla tradizione. Dall’esterno la classica è un momento distante, noioso, poco comprensibile… In realtà è perché non la si conosce abbastanza, non c’è cultura. Fino a una decina di anni fa si voleva mantenere così, si voleva creare un settore elitario. Scelta comprensibile sotto certi aspetti, ma che è stata una tragedia. Ha messo distanza tra il pubblico e la musica, dovremmo fare mea culpa e ricominciare. Altrimenti non andiamo da nessuna parte.