Wilmington, North Carolina, Stati Uniti. Sono le 6.30 del mattino e tre uomini stanno lentamente
camminando lungo il marciapiede completamente deserto di un tranquillo neighborhood americano, con tanto di casetta bianca a due piani, giardino recintato di legno (anche questo bianco), garage a due macchi-ne (colore? Bianco, ovviamente)… Quand’ecco che uno degli uomini, anche lui completamente vestito di bianco (pantaloni e camicia abbottonata fino al collo, nonostante l’umidità altissima), sembra incorniciare con le mani (a mo’ di inquadratura cinematografica) l’immagine bucolica e surreale che vediamo. Ed è in quel momento che il silenzio viene interrotto da: “Ma perché ce dovemo trova’ ’e formiche? Ma che cazzo ce stanno a fa’ nell’orecchio, David?”.
La voce di Dino de Laurentiis arriva improvvisa e inquisitoria, mentre io, giovane interprete, traduco la domanda al regista sul set di Velluto blu, uno dei tanti capolavori cinematografici cult che appartengono al cv di David Lynch. Non fosse che lo conoscevo già bene, sia professionalmente (ebbene sì, sono stato io a tradurre per Mr. De Laurentiis i copioni originali de I segreti di Twin Peaks e Fuoco cammina con me) che personalmente (ho avuto una storia con la figlia di Mr. Lynch, Jennifer), avrei potuto ritenere il tutto eccessivo, strano, didascalico, perlomeno curioso, invece che una congettura precisa della sua mente diabolica e sofisticata allo stesso tempo. Che sia fuori di fucking testa? Ovvio, ma questo è il genio di David, insieme a quello di non dare retta nessuno e di farsi sempre ascoltare da tutti.
Quando Mel Brooks l’ha scoperto, l’ha definito il “Jimmy Stewart venuto da Marte”, tanto l’aveva colpito la sua vena surrealista, impressione che l’ha portato a produrre Eraserhead, il primo lungometraggio firmato Lynch. Il resto è Storia, e lui è diventato maestro indiscusso del subconscio, provando con film come Dune, il già citato Velluto blu, Cuore Selvaggio, Mulholland Drive e Inland Empire – L’impero della mente, di essere uno dei pochi auteur del mondo statunitense. L’amore per l’arte è presente in tutti i suoi film, la sua formazione da pittore influenza tutti i suoi lavori, zeppi di riferimenti a Edward Hopper, Francisco Goya, Magritte, e Francis Bacon, il suo preferito, tutti essenziali nella sua poetica di artista e filmmaker anticonformista.
Uno dei suoi lavori più famosi è la serie tv Twin Peaks, che ritorna 27 anni dopo il debutto sul piccolo schermo con 18 nuovi episodi – sarà presentata in esclusiva durante il Festival di Cannes, e arriverà su Sky Atlantic il 21 maggio – ambientati nella famosa cittadina omonima, 51.201 abitanti, dove 25 anni prima fu uccisa Laura Palmer. La serie originale durò solo due stagioni, ma inchiodò America ed Europa davanti al televisore, cambiando per sempre il futuro del piccolo schermo, diventando un fenomeno della cultura pop.
Nato in Missoula, Montana, Lynch frequenta scuole elementari e medie in Idaho e il liceo in Virginia. «Ho avuto un’infanzia felice e spensierata tra strade alberate, case vittoriane, ciliegi, cieli blu, prati verdi e le consegne del lattaio alla mattina. Era un mondo da sogno, avevo molti amici, costruivamo fortini e andavamo in bici. Ma come tutte le cose perfette, quando le vedi da vicino cambia la prospettiva, l’albero di ciliegie era pieno di formiche, e tanti frutti avevano i vermi. I miei genitori erano perfetti, non bevevano, non fumavano, non litigavano mai. Sono cresciuto desiderando che succedessero cose strane nella mia vita, ma non sono mai successe, finché mi sono trasferito a Philadelphia, una città buia, corrotta, sporca, decadente e violenta, dove ho imparato tutto quello che so del buio, dell’oscurità e delle tenebre».
Nel cast della nuova serie ritornano molti attori, tra cui Mädchen Amick, Dana Ashbrook, Sheryl Lee, Kyle MacLachlan, Everett McGill, Kimmy Robertson, Russ Tamblyn, Ray Wise, Laura Dern e Grace Zabriskie. Tra i nuovi, Naomi Watts, Tom Sizemore, Amanda Seyfried, David Duchovny, Ashley Judd, Eddie Vedder e Trent Reznor (!), Jim Belushi, Michael Cera, Sky Ferreira e Monica Bellucci.
Com’è nata l’idea di Twin Peaks?
Tanti, tanti anni fa, Mark (Frost, ndr) e io abbiamo iniziato a camminare e ci siamo ritrovati in mezzo a una natura stupenda. All’orizzonte c’erano delle montagne e quando siamo arrivati alla base, abbiamo iniziato a scalarle. Cammina e cammina, ci siamo ritrovati in una foresta, ci siamo addentrati nel cuore di questa selva oscura, finché, dopo un periodo di tempo indefinito, gli alberi hanno iniziato a diradarsi e abbiamo scoperto questo paesino di montagna che si chiamava Twin Peaks. A quel punto abbiamo voluto sapere chi vivesse in quel posto meraviglioso e chi, come noi, veniva a visitarlo. E così abbiamo cominciato a scoprire un mondo, e in questo mondo ci siamo resi conto che esistevano altri mondi, tutti collegati e misteriosi. Dopo aver risolto un mistero, ne scoprivamo un altro. Ed è così che la storia continua.
In tutti questi anni, hai mai smesso di pensare a Laura Palmer?
Mai, non ci pensavo ogni giorno, ma era sempre presente nella mia mente. Laura vive in un mondo che amo, e che ho sempre voluto rivisitare. Qualche anno fa, Mark mi invitò a cena da “Musso & Frank”, il ristorante frequentato da leggende come F. Scott Fitzgerald, William Faulkner, Raymond Chandler, T.S. Eliot, Aldous Huxley, John Steinbeck e Dorothy Parker. E lì abbiamo ricominciato a parlare di Twin Peaks. Sono cinque anni che porto avanti questo progetto.
Com’è il tuo lavoro con Mark?
Mark è un genio, è facile collaborare con lui. Ci parliamo e scriviamo insieme su Skype, perché Mark vive a Ojai – a circa 100 km da L.A. – e io abito sulle colline di Hollywood.
Il successo di Twin Peaks per me resta un enigma. È un’idea astratta come un dipinto di Pollock
Secondo te, perché Twin Peaks ha avuto questo successo, non solo negli Stati Uniti, ma in tutto il mondo?
Per me resta un enigma. Non so perché sia piaciuto così tanto, nessuno lo sa, è un’idea astratta come un dipinto di Pollock. L’importante è catturare le idee al momento giusto e riuscire a tradurle in immagini. Le idee sono sempre alla fonte di tutto, è importante trovarle e renderle vive nel media che si sceglie di utilizzare.
E tu come catturi le idee?
Non ho mai avuto un’idea da un sogno, ma sogno molto a occhi aperti, lascio la mia mente spaziare e a volte le idee arrivano per miracolo. Non sai mai quando sarà, le puoi solo desiderare. Solo per il fatto che le desideri, prima o poi appaiono. Ho imparato molto dalla meditazione trascendentale (che pratica da più di 40 anni, ndr), dentro di noi abbiamo tutti una coscienza che ci può far accedere al campo unificato, dove tutto è positivo. Questa coscienza ha molte qualità, tra cui intelligenza, amore, pace, potere inteso come forza di volere, energia e felicità. Le idee sono come i pesci. Se vuoi pescare un pesciolino piccolo puoi farlo dove l’acqua è bassa, ma se vuoi pescarne uno grande devi andare dove l’acqua è piú profonda, dove i pesci sono più puri e interessanti.
Quanto sarà importante nella nuova stagione il prequel Fuoco cammina con me?
Tutto è importante, anche perché narra la storia di Laura prima della sua morte.
È fondamentale aver visto le prime due stagioni di Twin Peaks?
Non è fondamentale, ma le persone sono simili ai detective, si pongono molte domande e vogliono altrettante risposte. C’è un detto vedico che dice che l’uomo ha solo il controllo delle sue azioni, mai dei frutti che derivano da queste azioni. È un concetto verissimo anche per il cinema: una volta finito il prodotto, non ne abbiamo più il controllo.
Da anni hai abbandonato la pellicola e giri solo in digitale. Perché?
Il mondo digitale ha la sua bellezza. Amo la celluloide, ma per me è morta. In digitale, tutto il processo è semplificato, immediato, posso concentrarmi più sulla storia che sull’aspetto tecnico. La persona che sei oggi è diversa da quella che eri ieri e che sarai domani. Questa differenza racconta la tua storia.
La musica è un mondo che si apre su altri mondi
Parliamo di musica: quanto è importante in Twin Peaks?
La musica è importante in tutti i miei lavori. È un mondo che si apre su altri mondi. Con Angelo Badalamenti mi trovo molto bene, gli do delle idee, qualcosa su cui riflettere, e quindi lui ci lavora sopra. Ma se, quando ascolto, non sento quelle parole nella mia mente, allora gliene fornisco altre, altri indizi. Per esempio, il tema di Twin Peaks è nato pensando al vento, immaginando di essere in una foresta cupa, dove i gufi cantano alla Luna coperta da nuvole, sugli alberi di sicomoro, le cui foglie vengono cullate da una brezza leggera. E mentre gli raccontavo questa storia, lui ha cominciato a suonare, e le note sono uscite per magia, non ne abbiamo cambiata nemmeno una. Angelo è speciale, è in grado di suonare qualsiasi strumento. Ha un talento straordinario.
E che importanza hanno le location, i luoghi dove giri?
Trovare i posti giusti è fondamentale: la location è come un personaggio, racconta la propria storia. Anche se le immagini non possono raccontare tutto ciò che vediamo.
Sei così all’avanguardia in certe cose e poi molto abitudinario in altre…
È vero. Sono decenni che mi vesto sempre nello stesso modo, completo giacca e pantalone nero con camicia bianca: mi piace, perché dovrei cambiare? Mi piace mangiare tutti i giorni la stessa cosa, finché non mi stufo e allora devo trovare qualcos’altro. In questo periodo faccio colazione con farina d’avena, che per me è una novità; per pranzo mangio un toast con maionese, un uovo bollito, 6 fette di pomodoro, mozzarella e basilico e patatine biologiche; per cena, una zuppa di verdure oppure cottage cheese e una banana.
E dopo questo, tenetevi pronti per l’uscita di “Twin Peaks”: tutti in casa incollati alla tv! Ma invece di zuppa e latticini, un bel trancio di pizza Margherita (meglio se di Spontini, born in Milan) non sarebbe affatto male.