C’era un tempo in cui Eugene Hutz si aggirava per l’Europa in cerca di un posto dove dormire e di qualcuno che gli offrisse da fumare e da bere. Oggi, dopo sette album con i Gogol Bordello (di cui uno con Rick Rubin) e quattro film (di cui uno è il cult Ogni cosa è illuminata), e anche se la patchanka è una realtà ormai superata, Eugene è rimasto l’esempio più sincero della multiculturalità della musica di strada.
Un vagabondo con una visione molto chiara: unire al suono della classica formazione rock chitarra-batteria-basso le idee provenienti da tutti i posti nel mondo in cui è stato (ultimamente si è trasferito a San Paolo). Vedere dal vivo i Gogol Bordello è un’esperienza che non si dimentica: si appoggiano su una base di suoni solida e pesante, quasi metal, da cui all’improvviso fanno spuntare violino, fisarmonica, marimba, tromba, influenze dal Sudamerica e dall’Est Europa, il tutto tenuto insieme dal senso dello spettacolo circense di Eugene Hutz.
Per questo, di solito, i Gogol Bordello vanno in tour prima di uscire con un disco; nella musica di oggi in cui la musica dal vivo è tutto, i nove pazzoidi gipsy-punk partono decisamente avvantaggiati. Per questo, anche, non ci si può aspettare grandi novità dai loro album: «Seekers and Finders è un disco magico e divertente», ha detto Eugene nel suo inglese con accento ucraino, e ha ragione.
Niente novità, anzi magari un po’ di furore in meno rispetto al solito, ma la patchanka gipsy-punk vive perché i Gogol Bordello registrano dischi per testimoniare quello che fanno dal vivo e anche perché in questi anni hanno imparato il senso della melodia (Clearvoyance), hanno capito come sintetizzare la loro furia musicale in singoli (Saboteur Blues con il tocco geniale della voce femminile in francese) e a sperimentare (il western balcanico di Familia Bonfireball), riuscendo a mantenere intatto quel senso di inaspettato e sorprendente che li accompagna, in cui ogni volta che parte un pezzo non hai idea di cosa potrebbe succedere.