Per molti commentatori, leader politici ed esponenti di spicco dell’establishment le elezioni tedesche sono state il brusco risveglio da un bel sogno. Dopo l’esito delle elezioni in Olanda e soprattutto di quelle, temutissime, in Francia, si era diffusa l’illusione che la spinta anti-sistema che aveva decretato il doppio shock della Brexit e della vittoria di Trump negli Usa si fosse esaurita. Il responso delle urne tedesche ha dimostrato a tutti in Europa che le cose sono un bel po’ più complesse.
#ElezioniGermania, la voglia di cambiamento cresce!
Tocca a noi #andiamoagovernare! pic.twitter.com/bM6iQISoYA— Matteo Salvini (@matteosalvinimi) 24 settembre 2017
L’affermazione dell’AfD, partito xenofobo e nazionalista con venature nostalgiche che sarebbe tuttavia forzato definire tout court “neonazista”, è inevitabilmente l’elemento più fragoroso, quello che ha più colpito i commentatori campeggiando sulle prime pagine ovunque nel mondo. In realtà quell’affermazione è solo uno degli elementi inquietanti nel voto della Germania, e di per sé neppure il più clamoroso. L’AfD, partito nato come formazione di professori liberali un po’ “alla Mario Monti” e poi rapidamente degenerato in formazione estremista anti-sistema, a conti fatti ha raddoppiato il suo bacino di consensi, raggiungendo un 13% che non è sorprendente in un Paese in cui la situazione è meno rosea di quanto non appaia dalle cronache italiane.
La crisi ha morso a fondo, soprattutto nella ex Germania dell’Est dove l’AfD ha fatto il pieno. L’impoverimento è tangibile, le divisioni sociali in crescita. L’impatto dell’ondata migratoria, pur fortemente rallentata nel 2017, è stato più massiccio che non in Italia. In una situazione simile, il risultato del partito xenofobo appare molto più contenuto di quello raggiunto dal Front National in Francia (21,30% al primo turno, 33,94% al secondo) e minore anche di quello ottenuto dal Partito del lavoro in Olanda (13,1%, ma in un Paese dove non esiste quasi soglia di sbarramento e in cui la frammentazione del Parlamento è di conseguenza estrema).
Bravo à nos alliés de l’#AfD pour ce score historique ! C’est un nouveau symbole du réveil des peuples européens. MLP #BTW2017
— Marine Le Pen (@MLP_officiel) 24 settembre 2017
Il trionfale ingresso in Parlamento dell’AfD, prevedibile e di fatto previsto, è la spia di un disagio più profondo il cui sintomo più grave è il calo di consenso per i partiti maggiori, anche quello previsto ma non in questa misura. La Cdu/Csu della Cancelliera ha perso 8 punti percentuali. I social-democratici registrano un’emorragia minore ma in proporzione più lancinante: 5% in meno. La conseguenza è che l’Spd ha deciso (per ora) di sottrarsi all’abbraccio rivelatosi mortale della Grosse Koalition. Il paese della stabilità di è di conseguenza scoperto instabile.
Le trattative per la formazione del nuovo governo non cominceranno davvero prima di metà ottobre, per attendere il nuovo segnale delle elezioni in Bassa Sassonia. Tempi più italiani che teutonici. L’eventuale coalizione detta “Giamaica”, composta da Cdu Liberali e Verdi è di quelle che non garantiscono alcuna stabilità. I liberali, con alle spalle la devastante esperienza della partecipazioni al governo nella legislatura 2009-2013, che costò loro il mancato ingresso in Parlamento nei 4 anni seguenti, porranno senza dubbio condizioni rigide: a partire dal ministero delle Finanze, con la sostituzione del falco Schaeuble con un esponente liberale ancor meno duttili in materia di flessibilità. Sempre i liberali, convinti di dover prima di tutto difendere gli interessi della competitività e della rendita finanziaria tedesche, rappresenteranno senza dubbio un ostacolo sulla via del nuovo assetto europeo vagheggiato dal dinamico neo presidente francese Macron, fondato su una diarchia tedesco-francese allargata (parzialmente) a Italia e Spagna.
Berlino, Colonia, Amburgo: proteste in Germania contro l'avanzata dell'ultradestra dell'#AfD → https://t.co/ibzSBL9GyT #ElezioniGermania pic.twitter.com/Adr18wgEOM
— Rainews (@RaiNews) 25 settembre 2017
Non è affatto escluso che alla fine l’Spd ci ripensi, ricreando la stessa maggioranza che ha retto il Paese negli ultimi 4 anni. Ma anche se così fosse, i social-democratici non potrebbero più limitarsi a seguire disciplinatamente la leadership della Cdu, pena un nuovo e definitivo salasso elettorale. Anche se in maggioranza, l’Spd dovrebbe alzare la voce e spesso sbattere i pugni sul tavolo. E’ evidente che un clima di instabilità permanente nel cuore stesso dell’Unione e in tutte le sue province minaccia di rendere sempre più forti le forze anti-sistema, facendo della loro sconfitta in Olanda e Francia solo una battuta d’arresto.
Le elezioni politiche in Italia, ultimo tra i grandi paesi ad affrontare la prova delle urne, saranno da questo punto di vista determinanti.
Il responso delle urne italiane, che si apriranno prevedibilmente in marzo, è incerto, tanto più che è ancora ignoto quale legge elettorale gli italiani si troveranno scodellata al momento di entrare in quelle urne. Ma con qualsiasi legge si voti le probabilità di poter dar vita a un governo stabile sono vicine allo zero, mentre è elevatissimo il rischio di non poter quadrare nessuna maggioranza, cioè della ingovernabilità conclamata. Il vero spettro che si aggira per l’Europa, per nulla fugato dalla sconfitta del Front National in Francia e rivelato a tutti dal voto tedesco, è proprio questo: un’intstabilità ad alto rischio di ingovernabilità.