Metti un sabato sera a New York verso la fine degli anni Settanta. A pochi passi da Central Park, tra la Settima e l’Ottava Avenue, Bianca Jagger sorseggia un bicchiere di champagne in compagnia di Liza Minnelli e Michael Jackson. Dello Studio 54 è la regina, tanto da averlo inaugurato sfilando in sella a un cavallo bianco. Attorno a lei c’è la solita sarabanda edonistica di ogni week end: Donald Trump insieme alla moglie Ivana, Elisabeth Taylor ricoperta di paillettes, Truman Capote che muove i fianchi al ritmo degli Chic. Cambio di scena. East Village, 57 St. Mark’s Place. Il locale in questione è il Club 57, e lo psychobilly dei Cramps sta letteralmente facendo impazzire una folla sudata di giovani. Tra loro ci sono Keith Haring e Jean-Michel Basquiat. Vogliono sfondare, e questo è il posto giusto per farlo. A loro, più tardi, si unirà Madonna, conosciuta da Haring alla Danceteria, dove lei lavorava al guardaroba. Tra Madonna e Basquiat nascerà una breve storia d’amore, e il resto è storia.
Fondato nel 1978 dall’imprenditore polacco Stanley Strychacki, il Club 57 è stato uno dei locali più celebri dell’East Village. Nato come club per studenti, diventò ben presto il trampolino di lancio per gli artisti emergenti della città. Uno spazio aperto alla sperimentazione, in cui andavano in scena performance che univano poesia, musica, pittura, moda, fotografia e video. Qui batteva l’anima più ruvida (e vera) del Lower East Side: a frequentarlo era il sottobosco creativo della New York ai margini. Erano artisti squattrinati in cerca di casa, erano creature suburbane vestite di latex, erano “pointy-toed hipsters” e «tutti coloro che amavano quello che piaceva a noi, come i Devo, Duchamp e William S. Burrough, ma soprattutto tutti coloro che odiavano la disco e Diane von Fürstenberg», avrebbe commentato più tardi Ann Magnuson, perfomance curator del club. Insieme a lei lavoravano Keith Haring, come curatore della parte espositiva, e Susan Hannaford e Tom Scully per la parte video e cinematografica. Il Club 57 era l’anti-Studio 54, e tutto lo amavano proprio per quello.
A riportarlo in vita, a partire dal 31 ottobre, è il MoMA di New York con la più grande mostra mai realizzata sul locale: Club 57: Film, Performance, and Art in the East Village, 1978 – 1983. Organizzata in collaborazione con la Keith Haring Foundation, la mostra si articola in una parte espositiva – con fotografie, video, opere d’arte, locandine e costumi – e in una serie di documentari sulla scena post-punk del tempo. Particolare attenzione verrà dedicata alla sua scena artistica – con l’esposizione di opere di Keith Haring, Kenny Scharf e Adolfo Sanchez – ma anche al suo lato più trasgressivo. Come quello delle sue celebri “drag performance”, che lanciarono nomi come Klaus Nomi e Joey Arias (entrambi apparsi al fianco di David Bowie nella storica performance di The Man Who Sold The World al Saturday Night Live del 1979), oppure il gay stripper e cabarettista John Sex ed Ethyl Eichelberger, diventato famoso per il suo teatro sperimentale. I loro show sfidavano i confini dei generi, proponendo nuovi scenari sessuali. L’artista Kenny Scharf commentò così l’atmosfera del locale: «Al Club 57 c’erano droghe e promiscuità: era una grande famiglia orgiastica. A volte mi guardavo intorno e pensavo: oh mio dio, in questa stanza mi sono già scopato tutti! Questo era lo spirito dei tempi, ed era prima dell’arrivo dell’AIDS».
Nonostante il successo, il Club 57 ebbe vita breve, chiudendo i battenti nel 1983. Fu l’AIDS, però a spegnere definitivamente i sogni dei personaggi che gravitavano attorno al club. Keith Haring è solo uno dei tanti artisti newyorkesi che morirono a causa del virus.
Accompagna la mostra una serie di incontri domenicali presso il MoMA PS1 – le Sunday Sessions – in cui si ricorderà la controcultura degli anni 70-80 insieme ad alcuni protagonisti del club come Adele Bertei, Bob Holman, Man Parrish e Brant Kingman.