Dunk, la recensione | Rolling Stone Italia
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Dunk, finalmente una superband che funziona

L'intento è quello di trovare una via di mezzo tra il cantautorato e il rock-pop angloamericano: missione compiuta

Quando sento parlare di superband metto mano alla pistola, poiché in genere il risultato non ha mai niente di super. Nel caso dei Dunk però non è corretto parlare di super band, ma dei Giuradei che anziché scegliere due turnisti hanno telefonato a due amici: Luca Ferrari (Verdena) alla batteria e Carmelo Pipitone (Marta sui Tubi) alla chitarra.

Nel disco che è venuto fuori è evidente l’impronta principale dei due fratelli, che voglio definire indie 1.0 – quando l’intento principale era trovare quella specie di via di mezzo naïf tra il cantautorato italiano e il rock-pop angloamericano – che ricorda Benvegnù o Basile.

A tale impronta, Ferrari – che si conferma una macchina – ha aggiunto la sua inconfondibile batteria e Pipitone riff e arpeggi di retaggio greenwoodiano e un po’ di noise che si alterna a ballad acustiche.