Tune-Yards e il pop libera-tutti | Rolling Stone Italia
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Tune-Yards e il pop libera-tutti

Da hipster fuori luogo sono diventati il link perfetto tra l'underground e la radio

Hai presente quelli bravi, ma che per pudore lanciano segnali imbarazzati come a dire: “ma no, non mi prendo mica sul serio. Devo fare la recita, perché lo sappiamo che è una recita, no?”. Uno che storce gli occhi nella fotografia di classe, Timbaland con le sue faccine “ironiche” nei video o il classico amico che alle feste accentua i gesti del ballo e le espressioni facciali per “mimare” divertimento. Ci siamo capiti.

Questo il neo storico del duo Tune-Yards: il quasi indie cantilenante, gli ammiccamenti al folk, alla disco-not-disco e soprattutto alla rivisitazione di musiche africane emanavano la sensazione di essere sempre un po’ fuori luogo nelle arcadie hipster cui li si associava spiritualmente: hamburgerie di Williamsburg, birrerie di Friedrichshain o bistrot biologici a Dalston. Sopravvive nei nuovi video quell’ironia, ma la musica è tutt’altra e la trasformazione è iniziata con il terzo album Nikki Nack (come gli altri, licenziato dall’etichetta 4AD). Una transizione verso sonorità pop per la quale si sarebbe urlato al tradimento o disquisito sull’annacquamento della proposta musicale non fosse che, da qualsiasi angolo si osservi, questo disco ha più il gusto di una liberazione.

A voler rintracciare la genealogia del suo stile, più che a “parenti nobili” dal passato si guardi alle evoluzioni vincenti nel campo della musica per i grandi numeri: l’emersione di un linguaggio comune che chiameremmo – prendendo in prestito, ma snaturandone il senso, la definizione che David Bowie diede al suo Young Americans – “Plastic Soul”. Ovvero, il ventaglio “grammaticale” ed espressivo (o nei casi meno interessanti, i manierismi) della tradizione black statunitense rielaborato in chiave robotica – accarezzando il susseguirsi di voghe nel campo della musica elettronica dall’EDM alla trap – con vocalità ipertrofiche e rocambolesche che viaggiano tra radiofonia, negozi in centro e streaming derivante dal ruolo dei talent-show nella filiera dell’industria musicale. Il secondo elemento è la tendenza a suoni polposi, compressi al massimo, giusti per casse di bassa qualità o per fare la voce più grossa del brano che li succede o li precede in una playlist.

Da questi assunti di partenza, Tune-Yards costruisce una macchina da guerra intelligente, quasi perfetta, che cela in diversi punti gemme di stranezza, provenienti da mondi lontani lontani. Lo fa da subito, nella sequenza di accordi di piano sottilmente fuori tono che aprono la prima traccia Heart Attack. Poi, certo, arriva il trionfo di funk iper-drammatico che culmina in battiti di mani, incursioni di archi e la cantante Merrill Garbus che mostra la propria fragilità – “I am only human” – prima di ripartire all’assalto.

ABC 123 è uno di quei numeri che fa pensare a bimbe che saltano alla corda cantando, mentre Now as Then – tra le tracce migliori – mette a contrasto ritmi e melodie spigolose con aperture estatiche. I vocal volteggiano in uno spettro di stati emozionali apparentemente inconciliabili, tra parlato, sussurri e rabbie recriminatorie. La seguente Honesty sembra scritta da un Prince fuori controllo – e lo diciamo, naturalmente, come complimento – e il momento in cui entrano gli ottoni ti fa capire che gli arrangiatori sanno quello che stanno facendo. Se passasse Colonizer in radio mentre fai zapping, ti sfido a procedere alla prossima emittente. Home è forse la canzone più classicamente indie-rock, con spezie dub e ritmica quadrata, cui il ritornello conferisce piglio spettrale, Private Life è puro straniamento, mentre in Hammer non resistono alla tentazione di tornare, almeno come suggestione, in Africa. Merrill è un’artista che coltiva un forte impegno politico e sociale: i testi insistono spesso su violenza, sessismo, razzismo, iniquità sociale e bacchettonismi di un’America che arretra su diversi fronti.

Impressiona come declina personalità forte e riferimenti alle musiche underground delle origini sfornando una raccolta di canzoni ineccepibili, potenzialmente in grado di entusiasmare pubblici grandi, grandissimi.