La storia (poi rivelatasi una montatura) delle resse a Bari per il reddito di cittadinanza non è soltanto una brutta vicenda di disinformazione alimentata dalla stampa, ma è soprattutto una spia rivelatrice che ci spiega (bene) almeno due cose: perché la gente diffidi ogni giorno di più degli organi di informazione tradizionali e perché gli ultimi non si sentano più rappresentati da una sinistra sempre più snob e lontana dai problemi della gente.
Tutto ha inizio nella giornata di ieri, giovedì 8 marzo, quando, nell’ordine, Gazzetta del Mezzogiorno, Repubblica e Ansa, iniziano a rilanciare una mezza bufala con toni da “Apocalisse alle porte”. Stando a quanto riportato a Giovinazzo i CAF erano stati letteralmente presi d’assalto da una folla di cittadini che chiedevano i moduli per ottenere il reddito di cittadinanza. Quella che all’inizio poteva sembrare una piccola nota di cronaca locale è stata montata a dismisura, deformata, striata di tonalità grottesche e surreali e infine data in pasto all’opinione pubblica, non più come piccola notizia ma come grande fake news. A fine giornata, infatti, dopo gli approfondimenti del caso è saltato fuori che il “presi d’assalto” si riferiva, sì e no, a una ventina di persone, quasi tutte sotto la soglia di povertà; è stato poi chiarito che da diverso tempo, e quindi da ben prima del voto, i cittadini si recano negli uffici dell’assessorato ai Servizi Sociali di Giovinazzo per le domande sul Reddito di Dignità e sul Reddito di Inclusione (ovvero due provvedimenti salvifici per la tenuta sociale di alcune realtà); e infine è stato spiegato che nei confronti della modulistica per il reddito di cittadinanza non si è scatenata nessuna frenesia, ma al limite una legittima curiosità da parte di alcune persone indigenti e bisognose che dopo l’affermazione elettorale del Cinque Stelle hanno iniziato a prendere informazioni. Nulla di eclatante, insomma. Nulla su cui valesse la pena creare un caso mediatico, soprattutto se le premesse di quel caso erano molto diverse da come ci sono state raccontate.
Ed è paradossale come, per l’ennesima volta, siano proprio i giornali tradizionali, quelli che combattono quotidianamente una crociata contro le fake news della rete, quelli che consigliano di controllare sempre l’autorevolezza della testata prima di condividere una notizia, ed alimentare il circo della disinformazione. Un coro stonato al quale si sono uniti anche giornalisti di grido e firme “prestigiose”, tutti presi dal grufolare in questa misera forma di gossip sociale camuffato da scoop, rilanciando la bufala pur di strappare un like. Giornalisti che eravamo abituati a vedere in trincea nella guerra santa contro le fake news hanno deciso di passare al nemico. Con buona pace dei tanti mantra con i quali si erano riempiti la bocca fino al giorno prima “verificare sempre prima di condividere”, “tornare a costruire un rapporto di fiducia con i lettori”, “controllare il link” e via blaterando.
Ma in questa vicenda c’è un aspetto che fa inorridire. C’è qualcosa che va ben oltre la superficialità di una certa informazione. Ed è lo sprezzo con cui la sinistra ha accolto e commentato la bufala, prima di scoprire che fosse una bufala (anche se qualcuno ha perseverato pure dopo). La sinistra che dovrebbe avere a cuore gli ultimi, la sinistra che dovrebbe far sentire il proprio sostegno a poveri e disoccupati, la sinistra custode di valori che dovrebbero tenerla vicina ai problemi e ai drammi delle persone più povere e disagiate, ha pensato bene di strumentalizzare l’episodio, perculando e deridendo i protagonisti disperati di questa storia solo perché presunti elettori di movimento politico rivale o solo perché, in preda alla disperazione, hanno preso per buone certe promesse elettorali.
Una mostruosità che fotografa la realtà surreale di una sinistra che disattende e tradisce tutti i suoi valori, accanendosi con cinico sarcasmo su persone senza lavoro, senza speranze e (in alcuni casi) senza cultura. Sono gli individui ai quali una sinistra degna di tale nome dovrebbe tendere la mano. Magari facendo auto-critica, magari cercando di capire che cosa c’è alla base di questo disagio e del crollo di consensi. E invece con questo atteggiamento di superiorità culturale stucchevole e respingente la sinistra continua a perdere identità e, soprattutto, voti.
Un’emorragia di buon senso che non risparmia nessuno. Neppure i fini editorialisti. Prendiamo il caso del fondo odierno di Gramellini sul Corriere della Sera. Il dotto moralizzatore aveva tutto il tempo per cogliere la reale portata della notizia, per verificarla, per accertare che si trattava sostanzialmente di una bufala. Magari anche per non insinuare dubbi su pettegolezzi non confermati (“se è vero che davanti a un patronato di Palermo è stato esposto il seguente cartello, anche in arabo: “in questo Caf non si fanno pratiche per il reddito di cittadinanza”. Sic!). Ma poi cosa significa “se è vero?” è un gioco a quiz o un articolo di giornale?
Però evidentemente la tentazione di unirsi al coro dei perculatori è stata troppo forte. Quale bersaglio più facile di un meridionale pentastellato senza laurea e senza lavoro per le argute prese per i fondelli di un’illuminato intellettuale di sinistra?
Ecco, il nocciolo della questione, oltre le fake news e oltre le partigianerie politiche, è tutto qua: nelle élite della sinistra (politici, opinion leader, giornalisti) che hanno perso ogni forma di empatia, che restano arroccate nella propria presunzione, convinte che la colpa sia sempre degli altri, dei populisti, dei creduloni, degli ignoranti; élite che non sanno più leggere la realtà ma che continuano a scrivere post infarciti di superiorità culturale. Forse questa sinistra, che ha smarrito identità e princìpi, dovrebbe avere il coraggio di guardarsi allo specchio per vedere cosa è diventata.
E invece, probabilmente, continuerà a sbagliare, al grido di “il popolo ha fame, dategli gli editoriali di Gramellini”.